Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-05-2011) 07-10-2011, n. 36395 Incompetenza per territorio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 29 aprile 2010, la Corte d’Appello di Trieste ha confermato la sentenza del GUP del Tribunale di Udine del 27 giugno 2007, resa a seguito di giudizio abbreviato, con la quale l’imputato era stato condannato per associazione a delinquere e per i reati-fine di: dichiarazione fiscale fraudolenta, emissione di fatture per operazioni inesistenti per evadere l’IVA, occultamento e distruzione di documenti fiscali obbligatori, falso ideologico, frode in commercio, omesse dichiarazioni IVA e dei redditi. In sintesi:

secondo quanto ritenuto in sentenza, l’imputato avrebbe partecipato, insieme con altri, ad un’associazione diretta a realizzare, nell’ambito del commercio di autoveicoli, le cosiddette "frodi- carosello" e una serie di reati-satellite.

2. – Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.

Si deduce, in primo luogo, l’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 8, 9 c.p.p. e art. 416 c.p., nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto all’eccepito difetto di competenza del Tribunale di Udine. Ad avviso dell’imputato la competenza territoriale sarebbe da individuare nella circoscrizione di Padova o in quella di Treviso, perchè in tali luoghi sarebbero stati commessi i reati contestati.

Con un secondo motivo di doglianza, si prospetta la carenza ed erroneità della motivazione sul reato di cui all’art. 416 bis, quanto all’esistenza: del vincolo associativo, dell’indeterminatezza del programma criminoso, di una struttura organizzata.

Con un terzo motivo, si lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla penale responsabilità dell’imputato, perchè questo – contrariamente a quanto ritenuto in sentenza – non sarebbe stato l’amministratore di fatto di alcuna società, ma solo un semplice dipendente.

Con un quarto motivo, si lamenta la carenza di motivazione relativamente alla determinazione della pena e alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

3.1. – Con il primo motivo di impugnazione, il ricorrente denuncia il difetto di competenza del Tribunale di Udine, che ha proceduto al giudizio abbreviato.

Deve richiamarsi, sul punto, l’orientamento largamente prevalente nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la questione relativa alla competenza territoriale sollevata e disattesa nel corso dell’udienza preliminare non è più proponibile una volta che l’imputato è stato ammesso al giudizio abbreviato, perchè egli ha accettato di essere giudicato con un rito in cui manca il segmento processuale dedicato alla trattazione delle questioni preliminari (ex plurimis, Sez. 6^, 18 settembre 2003, n. 44726; Sez. 6^, 4 maggio 2006, n. 33519; Sez. 4^, 20 novembre 2008, n. 2842/2009; Sez. 1^, 13 maggio 2009, n. 22750; Sez. 1^, 18 settembre 2009, n. 38388; Sez. 1^, 13 gennaio 2010, n. 10399; Sez. 5^, 15 dicembre 2010, n. 1937/2011;

Sez. 5^, 2 dicembre 2010, n. 3035/2011; ma contrai Sez. 6^, 23 settembre 1998, n. 13624; Sez. 1^, 10 giugno 2004, n. 37156).

Tale orientamento trova applicazione nel caso di specie, in cui – come riportato nella sentenza d’appello – il processo è giunto davanti al GUP del Tribunale di Udine a seguito del rinvio a giudizio di numerosi imputati e la questione di incompetenza per territorio è stata sollevata nel corso dell’udienza preliminare, prima che fosse operato lo stralcio delle posizioni di alcuni coimputati e prima dell’ammissione di B. al giudizio abbreviato. E ciò, a prescindere dall’ampia motivazione contenuta nella sentenza impugnata sull’applicazione alla fattispecie in esame dei criteri di individuazione della competenza territoriale.

Ne consegue che il primo motivo di ricorso è precluso, indipendentemente dalla sua manifesta infondatezza.

3.2. – Con il secondo e il terzo motivo di doglianza, si prospetta la carenza ed erroneità della motivazione sul reato di cui all’art. 416 bis, quanto all’esistenza del vincolo associativo, dell’indeterminatezza del programma criminoso, di una struttura organizzata, nonchè quanto al fatto che B. non sarebbe stato amministratore di fatto di alcuna società, ma semplice dipendente.

Anche tali motivi sono infondati. Deve, infatti, rilevarsi che la sentenza censurata contiene, in riferimento a entrambi tali profili, una motivazione ampiamente sufficiente e logicamente coerente.

La Corte evidenza, in sintesi, che: a) il coimputato M. ha dichiarato che B. gli propose di mettere in piedi un’organizzazione per realizzare "frodi-carosello" nel settore automobilistico, secondo lo schema, assai noto, dell’interposizione fittizia di un soggetto di comodo tra il venditore estero e l’impresa realmente interessata alla transazione commerciale; b) le false fatture riferite a tali operazioni fittizie erano inviate da B.; c) dalle dichiarazioni di M., T., Q., C. si desume univocamente che B. aveva avuto rapporti con i coimputati nello stesso periodo di tempo;

d) B. svolgeva l’attività illecita utilizzando dei prestanome, come T.M., che solo formalmente figurava essere amministratore delegato della società Megauto, o A. in relazione alla società Terza dimensione; e) esisteva una commistione di sede effettiva e di gestione fra le società delle quali B. era amministratore di fatto, che operavano in contemporanea con i diversi coimputati; f) i prezzi e le condizioni delle operazioni erano concordati con B.; g) vi era, dunque, la volontà concorde di tutti i soggetti partecipanti al sodalizio di commettere un numero indeterminato di reati-fine, e tale volontà emerge, fra l’altro, dal consistente numero di auto acquistate; h) vi era un’organizzazione stabile, costituita dal sistema delle società di comodo gestite da B., al quale i coimputati partecipavano; i) B. non figurava mai quale amministratore delle società di comodo da lui gestite, ma solo come dipendente di una di esse, ma era stato lui a creare l’organizzazione, a reperire i prestanome, a indicare i prezzi, a dirigere le varie attività illecite.

A fronte di una siffatta motivazione – la quale appare, come visto, del tutto completa e coerente, perchè prende in considerazione analiticamente tutti i profili rilevanti del quadro probatorio emerso dalle indagini e ne fa logicamente conseguire la responsabilità penale, fra gli altri, dell’imputato odierno ricorrente – le censure mosse, tutte relative alla ricostruzione dei fatti, si esauriscono in una richiesta di riesame del materiale probatorio già esaminato.

Trova, perciò, applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione normativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (ex plurimis, tra le pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46: Sez. 6^, 29 marzo 2006, n. 10951; Sez. 6^, 20 aprile 2006, n. 14054; Sez. 3^, 19 marzo 2009, n. 12110; Sez. 1^, 24 novembre 2010, n. 45578; Sez. 3^, 9 febbraio 2011, n. 8096).

3.3. – Del pari infondata è la censura relativa alla pretesa carenza di motivazione circa la determinazione della pena e la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

La sentenza impugnata è infatti motivata in modo completo e corretto anche su tale profilo, laddove, richiamando la sentenza di primo grado, rileva l’esistenza di due precedenti per bancarotta fraudolenta, oltre alla pluralità delle condotte, all’entità del danno erariale e al ruolo di coordinamento svolto dall’imputato, e ne fa conseguire l’adeguatezza del trattamento sanzionatorio disposto dal primo giudice.

4. – Ne deriva il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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