Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-04-2011) 07-10-2011, n. 36380 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza depositata il 23 febbraio 2010 (ud. 11 febbraio 2010), in riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Reggio Calabria, che all’esito del giudizio abbreviato e previo riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e della diminuente del rito, ritenuti i fatti astretti dal vincolo della continuazione, ha condannato, fra gli altri, M.R. e A.A., ad una pena che il giudice di appello ha rideterminato, con il riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche, in anni due di reclusione e Euro 8.000,00 di multa, per il reato di cui all’art. 81 cpv. c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

Secondo il giudice di appello, la responsabilità, fra gli altri, di M.R. e A.A. è provata dalle conversazioni captate all’insaputa dei conversanti e dalle dichiarazioni degli stessi imputati i quali hanno confermato e attribuito a loro medesimi le conversazioni intercettate ("di chiarezza, a tratti, disarmante": p. 4, sent.).

In particolare, il M. non sarebbe stato un mero fiancheggiatore del coimputato G., ma suo vero e proprio complice, pienamente consapevole dei traffici, al punto da richiamare il socio ad una maggiore prudenza (p. 4).

A sua volta, l’ A., pure assuntore di sostanza, sarebbe stato uno spacciatore, come si sarebbe potuto desumere dalle richieste avanzategli da terzi, dalla sua disponibilità e dalla sua fama di pusher, quale sarebbe emersa da alcune conversazioni telefoniche (p. 5 sent.).

Avverso tale decisione, gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, forte di un unico motivo di doglianza, con il quale entrambi contestano il valore probatorio degli elementi raccolti e sostengono che la propria attività si sarebbe risolta in condotte finalizzate all’uso personale della sostanza.

Motivi della decisione

1. Osserva la Corte che i ricorsi riuniti dei due imputati sono manifestamente infondati.

La giurisprudenza di legittimità ha infatti affermato il principio (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 10951 del 15/03/2006, Casula) secondo cui "alla luce della nuova formulazione dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) dettata dalla L. 20 febbraio 2006 n. 46, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a) "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non "manifestamente illogica", ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente "incompatibile" con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione.

(Nell’affermare tale principio, la Corte ha precisato che il ricorrente, che intende dedurre la sussistenza di tale incompatibilità, non può limitarsi ad addurre l’esistenza di "atti del processo" non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione o non correttamente interpretati dal giudicante, ma deve invece identificare, con l’atto processuale cui intende far riferimento, l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione adottata dal provvedimento impugnato, dare la prova della verità di tali elementi o dati invocati, nonchè dell’esistenza effettiva dell’atto processuale in questione, indicare le ragioni per cui quest’ultimo inficia o compromette in modo decisivo la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione)".

Orbene, nella specie, con riferimento alle censure contenute nei ricorsi, la congruità e sufficienza della motivazione, contenuta nella sentenza e basata sull’esistenza di una prova desumibile dalle conversazioni (incontestate) riconducibili a tutti gli imputati (fra i quali i due odierni ricorrenti), non è scalfita dalle opposte allegazioni miranti a far rifluire i fatti accertati tra i comportamenti ascrivibili a consumatori maneggianti sostanze stupefacenti per esclusivo uso personale.

Le motivazioni sopra richiamate sono infatti sufficienti ad escludere l’ipotesi difensivistica, che – per converso – tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi (ispirati a minor rigore) da quelli adottati dai giudici di appello, i quali – invece – con motivazione ampia ed esente da vizi logici e giuridici, hanno esplicitato le ragioni del loro convincimento, sia in ordine alla responsabilità degli imputati, sia in ordine alla declinatoria delle invocate esimenti.

Nè i fatti opposti come obliterati possono trovare ingresso in questa sede, atteso che i medesimi, a tacer d’altro, non hanno formato oggetto di una indicazione specifica e sono mancanti di quell’astratta idoneità a contrastare la pluralità degli elementi valutati dai giudici di merito.

2. I ricorsi degli imputati, in conclusione, vanno respinti con le conseguenti statuizioni.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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