Cass. civ. Sez. V, Sent., 09-03-2012, n. 3770 Imposta reddito persone giuridiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il 29.3.2010 è stato notificato alla "Boston Scientific International B.V." un ricorso dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe (depositata il 2.12.2009), che ha disatteso l’appello dalla stessa Agenzia proposto contro la sentenza n. 115/10/2008 della CTP di Milano che aveva integralmente accolto il ricorso proposto dalla parte contribuente avverso avviso di accertamento per IRPEG-IRAP relative all’anno 1999.

La società intimata si è difesa con controricorso e ricorso incidentale condizionato.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 29.2.2012, in cui il PG ha concluso per il rigetto del ricorso.

2. I fatti di causa.

Con il menzionato avviso – adottato a seguito di PVC di data 6.12.2005 redatto dal Nucleo di PT della Liguria – sono stati ripresi a tassazione i redditi prodotti dalla società di diritto olandese BSI BV, redditi ritenuti imponibili in Italia sulla premessa che essi siano stati realizzati per il tramite di una stabile organizzazione italiana. Quest’ultima è stata identificata nella Boston Scientific spa che è società di diritto italiano ed ha sede in (OMISSIS), risultata controllata per il 99% dalla BSI BV e per il restante 1% dalla Boston Scientific Corporation, quest’ultima identificabile come capogruppo ed esercente un’attività finalizzata alla "ideazione, produzione e commercializzazione di dispositivi medicali meno invasivi", la cui distribuzione in Europa è affidata a società che appartengono al gruppo ma che hanno sede nei vari paesi Europei.

In questo organigramma la BSI BV svolge il ruolo di committente per la vendita dei prodotti del gruppo e stipula contratti di commissione con le controllate che hanno sede nei vari paesi Europei e che si occupano della commercializzazione e distribuzione dei prodotti (e perciò operando in nome proprio ma per conto della BSI BV), ricavandone poi una provvigione pattuita contrattualmente.

Acclarato che la BS spa non risulta essere nè giuridicamente nè economicamente indipendente dalla sua controllante e che la società di diritto olandese risulta essere anche l’unico cliente della società italiana, l’Agenzia ne ha tratto la conseguenza che la prima ha operato come stabile organizzazione in Italia della seconda, sicchè ha ritenuto che quest’ultima sia soggetto passivo d’imposta in Italia e che avrebbe dovuto contabilizzare distintamente i ricavi delle cessioni di prodotti effettuate in Italia, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, comma 4, ed effettuarne dichiarazione fiscale nel nostro Paese.

Avverso l’avviso di accertamento la società olandese ha proposto ricorso alla CTP di Milano che ne ha fatto accoglimento integrale (ritenendo insussistente il carattere di stabile organizzazione in Italia attribuito alla BS spa), sicchè poi l’Agenzia ha interposto contro detta sentenza di primo grado un appello che è stato totalmente reietto.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza oggetto del ricorso per cassazione è motivata nel senso che ai fini di stabilire se sussista o meno stabile organizzazione è necessario prendere in considerazione tutti gli elementi di fatto valorizzati dalla parte pubblica, perchè solo il complesso di detti elementi consente (alla luce dell’art. 5 della Convenzione Italia/Paesi bassi contro le doppie imposizioni in materia di imposte sui redditi) di risolvere il nucleo della questione controversa, che consiste nello stabilire se la società Italiana "aveva il potere di stipulare contratti a nome dell’impresa superiore", ai quali fini peraltro non è significativo nè l’esistenza di un rapporto di mediazione/agenzia; nè l’esistenza di un controllo azionano, per quanto stringente.

Ciò posto, e dopo avere esaminato nello specifico i rapporti societari; i rapporti negoziali; i rapporti aziendali; i rapporti commerciali esistiti tra BSI BV e BS spa, la Commissione Regionale è pervenuta alla conclusione che BS spa – avendo sopportato in via del tutto autonoma i rischi d’impresa della vendita di prodotti del genere di cui si è detto; avendo avuto una propria struttura commerciale ai cui costi ha fatto fronte con le commissioni che ha ricavato dalla sua attività – non può considerarsi una mera propaggine di BSI BV, ma una autonoma entità imprenditoriale.

