Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-04-2011) 07-10-2011, n. 36384 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 26 febbraio 2010 la Corte di Appello di Genova, in parziale riforma della sentenza emessa dal GUP del Tribunale di detta città in data 6 settembre 2006 con la quale -per quanto qui rileva – B.B. (imputata per il reato di concorso in illecita detenzione a fini di spaccio di hashish) era stata condannata, previa concessione della circostanza attenuante speciale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e con l’aumento per la recidiva, alla pena di anni due, mesi due e giorni venti di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa così diminuita per il rito, aumentava, in accoglimento dell’appello proposto dal P.G., la detta pena ad anni sei di reclusione ed Euro 26.000,00 di multa, confermando nel resto la detta sentenza.

Ricorre personalmente l’imputata deducendo vizio di motivazione in ordine alla mancata qualificazione della condotta nel diverso – e meno grave – reato di favoreggiamento personale e violazione della legge processuale penale ( art. 442 c.p.p.) per avere la Corte omesso – nell’operare la rideterminazione della pena conseguente all’accoglimento dell’appello proposto sul punto dal P.G. – la riduzione derivante dal rito premiale prescelto. Il ricorso è fondato soltanto in parte nei termini che seguono.

Quanto al primo motivo, la Corte di Appello, con argomentazioni assolutamente puntuali ed esenti da vizi logici, ha escluso la configurabilità del diverso reato di favoreggiamento personale prospettato dalla B. (tesi, oltretutto, già respinta dal giudice di primo grado) spiegando convenientemente le ragioni di tale inconfigurabilità.

La Corte ha infatti correttamente evidenziato come la condotta dell’imputata al momento dell’arrivo della P.G. presso l’abitazione della amica (e coimputata) F.A. ove la droga si trovava nascosta, non si era limitata ad una mera apprensione della sostanza stupefacente appartenente all’amica (si trattava, nella specie, di un quantitativo di gr. 187 di hashish) e successiva sparizione al fine di occultare le prove del reato di illecita detenzione commesso dalla F., ma si è concretizzata nell’occultare addosso a sè, dislocandole in varie parti del corpo, la droga prelevata.

Tale comportamento è stato correttamente qualificato come ipotesi di concorso nella illecita detenzione dello stupefacente, risultando evidente a giudizio della Corte quali fossero le reali finalità della B.: quelle di conservare la droga per poi recapitarla in una più propizia occasione alla F. in vista di un successivo smercio.

Invero questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo il quale in tema di illecita detenzione di stupefacenti, la condotta costituita dal subitaneo tentativo di disfarsi della droga all’atto dell’irruzione in una abitazione delle forze dell’ordine non è di per sè dimostrativo, in assenza di altri indici significativi, di un previo accordo con la persona ivi abitante, della detenzione dello stupefacente, ben potendo la stessa condotta essere interpretata come l’atteggiamento di chi, spontaneamente o su sollecitazione del detentore, si risolva ad aiutarlo a sottrarsi alla sua responsabilità penale. Tuttavia perchè possa fondatamente parlarsi di condotta di favoreggiamento – esclusa per effetto della cd.

"clausola di riserva" contenuta nell’incipit della norma codicistica – occorre che l’aiuto venga prestato nell’interesse esclusivo dell’autore del reato principale, mentre laddove venga prestato, o semplicemente offerto, per uno scopo di profitto, proprio dell’agente medesimo, pur se comune a quello di detto autore o di terzi, e prima o durante la commissione del reato principale, ricorre l’ipotesi di concorso nel reato stesso.

Occorre, in altri termini, che il soggetto attivo non sia stato coinvolto, nè oggettivamente nè soggettivamente, nella realizzazione del reato presupposto (Cass. Sez. 5^ 17.1.2007 n. 4997, Accardi ed altri, Rv. 247324; Cass. Sez. 6^ 18.2.2008 n. 21439, Mori,. Rv. 240062). Va pertanto disatteso il primo motivo di ricorso.

E’ invece fondato il motivo riguardante l’omessa diminuzione della pena (erroneamente non effettuata dal giudice di appello) che – tenuto conto della obbligatorietà della riduzione nella misura di un terzo conseguente alla scelta del rito abbreviato – può essere disposta di ufficio da questa Corte, rientrando tale possibilità nei poteri del giudice di legittimità. La pena inflitta dalla Corte di Appello va pertanto ridotta nella misura finale ex art. 442 c.p.p., di anni quattro di reclusione ed Euro 17.333,00 di multa.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla pena inflitta che ridetermina in anni quattro di reclusione ed Euro 17.333,00 di multa;

rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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