Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-03-2012, n. 3697 Recesso del conduttore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il tribunale di Roma, pronunciando all’esito della riunione di due giudizi connessi, dichiarò – per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità – la perdurante efficacia di un contratto di locazione stipulato, nel gennaio del 2002, tra le società Sead 1980 e SePa, ritenendo illegittimo il recesso esercitato dalla conduttrice Sepa ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 27, comma 8 atteso che i gravi motivi da essa denunciati non costituivano idoneo fondamento di un legittimo scioglimento anticipato del vincolo contrattuale.

La corte di appello di Roma, investita del gravame proposto dalla Sepa, lo rigettò, osservando che le doglianze rappresentate dalla conduttrice avevano in realtà ad oggetto presunte violazioni di obblighi da parte della locatrice, da far valere con il diverso rimedio della risoluzione del contratto (non senza considerare come, sin dall’aprile del 2003, fosse corsa tra le stesse parti una trattativa per la locazione di un locale attiguo a quello oggetto dell’originario contratto, indirettamente quanto efficacemente dimostrativa della volontà della conduttrice di proseguire nel rapporto negoziale).

La sentenza è stata impugnata dall’appellante con ricorso per cassazione articolato in 4 motivi. Resiste con controricorso la Sead 1980.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in ordine alla mancata ammissione dell’attività istruttoria richiesta con l’atto di gravame.

Con il secondo motivo, si denuncia contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in ordine alla mancata ammissione dell’attività istruttoria richiesta con l’atto di gravame.

Entrambi i motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono privi di pregio.

Essi si infrangono, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto che i gravi motivi di cui all’art. 27 della Legge sull’equo canone (motivi che, per costante giurisprudenza di questa corte regolatrice, devono collegarsi a fatti estranei alla volontà del conduttore, risultando imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto locativo e tali da render oltremodo gravoso il proseguimento del rapporto) fossero nella specie insussistenti, fondando, all’uopo, il proprio convincimento sulla base di prove documentali analiticamente esaminate, oltre che su di una corretta e condivisibile valutazione del comportamento della conduttrice, concretatasi, da un canto, nell’aumento delle proprie postazioni operative, dall’altro, nelle trattative intrattenute per la locazione di un ulteriore locale attiguo a quelli già detenuti, onde la evidente, unilaterale soggettività delle valutazioni compiute dall’odierna ricorrente in ordine all’opportunità di proseguire nel rapporto locativo, ex se inidonee a legittimare l’esercizio del recesso (Cass. 5328/07, ex multis). Il rigetto delle istanze istruttorie della Sepa da parte della corte di appello, correttamente e congruamente motivato alla luce di quanto or ora evidenziato, si appalesa, pertanto, immune da qualsivoglia vizio logico-giuridico, onde il manifestato convincimento di superfluità ed inconferenza delle prove orali invocate dalla Sepa si sottrae tout court al vaglio di legittimità di questa corte regolatrice.

Con il terzo motivo, si denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in ordine al mancato accoglimento della domanda di risoluzione del contratto di locazione per cui è causa.

Il motivo risulta patentemente inammissibile per evidente novità della questione oggi sottoposta all’esame di questo giudice di legittimità, non avendo la ricorrente mai formulato espressa domanda di risoluzione contrattuale (domanda che risulta cripticamente contenuta, per converso, nell’atto di opposizione ingiuntivo, come conseguenza erroneamente discendente, peraltro, dalla invocata declaratoria di legittimità del recesso, e senza che, della diversa domanda di risoluzione, venissero in alcun modo forniti gli elementi di fatto e di diritto costituentine il relativo fondamento, attesa la evidente diversità morfologica e funzionale dei due istituti, come condivisibilmente evidenziato da questo giudice di legittimità:

Cass. 15620 e 15125 del 2005, tra le altre).

Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 1221 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per non avere la corte di appello di Roma ritenuto mancante l’ordinaria diligenza in capo alla locatrice che avrebbe potuto locare nuovamente l’immobile del quale era tornata nella disponibilità a seguito del rilascio effettuato dalla conduttrice.

Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto:

Dica codesta suprema corte se sia inapplicabile l’art. 1227 c.c. ai fini della quantomeno parziale compensazione dei canoni richiesti e accertati come dovuti dal giudice di merito dalla Sead 1980 in favore della Sepa in ipotesi nella quale il conduttore, pur in presenza di recesso L. n. 392 del 1978, ex art. 21, u.c. successivamente accertato come illegittimo dalla corte di merito, abbia comunque riconsegnato il bene condotto in locazione alla locatrice e questa abbia omesso di condurlo nuovamente in locazione a terzi potendo lucrare anche un canone superiore a quello dovuto dal precedente conduttore.

Anche tale doglianza non può essere accolta, attesane la patente inammissibilità per assoluta novità del relativo petitum. In nessun passo della motivazione della sentenza oggi impugnata, difatti, il giudice territoriale da atto dell’esistenza di una domanda in tal guisa formulata dall’odierna ricorrente che, in totale spregio del principio di autosufficienza del ricorso, non indica a questa corte in quale fase del giudizio di merito tale domanda sia stata tempestivamente e motivatamente formulata e illegittimamente pretermessa.

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue – giusta il principio della soccombenza – come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 5200,00, di cui Euro 200,00 per spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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