A tali connotati deve essere poi aggiunto il fatto che il reddito prodotto da BSI BV in virtù dei rapporti commerciali con BS spa è stato comunque sottoposto a tassazione dal Fisco olandese, Paese appartenente all’Unione Europea e perciò provvisto di pressione fiscale non dissimile da quella esistente in Italia, sicchè non sarebbe infondato il rischio che tassare in Italia il reddito della BSI BV significhi tassarlo due volte, rischio a fronte del quale resta recessivo il pericolo che un’interpretazione letterale del sistema nei rapporti tra i due Paesi possa finire per agevolare pratiche di elusione fiscale realizzate avvalendosi di meri interposti travestiti da soggetti autonomi, appunto perchè – trattandosi di realtà imprenditoriali collocate in paesi omologhi – detto pericolo è di genere meramente apparente.

4. Il ricorso per cassazione.

Il ricorso principale per cassazione è sostenuto con tre motivi d’impugnazione e si conclude – previa indicazione del valore della lite in Euro 4.150.000,00 circa- con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni consequenziale pronuncia anche in ordine alle spese di lite.

Il ricorso incidentale condizionato per cassazione è sostenuto con due motivi di ricorso e si conclude – previa dichiarazione che l’impugnativa incidentale non comporta modificazioni del valore della controversia – con la richiesta di rigetto del ricorso principale ovvero di accoglimento dei motivi di ricorso incidentale, con annullamento della sentenza impugnata e conseguente annullamento degli avvisi di accertamento.

Motivi della decisione

5. Il primo motivo di impugnazione principale.

Con il primo motivo di ricorso principale (rubricato come: "In relazione all’art. 360 c.p.c., comma, n. 5: motivazione insufficiente su fatto decisivo e controverso") la parte ricorrente si duole che il giudice di appello abbia ritenuto che la BS spa debba considerarsi agente "indipendente", nonostante dalla verifica della GdF fossero emersi chiari elementi comprovanti la dipendenza giuridica di detta BS spa nei confronti della BSI BV o, più in generale, del "Gruppo Boston".

Tali elementi sono costituiti dalla posizione di controllo azionario che l’impresa olandese aveva nei confronti della commissionaria italiana; dalle dichiarazioni rilasciate ai verbalizzanti dal Dott. V.U., direttore vendite delle divisioni endoscopia ed urologia della BS spa, da cui emergeva la "diretta ingerenza del gruppo Boston sulle modalità di svolgimento dell’attività di BS spa"; dalle dichiarazioni rilasciate ai verbalizzanti da T. M., direttore generale di BS spa, da cui emergeva che "BS spa era tenuta ad osservare le precise direttive del gruppo Boston indicate nelle linee guida", ciò che non si poteva conciliare con l’autonomia operativa di un soggetto indipendente; dalle dichiarazioni rese dal gruppo BSI nella lettera di patronage inviata a Mediafactoring spa secondo cui BS spa è "una società il cui management cade sotto il nostro diretto controllo e responsabilità"; dalla pacifica circostanza che BSI BV fosse l’unica committente della società italiana, ciò che (a mente del paragrafo 38.6 del Commentario OCSE) costituisce ragione di minore probabilità dello status indipendente dell’agente/commissionario.

Di fronte a tale complessivo quadro probatorio, la CTR Lombardia aveva omesso di considerare alcune fonti di prova ed aveva fatto immotivata sottovalutazione di altre, sicchè il giudizio circa l’indipendenza della BS spa espresso dal giudicante del merito non poteva che apparire frutto di una disamina del tutto parziale e carente degli elementi di prova acquisiti al processo.

Il motivo di impugnazione, così sintetizzato, è inammissibile.

Benvero, occorre anzitutto evidenziare che nessuno degli elementi di fatto che la parte ricorrente ha enumerato e che sono stati trascritti dianzi appare essere stato "omesso" nella considerazione del giudice dell’appello, così come la ricorrente assume nella prima parte del proprio motivo di impugnazione.

Non quello relativo alla posizione di controllo azionario, diffusamente trattato nel paragrafo relativo ai "rapporti societari";

non quello relativo alle dichiarazioni di V.U. e T. M., che sono state analizzate dal giudicante nel capitolo relativo ai "rapporti aziendali"; non quello relativo alla lettera di "patronage", che è stata esaminata dal giudicante nel capitolo relativo ai rapporti aziendali; non quello relativo alla circostanza che BSI BV sia stata nel tempo l’unico cliente (committente) della società italiana, circostanza esaminata ed approfondita nella sua valenza dal giudice del merito nel capitolo relativo ai rapporti negoziali, oltre che condita da un pizzico di ironia.

