T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 08-11-2011, n. 8609 Lavoro straordinario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente, dipendente della USL di Viterbo con qualifica di operatore socio sanitario (III livello), con ricorso notificato il 12 settembre 2000 e depositato il successivo 14 settembre chiede l’accertamento del proprio diritto a percepire la retribuzione ai sensi dell’art. 80 del d.P.R. n. 384 del 1990 e dell’art. 34 del CCNL 1998/2001 relativa alle ore di lavoro prestato a titolo di straordinario nella sue diverse tipologie (normale, festivo o notturno) con riferimento al periodo anteriore al 30 giugno 1998 e conseguente condanna dell’Azienda intimata al pagamento di quanto dovuto da calcolarsi sulla base oraria di Lire 16.349, per il numero di ore effettivamente svolte, come da tabulato rilasciato dalla stessa Azienda.

Riferisce che nel corso degli anni ha svolto numerose ore di lavoro straordinario per le quali non ha percepito alcun compenso. Ciò è confermato dal tabulato rilasciato al ricorrente dalla stessa Azienda ove risulta la posizione del dipendente in relazione all’attività prestata in cui viene evidenziato il residuo delle ore non liquidate, che fino sl 30 giugno 1996 risultano essere pari ad ore 1.014,24.

La mancata corresponsione della dovuta retribuzione si porrebbe – secondo la prospettazione del ricorrente – in contrasto sia con l’art. 34 n. 7 del CCNL del 1998/2001 sia con l’art. 80, n. 7 del CCNL n. 384 del 1990, che specificano le misure orarie dei compensi per lavoro straordinario.

Non sussistendo, quindi, alcun dubbio sull’effettiva attività svolta dal ricorrente a titolo di lavoro straordinario, questi rivendica la retribuzione dovuta, tenendo conto della diversa retribuzione prevista per ciascun tipo di straordinario effettivamente prestato, quanto meno fino al 30 giugno 1998.

L’Azienda intimata, costituitasi in giudizio, conclude per il rigetto del ricorso.

All’Udienza del 12 ottobre 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

La giurisprudenza si è più volte soffermata sull’argomento in discussione (cfr., da ultimo, Cons. Stato n. 7625 del 2010; TAR Lazio, sez. III, n. 11160 del 2008), rilevando che nell’ambito del rapporto di pubblico impiego la circostanza che il dipendente abbia effettuato prestazioni eccedenti l’orario d’obbligo non è da sola sufficiente a radicare il suo diritto alla relativa retribuzione (e l’obbligo dell’amministrazione di corrisponderla), atteso che, altrimenti, si determinerebbe quoad effectum l’equiparazione del lavoro straordinario autorizzato rispetto a quello per il quale non sia intervenuto alcun provvedimento autorizzativo, compensando attività lavorative svolte in via di fatto, di cui non sia stata accertata la rispondenza a concrete ed effettive necessità (C.d.S., sez. V, 23 marzo 2004 n. 1532).

È noto infatti che la retribuibilità delle prestazioni di lavoro straordinario è condizionata all’esistenza di una formale autorizzazione allo svolgimento di prestazioni lavorative eccedenti il normale orario d’ufficio: detta autorizzazione svolge una pluralità di funzioni, tutte riferibili alla concreta attuazione dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento cui, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, deve essere improntata l’azione della pubblica amministrazione.

Invero, sotto un primo profilo, l’autorizzazione (che di regola dev’essere preventiva, ma che tuttavia può assumere eccezionalmente anche la forma del provvedimento in sanatoria, ex post) implica la verifica in concreto della sussistenza delle ragioni di pubblico interesse, che rendono necessario il ricorso a prestazioni lavorative eccedenti l’orario normale di lavoro (ex pluribus, C.d.S., sez. IV, dec. 24 dicembre 2003 n. 8522; sez. V, dec. 10 febbraio 2004 n. 472, dec. 27 giugno 2001 n. 3503 e dec. 8 marzo 2001 n. 1352; sez. VI, dec. 14 marzo 2002 n. 1531); inoltre, essa rappresenta anche lo strumento, più adeguato, per evitare, per un verso, che attraverso incontrollate erogazioni di somme di danaro, per compensare prestazioni di lavoro straordinario, si possano superare i limiti di spesa fissati dalle previsioni di bilancio (con grave nocumento dell’equilibrio finanziario dei conti pubblici) e, per altro verso, che i pubblici dipendenti siano assoggettati a prestazioni lavorative che, eccedendo quelle ordinarie (individuate come punto di equilibrio fra le esigenze dell’amministrazione e il doveroso rispetto delle condizioni psico – fisiche del dipendente), possano creare per l’impiegato nocumento alla sua salute ed alla sua dignità di persona.

Sotto altro profilo, poi (e con particolare riferimento al principio del buon andamento), la formale preventiva autorizzazione al lavoro straordinario deve costituire, per l’amministrazione, anche lo strumento per l’opportuna ed adeguata valutazione delle concrete esigenze dei propri uffici (quanto al loro concreto funzionamento, alla loro effettiva capacità di perseguire i compiti assegnati ed espletare le funzioni attribuite dalla legge, nonché all’organizzazione delle risorse umane ed alla loro adeguatezza), onde evitare che il sistematico ed indiscriminato ricorso alle prestazioni straordinarie costituisca elemento di programmazione dell’ordinario lavoro di ufficio.

Deve anche aggiungersi che la preventiva autorizzazione allo svolgimento di prestazioni lavorative straordinarie costituisce assunzione di responsabilità, gestionale e contabile, per il dirigente che la emette.

La giurisprudenza ha anche affermato che il principio della indispensabilità dell’autorizzazione allo svolgimento del lavoro straordinario subisce eccezione quando l’attività sia svolta per obbligo d’ufficio (al riguardo si parla di autorizzazione implicita), ma, nel rispetto dei principi costituzionali sopra ricordati, deve pur sempre trattarsi di esigenze indifferibili ed urgenti (C.d.S., sez. V, dec. 9 marzo 1995 n. 329).

Sulla scorta di tali consolidati e condivisibili principi il ricorso in esame non può trovare favorevole considerazione.

In punto di fatto è pacifico che le prestazioni di lavoro straordinario di cui l’interessato chiede il pagamento non siano mai state autorizzate, né in via preventiva, come di norma dovrebbe avvenire, né successivamente in via di sanatoria, come pure è ammesso in casi eccezionali.

Ciò trova documentale conferma nei tabulati mensili delle presenze, relative al periodo in contestazione, che indicano le ore di lavoro straordinario effettuate, trattandosi di mera operazione aritmetica ed automatica, mancando qualsiasi elemento indiziario da cui ricavare che alla ricordata contabilizzazione (e differenziazione) automatica (in ordinarie e straordinarie) delle ore di servizio prestate corrisponda un’autorizzazione implicita (o quanto meno una in sanatoria) alla prestazione di lavoro straordinario.

D’altra parte, è appena il caso di rilevare che la stessa disciplina invocata a sostegno della pretesa azionata (art. 80 del d.P.R. 28 novembre 1990 n. 384 ed artt. 19 e 62 del c.c.n.l), lungi dal riconoscere la libera prestazione di lavoro straordinario, ne circoscrive l’ammissibilità a situazioni contingenti ed eccezionali ed a ben precisi limiti temporali.

In conclusione, alla stregua delle osservazioni svolte, il ricorso dev’essere respinto.

La risalenza della controversia giustifica la compensazione delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *