Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 04-05-2011) 07-10-2011, n. 36387 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza emessa in data 14 aprile 2010 ha confermato la decisione del Tribunale di Brindisi del 7 gennaio 2009 che aveva condannato C.M., alla pena di nove anni di reclusione per i delitti di cui agli artt. 81 cpv, 609- bis, ter e quater e 609 septies c.p. commesso in Francavilla Fontana fino al 31 ottobre 2004, per avere ripetutamente compiuto atti sessuali sulla figlia V., minore di dieci anni.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. Mancata assunzione di una prova decisiva. Il giudice di appello si sarebbe appiattito sulle conclusioni cui era pervenuto il primo giudicante, omettendo di compiere qualsiasi analisi critica sulle doglianze sollevate con l’atto di appello e rigettando le richieste di prova tempestivamente avanzate dalla difesa. Infatti, l’unico ed esclusivo riferimento cognitivo del giudice di primo grado sono state le dichiarazioni rese dalla minore, C.V.. In sede di richiesta ex art. 507 c.p.p., reiterata in appello era stata richiesta perizia psichiatrica a carico della minore, respinta dai giudici di merito. Inoltre le dichiarazioni della presunta abusata sono intervenute successivamente all’ingresso nel processo delle dichiarazioni de relato: sono emersi i fatti dalle relazioni dei servizi sociali e poi c’è stata l’assunzione della testimonianza protetta. Mentre sarebbe stato importante accertare il momento della originaria "prima dichiarazione". I test psicologici proiettivi (disegno tematico, Rorchach, CAT e TAT, FAT, Blacky, favole di Duess) non sarebbero utilizzabili per la diagnosi specifica di abuso sessuale in quanto gli studi sin qui condotti non hanno rilevato esservi differenze tra minori sessualmente abusati e non. Anche il distacco traumatico dal nucleo familiare delle due figlie del C. è stato un fattore inquinante: la vicenda aveva avuto origine da un esposto denuncia a firma di un agente di Polizia, in forza presso la Questura di Bologna che trovandosi in ferie a Francavilla Fontana, aveva appreso da alcuni vicini di casa, degli abusi commessi in danno della minore V.. A seguito di tale esposto, il Tribunale per i Minorenni di Lecce aveva allontanato la piccola V. e la sorella dai genitori, disponendone il ricovero in una casa famiglia e solo dopo tale ricovero la bimba aveva rivelato gli abusi, a seguito di sollecitazione perchè scoperta in atteggiamenti strani. La bambina non sarebbe quindi teste attendibile, sia in riferimento alla vicenda processuale che ci occupa, sia perchè i bambini sono testi inattendibili.

2. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche. Le dichiarazioni rese dalla teste M. e i documenti-relazioni periodiche dalle stesse redatte e acquisite al fascicolo del dibattimento sarebbero totalmente inutilizzabili.

3. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, mancata valutazione prova. I giudici di primo grado, anzichè valutare le dichiarazioni rese dalla minore presuntivamente abusata e della di lei sorella innanzi al Tribunale, si sarebbero richiamati alle relazioni delle assistenti della casa famiglia, riportando parte delle stesse relazioni come se fossero dichiarazioni delle minori stesse. Invece quello che doveva essere valutato erano le dichiarazioni rese dalla bambina con i sistemi e con i modi previsti dalla legge e proprio da quelle emergerebbero contraddizioni, inquinamenti e atteggiamenti fisici e mentali meritevoli di maggiori approfondimenti che non sono stati svolti.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

E’ opportuno ricordare che in tema di rinnovazione del dibattimento in appello, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio che il giudice di secondo grado ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso in cui la accolga, mentre se ritiene che debba essere respinta, potrebbe anche motivarne il rigetto in via implicita, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare (o negare) la responsabilità dell’imputato (Sez. 3, n. 24294 del 25/6/2010, D. S. B., Rv. 247872; sottolinea il carattere eccezionale dell’istituto anche Sez. 5, n. 15320 del 21/4/2010, Pacini, Rv.

246859). Inoltre, quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità, l’eventuale rigetto dell’istanza di rinnovazione istruttoria in appello si sottrae al sindacato del giudice di legittimità (Sez. 6, Sentenza n. 40496 del 19/10/2009, Messina e altro, Rv. 245009).