Di fronte a queste obiettive circostanze, altro non resta che considerare se sia astrattamente congruente con l’archetipo del vizio valorizzato dalla parte qui ricorrente il solo residuo assunto secondo cui il giudice del merito ha fatto "immotivata sottovalutazione" di alcune tra le circostanze che sono state dianzi enumerate, ai fini del raggiungimento del proprio convincimento.

Nei termini in cui detto assunto è stato articolato nel motivo di impugnazione, quest’ultimo ne risulta senz’altro viziato da inammissibilità.

Quali siano le specifiche circostanze di cui il giudicante avrebbe fatto immotivata sottovalutazione, tra quelle enumerate ai fini di dare sostegno al motivo di impugnazione, la parte ricorrente non lo precisa in alcun modo, e così contravviene al principio di necessaria specificità del motivo di impugnazione.

Ed inoltre la parte ricorrente neppure chiarisce in quali passi della motivazione il giudice del merito avrebbe attribuito insufficiente rilievo alle circostanze qui in argomento e quindi perchè possa eventualmente ritenersi fondata la taccia di "insufficiente motivazione" che la medesima parte ricorrente gli rivolge.

In tal modo la parte ricorrente si limita – di fatto – a genericamente censurare di insufficiente esame l’intera disamina compiuta dal giudicante, coinvolgendo in detta censura fonti di prova non specificamente e dettagliatamente indicate ma genericamente richiamate e coinvolgendo in essa valutazioni non specificamente identificate e dettagliatamente enucleate ma sommariamente individuate nel complessivo rimando al "giudizio" espresso dall’organo giudiziario.

Così articolando le proprie doglianze, la parte ricorrente concretamente rinnega la tipologia del vizio valorizzato in epigrafe il quale (secondo l’insegnamento di questa Corte) "sussiste solo se nel ragionamento del giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, avendo la Corte di Cassazione non il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione" (Cassazione civile, sez. lav., 22 ottobre 1993, n. 10503; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 828 del 16/01/2007).

Con la deduzione di un siffatto vizio, la parte conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale bensì la pura e semplice facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle specifiche argomentazioni svolte dal giudice del merito.

L’omessa specificazione analitica dei difetti di concludenza logica e di approfondito esame che il giudicante avrebbe commesso finisce, in sostanza, per alterare la caratteristica del vizio denunciato e lo apparenta ad un mero "difforme apprezzamento" (in ordine ai fatti ed alle prove) rispetto a quello operato dal giudice di merito.

Ed è perciò che la violazione di un siffatto modus di articolazione del mezzo di impugnazione implica di necessità che il motivo qui in esame sia dichiarato inammissibile.

6. Il secondo motivo d’impugnazione principale.

Con il secondo mezzo (intestato come: "Violazione dell’art. 5 della Convenzione tra Italia e Paesi Bassi contro le doppie imposizioni sui redditi e sul patrimonio, ratificata con L. 26 luglio 1993, n. 305") la parte ricorrente – premesso che la BS spa doveva essere considerata stabile organizzazione della società olandese ove fosse risultato provato che la stessa esercitava abitualmente poteri che le consentivano di concludere contratti "a nome" della medesima società olandese- si duole del fatto che il giudicante abbia negato l’esistenza di tale requisito, a causa di una "scorretta lettura della relativa nozione normativa", e cioè per avere supposto che ciò implicasse la disponibilità di poteri di rappresentanza, mentre il requisito in parola non avrebbe dovuto essere valutato secondo un rigoroso criterio civilistico, bensì secondo un "criterio sostanziale".

Si tratta infatti di acclarare se l’agente operante in Italia abbia concluso contratti che vincolano l’impresa estera, indipendentemente dal fatto che quei contratti siano stati effettivamente conclusi "a nome dell’impresa". Ed infatti nella specie di causa è risultato che l’agente promuoveva e riceveva ordini che sono stati inviati direttamente ad un deposito dal quale i beni sono stati consegnati e dove la società estera regolarmente approvava le operazioni (se ne traggono gli elementi da quanto si dice a pag. 10 del PVC), sicchè poteva concludersi che non vi era alcun "attivo coinvolgimento" della società committente nella conclusione dei contratti proposti dalla commissionaria.

