Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-03-2012, n. 3701

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel maggio del 1996 la Senfter s.p.a. e la Vifra s.n.c. stipularono un contratto di agenzia a tempo indeterminato, per effetto del quale quest’ultima assunse la veste di agente in via esclusiva per la promozione dei prodotti Senfter in tutta la regione Calabria.

Nel dicembre del 1997 la concedente comunicò la cessazione del rapporto per motivi di riorganizzazione della struttura di vendita.

Nel febbraio del 1999, la Vifra evocò in giudizio la Senfter dinanzi al tribunale di Reggio Calabria, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni a suo dire patiti in conseguenza della concorrenza sleale attuata in suo pregiudizio dalla convenuta. Il giudice di primo grado respinse la domanda. La corte di appello del capoluogo calabrese, investita del gravame proposto dall’attrice in prime cure, lo rigettò nel merito, non senza averne in limine rilevato l’inammissibilità per difetto del requisito di specificità dei motivi di appello, non avendo l’appellante contrapposto alle argomentazioni poste a base della decisione delle altre di segno diverso, idonee a contrastare il fondamento logico-giuridico delle prime, ma stancamente ha reiterato quanto già detto in primo grado (in particolar modo, negli scritti difensivi conclusionali), accusando genericamente il giudice reggino di essersi platealmente e clamorosamente discostato da quei principi giurisprudenziali ormai consolidati in subiecta materia, ai quali pure aveva fatto puntuale riferimento (così, testualmente, la sentenza impugnata al folio 10).

La sentenza è stata impugnata da con ricorso per cassazione articolato in 4 motivi.

Resiste con controricorso la Senfter.

Le parti hanno depositato entrambe memorie illustrative.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile. Sotto plurimi, concorrenti profili.

Prima di passare all’esame dei motivi di doglianza rappresentati a questa corte dalla difesa della Vifra, è necessario esaminare l’eccezione sollevata dalla contro ricorrente, che lamenta una pretesa carenza di legittimazione attiva dell’odierna ricorrente per esserne variata la ragione sociale. L’eccezione è infondata.

L’atto di appello risulta, difatti, proposto, in data 13.5.2005, dalla Vifra snc, e la sentenza di appello è stata emessa nei confronti di tale società senza che se ne fosse mai stata rilevata la modifica della ragione sociale, avvenuta cinque anni prima (modifica comprovata dalla documentazione riprodotta in sede di controricorso, della cui legittimità non è lecito dubitare – come mostra di fare il ricorrente – trattandosi di documenti afferenti, in ipotesi, "alla ammissibilità del ricorso", giusta disposto dell’art. 372 c.p.c.).

Non vale, peraltro, evocare in argomento il principio (non pertinentemente invocato in memoria dal ricorrente) secondo il quale, nel giudizio cassazione, la qualità di parte legittimata a proporre l’impugnazione spetta a chi, indipendentemente dalla effettiva titolarità del diritto, abbia formalmente assunto tale qualità nel giudizio di merito conclusosi con la decisione impugnata (Cass. 18589/08), poichè, nel caso di specie, non di titolarità del rapporto sostanziale, bensì di legitimatio ad causam è lecito discorrere, presupposto processuale il cui difetto è bensì rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, senza che, all’uopo, possa legittimamente invocarsi alcun principio di preclusione da giudicato, poichè tratterebbesi, in ipotesi, di impugnazione proposta da soggetto non più giuridicamente esistente, e dunque, tamquam non esset.

Verosimile, di converso, appare che l’indicazione dell’acronimo s.n.c. in luogo di quello s.a.s. sia frutto di un mero lapsus calami, inidoneo come tale ad ingenerare dubbi sulla reale identità e sulla attuale esistenza del soggetto che agisce oggi in sede di legittimità, volta che l’amministratore della società di persone oggi in giudizio era e rimane B.V., titolare del potere rappresentativo dell’ente e di quello di rilasciare valido ed efficace mandato ad litem in rappresentanza organica della sas Vifra.

Con il primo motivo, si denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per contraddittoria motivazione circa un fatto processuale controverso e decisivo per il giudizio.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione all’art. 342 c.p.c. per omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Entrambe le doglianze, da esaminarsi congiuntamente attesane la intrinseca connessione, sono inammissibili sotto concorrenti profili, come poc’anzi anticipato. Va premesso, in argomento, come le sezioni unite di questa stessa Corte, con la sentenza n. 3840 del 2007, chiamate a dirimere un contrasto di giurisprudenza insorto tra le sezioni semplici, abbiano affermato il principio della irrilevanza di una eventuale declaratoria di infondatezza nel merito dell’appello da parte del giudice di secondo grado volta che questi ne abbia pregiudizialmente rilevato la inammissibilità (nella specie, per difetto di specificità dei motivi).

Non essendo, pertanto, rilevabile alcuna contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata (dovendosene considerare la parte relativa all’esame del merito tamquam non esset), l’inammissibilità dei motivi in esame consegue:

da un canto, alla non redimibile erroneità della doglianza rappresentata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come vizio motivazionale, e non anche (come invece necessario), ai sensi del precedente n. 3 del medesimo articolo, come violazione di legge;

dall’altro, alla (inevitabile) carenza dei necessari quesiti di diritto, concludendosi entrambi i motivi (correttamente, dal punto di vista defensionale) con la sola indicazione "del fatto controverso e decisivo per il giudizio";

dall’altro ancora, alla totale omissione della riproduzione, rilevante in parte qua (pur necessaria, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso), dei motivi dichiarati inammissibili per mancanza di specificità, onde consentire alla corte il controllo di legittimità sulla pronuncia oggi impugnata senza dover accedere ad attività di esame etero determinate. Alla inammissibilità dei restanti motivi, aventi ad oggetto il merito della decisione del giudice d’appello, consegue, conclusivamente, il rigetto del ricorso.

La disciplina delle spese segue – giusta il principio della soccombenza – come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 6700, di cui Euro 200 per spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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