Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-07-2011) 07-10-2011, n. 36373

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 16.2.2010 la Corte d’Appello di Bologna confermava la sentenza del GUP presso il Tribunale di Parma che il 24.6.2009 aveva condannato, in concorso, alle pene ritenute di giustizia, S.G., I.A. e G. V. per il reato di rapina in danno di più persone, sequestro di persona e detenzione di armi.

In particolare la Corte Territoriale riteneva sussistente il reato di sequestro di persona e non quello di cui all’art. 610 c.p., considerato che gli imputati con il loro comportamento avevano leso non solo la libertà psichica dei soggetti passivi, limitandone l’autodeterminazione, ma anche la libertà fisica intesa come libertà di movimento. Così come riteneva sussistente a carico di tutti i compartecipi i reati di sequestro di persona e detenzione di armi.

Con riguardo alla specifica posizione del S. riteneva sussistente l’ipotesi di concorso e l’assenza dell’attenuante della minima partecipazione, considerato il ruolo svolto dalla stesso nella realizzazione delle rapine e la circostanza che il reato era stato realizzato da più di cinque persone. Ricorrono per Cassazione i difensori degli imputati S.G. e I. A..

In particolare la difesa di S.G. deduce come unico motivo la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B) ed E), in relazione all’art. 605 c.p., per erronea applicazione della legge penale e per mancanza e manifesta illogicità della motivazione e contraddittorietà della stessa risultante dal testo del provvedimento impugnato e dai motivi d’appello. Contesta il ricorrente la sussistenza del reato di sequestro di persona considerato che le vittime non erano state chiuse a chiave, prova ne è che ebbero immediatamente la possibilità di uscire, appena avuta la consapevolezza che gli imputati si erano allontanati. Evidenzia che la privazione della libertà non si è protratta per un tempo apprezzabile dopo la rapina e che la stessa è stata limitata esclusivamente alla fase esecutiva della stessa, con la conseguenza che la condotta deve essere considerata unica. La difesa I. deduce:

1. violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), in relazione all’art. 546 c.p.p. per inosservanza della norma processuale che determina nullità della sentenza.

Omessa motivazione con riferimento alla divergenza esistente tra dispositivo e motivazione della sentenza di primo grado quanto alla contestata recidiva. Lamenta il ricorrente di avere appellato la sentenza di primo grado deducendo espressamente palese contraddittorietà fra dispositivo e motivazione nella parte riferita alla contestata recidiva. Evidenzia che nel dispositivo, pur in presenza della ritenuta concessione delle circostanze attenuanti genetiche, non vi era alcuna indicazione circa il giudizio di bilanciamento operato con la ritenuta recidiva, mentre in motivazione vi era l’indicazione di un giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza. La Corte d’appello a fronte di tale specifico motivo si è limitata a confermare la sentenza di primo grado. Si duole in ogni caso il ricorrente della ritenuta sussistenza della contestata recidiva considerato che l’imputato è gravato da precedenti penali di scarsissimo allarme sociale, realizzati in epoca risalente 2. violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), in relazione agli artt. 605 e 610 c.p. per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Ricorre per Cassazione personalmente G.V. deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in:

1. violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B). Lamenta l’eccessività della pena.

2. violazione dell’art. 606, comma 1, lett. E) per mancanza, manifesta illogicità e travisamento del fatto.