La sentenza impugnata ne aveva dato atto ma aveva poi evidenziato che – atteso che il cliente in caso di difformità della merce non avrebbe dovuto rivolgersi a BSI BV bensì invece a BS spa – quest’ultima nei rapporti con i clienti appariva non come mera commissionaria ma come effettiva controparte. La Commissione era rimasta ancorata al dato giuridico formale, ma aveva trascurato la corretta esegesi della norma convenzionale, che avrebbe implicato la valorizzazione del dato "sostanziale".

Il motivo di impugnazione è inammissibilmente formulato.

L’assunto di parte ricorrente secondo cui il giudicante avrebbe supposto necessaria la dimostrazione dell’esercizio di poteri di rappresentanza (ai fini di acclarare il presupposto della "stabile organizzazione") non è stato dettagliatamente declinato, con riferimento agli specifici argomenti della sentenza di secondo grado da cui emergerebbe siffatta determinante affermazione.

Anzi, per quanto non competa a questa Corte sopperire alle manchevolezze della parte ricorrente, giova evidenziare che non risulta affatto dalla decisione qui impugnata che il giudicante abbia ritenuto che "stipulare contratti a nome della casa madre" implicasse di necessità "la disponibilità di poteri di rappresentanza". Al contrario, nel capitolo relativo ai "rapporti negoziali" il giudice dell’appello si è soffermato ad espressamente considerare che la BS spa risulta avere agito nei confronti del pubblico "spendendo il proprio nome e non quello della casa madre", e da qui ha ricavato che essa agiva "in proprio", oltre che "nel proprio interesse".

Nessuna induzione dunque a proposito del difetto di poteri di rappresentanza e della valenza di un siffatto accertato difetto rispetto alla soluzione della questione di causa.

Ma – soprattutto – nessun collegamento è operato nel motivo di impugnazione tra tale asserita induzione e la (erronea) soluzione della questione di causa, con riguardo alla violazione e falsa applicazione dell’art. della richiamata Convenzione. Per quale mai ragione la supposizione in ordine alla necessità della sussistenza dei poteri di rappresentanza contrasti con la interpretazione di genere sostanziale della anzidetta norma la parte ricorrente non lo declina in alcun modo, lasciando sospesa l’affermazione alla stregua della pura e semplice affermazione apodittica ed indimostrata e limitandosi alla pura e semplice riscrittura degli argomenti contenuti nella decisione qui impugnata, quasi che essi stessi siano obiettivamente significativi della propria stessa erroneità.

Ma siffatto modo di proporre la censura non corrisponde alle ripetute indicazioni fornite da questa Corte in ordine al fisiologico contenuto della tipologia di vizio qui in considerazione, il quale "deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie" (in termini, per tutte Cass. n. 11501 del 2006).

Ritiene insomma la Corte che nel motivo di impugnazione ora in esame non sia stata debitamente precisata, nei suoi contenuti, la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronuncia di merito, non essendo al riguardo sufficiente la sola indicazione delle singole norme che si assumono violate, non seguita da alcuna dimostrazione per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata.

Non assolvendo la formulazione del motivo di ricorso al suo precipuo scopo, e cioè quello di porre la Corte di legittimità in condizioni di adempiere al suo istituzionale compito (di verificare il fondamento della lamentata violazione), non resta che concludere che anche il secondo motivo è inammissibile.

7. Il terzo motivo d’impugnazione principale.

Con il terzo mezzo (intestato come: "Motivazione insufficiente su fatto decisivo e controverso – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5") la parte ricorrente si duole del fatto che il giudicante abbia omesso di riconoscere la sussistenza dei caratteri della stabile organizzazione in ragione degli acclarati "atti eccedenti la ordinaria attività di commissionaria alla vendita" effettuati da parte di BS spa.

Ed invero, la BS spa avrebbe dovuto limitarsi alla conclusione di contratti di vendita per conto della committente BSI BV, ma contrariamente a ciò erano stati rinvenuti dei "contratti di deposito e dei contratti di comodato stipulati dalla BS spa con delle strutture ospedaliere" a mezzo dei quali la BS spa aveva disposto dei prodotti della BSI BV senza specifico mandato in proposito.

