Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-07-2011) 07-10-2011, n. 36369 Falsità in scrittura privata Falsità materiale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 13.7.2009 la Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Roma che, in data 3.10.2008 aveva condannato T.S., alle pene ritenute di giustizia, per i reati, in concorso con P.G., di cui all’art. 81 cpv c.p., L. n. 197 del 1991, art. 12, in danno di D.V. e art. 485 c.p..

In particolare la Corte distrettuale aveva disatteso le doglianze difensive affermando l’assoluta incredibilità dei fatti forniti dall’imputato che aveva sostenuto la sua buona fede. In particolare ha sottolineato che l’attività professionale svolta dal prevenuto lo poneva continuamente di fronte all’utilizzo di carte di credito da parte della clientela e gli imponeva di conoscerne la disciplina, per non trovarsi di fronte al rifiuto di qualche società emittente di corrispondergli il corrispettivo di operazioni non perfettamente conformi alle norme d’uso di quel documento. Aggiungeva che se l’imputato fosse stato in buona fede, attesa la delicatezza del fatto e il rischio anche economico per la sua azienda, derivante dall’abuso del numero della carta di credito in questione, non avrebbe certamente accettato di trattenere a propria "garanzia" la fotocopia di quel documento lasciando che il P. trattenesse per sè l’originale, peraltro mai trovato. Riteneva pertanto che il prevenuto, se non aveva formato materialmente il documento falso, aveva quantomeno concorso con altri in tale formazione.

Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in:

1. Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. B) ed E), in relazione all’art. 485 c.p.. Omessa motivazione Lamenta il ricorrente l’omessa pronuncia sulla doglianza relativa all’insussistenza del reato di falso nel caso di copia fotostatica. Sostiene che la lettera in contestazione è frutto di una scannerizzazione di una lettera vera.

Il motivo è infondato. La locuzione "scritture private" utilizzata dal legislatore nell’art. 485 c.p. è generica e tende a ricomprendere ogni documento formato dal privato nello svolgimento di un’attività giuridicamente rilevante, per cui può correttamente affermarsi che/da un lato;la nozione penalistica di "scrittura privata" non coincide necessariamente con quella fornita dal codice civile, dall’altro che l’ambito del genus in esame può essere tracciato in negativo, essendo volto ad includere tutti quegli atti che non sono esplicazione di pubbliche potestà. L’atto privato è, infatti, oggetto di tutela penale in quanto disponga di un contenuto giuridicamente rilevabile nel senso che "crei, determini o ponga in essere una situazione di diritto soggettivo ovvero constati o affermi una situazione di diritto oggettivo". Partendo da questi presupposti questa Corte ha affermato che ai fini della giustizia penale la nozione di scrittura privata ha un contenuto più ampio di quello previsto dall’ordinamento civile: non può restringersi a quegli atti che contengono dichiarazioni o manifestazioni di volontà idonee a produrre la nascita, la modificazione o l’estinzione di un diritto soggettivo, ma comprende anche tutte le scritture formate da privato che si riferiscono a situazioni dalle quali possono derivare effetti giuridicamente rilevanti, vantaggiosi o dannosi per un determinato soggetto. (Sez. 6, Sentenza n. 7108 del 19/03/1980).

Correttamente pertanto la Corte territoriale ha ritenuto sussistente il reato contestato, sulla cui materialità non vi è neppure contestazione, considerato che nel ricorso si afferma che è evidente che l’imputato dopo aver scannerizzato la lettera vera sul computer, aveva solo cancellato il contenuto grafico della stessa sostituendolo con una dichiarazione di delega a suo favore per utilizzare la carta di credito, motivando in maniera congrua la responsabilità del T. che di tale atto, poi disconosciuto dall’interessato, ne aveva fatto uso.

Premesso infatti che nel caso di specie, come indicato nello stesso ricorso, si verte in ipotesi di creazione di un documento falso attraverso la manipolazione di un documento vero scannerizzato, deve rilevarsi che le copie così ottenute sono equiparate a quelle autentiche non solo in presenza di una esplicita attestazione di conformità all’originale, ma anche quando manchi un espresso disconoscimento degli interessati. Finchè il disconoscimento non sia intervenuto la fotocopia di una scrittura privata compiuta da privati ha la stessa efficacia probatoria delle scritture private originali, con la conseguenza che il privato che falsifichi una fotocopia di una scrittura privata risponde di falsità ex art. 485 c.p.. (V 119679, 117588, anno 1971 n. 7778/73).

La giurisprudenza citata dal ricorrente non riguarda infatti la violazione dell’art. 485 c.p., bensì la violazione dell’art. 482 c.p. che riguarda la falsificazione di atti pubblici o certificati ed autorizzazioni amministrative e non scritture private.

Il ricorso deve essere respinto ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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