Il ricorso di S.G. è infondato. La Corte territoriale ha dato conto, con motivazione logica e corretta giuridicamente, della sussistenza del reato di sequestro di persona dando atto in particolare che la circostanza che le porte non furono chiuse a chiave non è sufficiente ad escludere il reato di cui all’art. 605 c.p., e neppure a derubricare la condotta nella norma incriminatrice di cui all’art. 610 c.p., sottolineando come la giurisprudenza di legittimità ritiene sussistente il delitto di sequestro di persona quale che sia il mezzo usato dal soggetto attivo, purchè esso sia idoneo a raggiungere lo scopo di limitare la libertà di movimento della vittima; a tal fine non è sempre necessaria una attività fisica o una manovra di tipo materiale, ma è sufficiente anche una coazione di ordine morale, quale è quella costituita dalle minacce, tanto più se si tratta di minaccia a mono armata, come è avvenuta nel caso di specie . Ha altresì evidenziato la diversa incidenza della violenza e minaccia sulla libertà del soggetto passivo nelle due ipotesi di reato, pervenendo alla conclusione della sussistenza nel caso in esame di una situazione di coazione che si è risolta in una restrizione complessiva della libertà fisica, intesa come libertà di movimento e di collocazione nello spazio, degli avventori del circolo, situazione che si è protratta dopo l’esecuzione della rapina per consentire ai malviventi di guadagnarsi la fuga prima che venisse dato l’allarme e ha concluso correttamente per la sussistenza del reato di sequestro di persona.

Le considerazioni espresse impongono la reiezione anche della seconda doglianza avanzata da I.A. che contesta la sussistenza del reato di sequestro di persona.

Anche il primo motivo di ricorso di I.A. deve essere respinto. Nella motivazione della sentenza di primo grado si legge che ad I., cui era stata contestata la recidiva, erano concesse le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle contestate aggravanti e alla recidiva e di conseguenza veniva fissata la pena base in anni sei e mesi 6 di recl. ed Euro 3000,00 di multa, riconosciute le attenuanti generiche ritenute equivalenti alle contestate aggravanti e alla recidiva … Non riteneva il primo giudice di poter partire, per il calcolo della pena base, dal minimo … ribadiva però di ritenere di dover concedere le attenuanti generiche in termini di equivalenza sulla contestata aggravante e recidiva per adeguare la pena al fatto … nel dispositivo indicava l’aumento per la recidiva e la concessione delle attenuanti generiche senza alcun giudizio di bilanciamento. Ciò detto deve rilevarsi che il principio per cui il contrasto tra il dispositivo e la motivazione della sentenza deve essere sempre risolto con il criterio della prevalenza dell’elemento decisionale su quello giustificativo non può costituire un canone interpretativo inderogabile, attesa l’ampia gamma dei contrasti che possono in proposito sussistere (Cass. Sez. 1 n. 37536/2010; Cass., sez. 4, 24 giugno 2008, n. 27976, rv. 240379).

La regola generale secondo la quale, in caso di difformità, il dispositivo prevale sulla motivazione della sentenza incontra una deroga nel caso in cui, come quello in argomento, l’esame della motivazione consenta di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente il procedimento seguito dal giudice per determinare la pena (Cass., sez. 3, 25 settembre 2007, n. 38269, rv. 237828). Lo stesso ricorrente dimostra di avere colto la volontà del giudicante dal momento che nei motivi d’appello ha chiesto l’esclusione dell’aggravante della recidiva e la prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante specifica. Richiesta disattesa dalla Corte con motivazione coerente e priva di vizi logici.

Il ricorso di G.V. deve essere dichiarato inammissibile, giacchè i motivi in esso dedotti sono manifestamente infondati e ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare, per di più, non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente a mente dell’art. 591 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), all’inammissibilità.

I ricorsi di S. e I. devono essere rigettati. Il ricorso di G. deve essere dichiarato inammissibile. Tutti i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e il solo G. della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Deve altresì procedersi alla correzione degli errori materiali contenuti nelle sentenze di 1 e 2 grado nel senso che, ove è scritto " S.G. n. il (OMISSIS)" debba leggersi " S. G. nato (OMISSIS).

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi di S.G. e I.A. e dichiara inammissibile il ricorso di G.V.. Condanna tutti i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed il solo G. della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Dispone procedersi alla correzione degli errori materiali contenuti nelle sentenze di 1 e 2 grado nel senso che, ove è scritto " S.G. n. il 6.3.1964" debba leggersi " S. G. nato il (OMISSIS)" Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza.

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