D’altronde, anche il Dott. T. aveva dichiarato che in alcuni casi i macchinari non erano concessi in comodato ma bensì "affittati ai clienti", e ciò senza che fosse chiaro in virtù di quali poteri il commissionario alla vendita potesse disporre anche la locazione di beni altrui.

Lo stesso T. aveva dichiarato che – per ciò che concerne la firma dei contratti di deposito e di comodato – si era nel tempo stabilizzata la prassi che egli firmasse per conto di BSI BV "per ottenere uno snellimento della definizione dei contratti".

Ed ancora, dalle dichiarazioni rilasciate dal Dott. S. (all. n. 13 al PVC) risultava che la BS spa aveva compiuto operazioni di factoring aventi ad oggetto la cessione di crediti della BSI BV, sostenendone per intero gli oneri e senza successivamente ribaltarli in capo alla committente; ed ancora (come risultava a pag. 19 del PVC) la BS spa aveva partecipato alle spese del Gruppo Boston in materia di marketing strategico ovvero di assicurazioni per contratti di responsabilità civile per promotori nei vari paesi Europei, senza ricevere in cambio alcun corrispettivo.

Tutti questi elementi (ed in particolare la sopportazione di costi per contratti stipulati dalla controllante a suo esclusivo beneficio) costituivano sintomo di una partecipazione della commissionaria di vendita ad attività estranee al proprio ruolo, circostanze che invece – paradossalmente – la Commissione di appello aveva ritenuto sintomatiche dell’autonomia della società italiana.

Anche questo ulteriore mezzo di censura è inammissibile.

La parte ricorrente infatti assembla una serie di elementi di fatto (dedotti peraltro in maniera difforme dal canone dell’autosufficienza, che ne imporrebbe la specifica declinazione sia con riferimento ai luoghi della loro produzione documentale che con riferimento alla specifico contenuto del documento stesso) per assumere che essi siccome sintomo della effettuazione da parte di BS spa di atti eccedenti la ordinaria attività di commissionaria alla vendita – sarebbero stati trascurati nella loro decisiva rilevanza dal giudice del merito.

Senonchè, la parte ricorrente non spiega e chiarisce in alcun modo la ragione per la quale atti denominati come: contratto di deposito;

contratto di comodato; contratto di locazione; contratto di factoring, sarebbero estranei ed ultronei ed addirittura in contraddizione con i compiti tipici del commissionario alla vendita, tanto che detti atti finiscono per rientrare nell’ambito di ciò che il Commentario OCSE (al par. 38.7) definisce come "attività che economicamente attengono alla sfera della suddetta impresa piuttosto che a quella delle proprie operazioni commerciali".

Non è quindi chi non veda che tali modalità apodittiche di prospettazione della censura realizzano una mera contrapposizione con le argomentate considerazioni con le quali la Commissione di appello ha esaminato gli elementi indiziari qui riproposti dalla parte ricorrente e ne ha disatteso la rilevanza, valorizzandoli al contrario come sintomi della indipendenza della posizione della società italiana rispetto al quella di diritto olandese (nel capitolo riservato ai "rapporti commerciali"), sicchè dette modalità non possono che dare luogo ad un giudizio di inammissibilità.

Il difetto di una chiara illustrazione delle ragioni per le quali la ridotta rilevanza attribuita dal giudice del merito ad una o all’altra delle circostanze di fatto acquisite alla causa come materiale istruttorie dovrebbe acquisire carattere decisivo ai fini della diversa soluzione della questione controversa costituisce senz’altro motivo di inammissibilità della censura, atteso il ripetuto insegnamento di questa Corte: "Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa. Nè, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il controllo sulla motivazione che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un (non consentito) giudizio di merito, se – confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie – prendesse di ufficio in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione, accogliendo il ricorso "sub specie" di omesso esame di un punto decisivo" (Cass. Sez. L, Sentenza n. 3161 del 05/03/2002).

In conclusione, nessuno dei motivi di impugnazione formulati dalla parte ricorrente appare ammissibilmente formulato. Il rigetto dei motivi di impugnazione principale preclude l’esame di quelli del ricorso incidentale, che sono stati espressamente condizionati all’eventuale accoglimento dei primi.

La regolazione delle spese di lite è informata al principio della soccombenza, per ciò che attiene a questo grado di giudizio.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite, liquidate in Euro 20.000,00 oltre accessori di legge ed oltre Euro 100,00 per esborsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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