Ad abundantiam, questo Collegio precisa che, nel caso di specie, la Corte di appello, con una motivazione priva di salti logici e perfettamente coerente con la valutazione di attendibilità della minore, espressa in correlazione con le risultanze probatorie, ha chiarito le ragioni per le quali la richiesta rinnovazione istruttoria fosse del tutto superflua ed inconcludente rispetto agli elementi probatori già acquisiti al processo e valutati dal giudice di prime cure, posto che non emergevano in atti elementi che potessero far pensare ad una malattia psichiatrica della persona offesa, nè risultava acquisita documentazione relativa ad episodi sintomatici di disturbi della bambina anteriori ai fatti come contestati. Peraltro con il motivo di ricorso si vuole in qualche modo porre in discussione la valutazione di attendibilità della minore, avanzando dubbi sulla capacità a deporre della stessa, ma i giudici di merito hanno sottolineato che la valutazione delle capacità cognitive della bambina fu effettata nel dicembre 2004, con la somministrazione di test di intelligenza e proiettivi i quali si limitarono ad accertare un valore di QI particolarmente basso, collegato alla problematica di tipo ansioso con difetto di attenzione, ma comunque la valutazione di capacità a deporre e di attendibilità della testimonianza della minore deriva principalmente dall’assunzione della prova dichiarativa, ossia dall’esame diretto della stessa (e della sorella) che è stata effettuata in dibattimento, con le modalità protette e con l’ausilio all’ascolto della educatrice e di una psichiatra.

D’altra parte non è possibile nel giudizio di legittimità operare una rilettura dei fatti risultanti dal processo: il giudizio di attendibilità delle persone offese e dei testimoni attiene al merito ed il controllo qui operato attiene unicamente al profilo della logicità e non contraddittorietà della motivazione. Infatti la mera prospettazione di una diversa valutazione, più favorevole al ricorrente, delle emergenze processuali non costituisce vizio che comporti controllo di legittimità (Sez. 5, Sentenza n. 7569 del 11/6/1999, Jovino, Rv. 213638). Resta perciò esclusa la possibilità di sindacare le scelte che il giudice di merito ha operato sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, a meno che le stesse non siano il frutto di affermazioni apodittiche o illogiche.

(Cfr. Sez. 3, n. 40542 del 6/11/2007, Marrazzo e altro, Rv. 238016).

Orbene, il giudizio di attendibilità della minore parte offesa è stato espresso dai giudici dei due gradi del giudizio di merito, con conseguente integrazione della struttura motivazionale delle due sentenze. Infatti, come è stato più volte affermato da questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baretti, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061), quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo.

I giudici di appello non hanno recepito acriticamente quanto espresso in primo grado, ma hanno elaborato con piena autonomia una "nuova valutazione" di merito, la quale risulta argomentata alla luce delle contestazioni mosse con l’atto di appello e nel rispetto dei principi della giurisprudenza in materia di attendibilità delle persone offese nei reati sessuali, la quale ha affermato che l’attendibilità deve essere valutata in senso globale, "tenendo conto di tutte le dichiarazioni e circostanze del caso concreto e di tutti gli elementi acquisiti al processo" (Così, Sez. 3, n. 21640 dell’8/6/2010, P., Rv. 247644). Per quanto attiene poi al disvelamento, i giudici hanno esaminato con attenzione la genesi delle rivelazioni della bambina, concordando nella valutazione di spontaneità e veridicità della narrazione, dalla quale emerge con chiarezza anche la mancanza nella bimba di qualunque volontà di compiacere l’interrogante, poichè a fronte di specifiche domande di altri atti sessuali eventualmente subiti (palpeggiamenti e toccamenti) la bimba ha escluso condotte diverse da quelle riferite ("leccare quella cosa dove fa la pipì").

2. Non è fondata neppure la censura relativa alla inutilizzabilità della documentazione acquisita in dibattimento (relazione delle assistenti della casa-famiglia) e della testimonianza della M., la quale ebbe a seguire V. e la sorella sin dal giorno in cui furono allontanate dai genitori (24 novembre 2004) e che ha riferito di quanto dalla stessa riscontrato sia in relazione al deficit nella crescita della minore, sia ai fatti che la bimba ebbe a riferire il 13 dicembre 2004, nonchè circa il percorso psicologico della stessa. La lamentata inutilizzabilità ex art. 228 c.p.p., comma 3 non sussiste, posto che la teste, come anche l’altra psicologa che aveva in carico la sorella A., non è mai stata nominata consulente tecnico del pubblico ministero ed ha quindi validamente potuto riferire sia di quanto rilevato direttamente, sia "de relato" di quanto narratole dalla bambina (come è desumibile da Sez. 3, n. 12647 dell’1/2/2006, Albano, Rv. 234012).

3. A dichiarare l’infondatezza dell’ultima censura relativa alla manifesta illogicità della motivazione valgono le argomentazioni già svolte in riferimento al primo motivo di ricorso. Tutte le argomentazioni avanzate con il presente motivo di ricorso mirano a proporre una diversa lettura delle risultanze processuali, inammissibile nel giudizio di legittimità.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato, ai sensi del disposto di cui all’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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