T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 08-11-2011, n. 1535

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso all’esame il cittadino extracomunitario M.M. impugna il provvedimento della Prefettura- S.U.I. con cui è stata rigettata l’istanza di emersione presentata dal datore di lavoro M.E.H. ai sensi dell’art. 1 ter del D.L. 1.7.2009 n. 78 conv. in L. 3.8.2009 n. 102, essendo stato rilevato che l’odierno ricorrente era gravato da un precedente penale ostativo, consistente in una sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Brescia in data 16.2.2007 per il reato di violazione all’ordine di espulsione previsto dall’art. 14, co. 5 ter, d.lgs. 286/98.

Il ricorrente contesta che tale condanna rientri fra quelle che impediscono il conseguimento della sanatoria.

Il ricorso risulta fondato.

Al riguardo va ricordato che

– il legislatore italiano, nell’esercizio di una facoltà espressamente stabilita dalla Direttiva n. 115 del 2008 (art. 4, comma 3, in tema di disposizioni più favorevoli), ha previsto il beneficio della emersione del lavoro irregolare, con effetto estintivo di ogni illecito penale e amministrativo (art. 1ter, comma 11, l. n. 102 del 2009), a favore di una limitata cerchia di lavoratori, ma anche dei rispettivi datori di lavoro, che li impiegano per esigenze di assistenza propria o di familiari non pienamente autosufficienti o per lavoro domestico;

– l’art. 1ter, comma 13, lett. c), della legge n. 102 del 2009 inibisce la regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per uno dei reati previsti dagli articoli 380 (arresto obbligatorio in flagranza) e 381 (arresto facoltativo in flagranza) del medesimo codice;

– l’Amministrazione dell’interno ritiene che, tra i detti reati, vada ricompreso il delitto di violazione dell’ordine del questore di lasciare il territorio nello Stato, previsto dall’art. 14, comma 5ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, punito con una pena edittale fino a quattro anni di reclusione e per il quale è previsto l’arresto obbligatorio.

In relazione a tale questione si sono manifestati contrasti in giurisprudenza:

a) secondo un indirizzo, tale delitto, oltre a non essere espressamente menzionato nelle due disposizioni di rinvio ( artt. 380 e 381 c.p.p.), non potrebbe pacificamente ascriversi tra quelli di cui all’art. 380 c.p.p., per difetto della previsione di una pena edittale non inferiore nel minimo a cinque anni, e neppure tra quelli di cui all’art. 381, in quanto comportante l’arresto obbligatorio.

b) altro indirizzo, invece, ha condiviso la tesi dell’Amministrazione, nel senso che l’ipotesi delittuosa in questione può legittimamente farsi rientrare tra i delitti di cui all’art. 381 c.p.p., in ragione della previsione di una pena superiore nel massimo ai tre anni.

La questione è stata ora risolta dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato – con le sentenze n. 7 e 8 del 10.5.2011 – chiamata a risolvere il contrasto interpretativo al riguardo insorto nell’ambito delle sezioni semplici del Consiglio.

Con le predette decisioni è stato affermato che:

a) in conformità a quanto rilevato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza 28 aprile 2011 in causa C61/11, deve ritenersi che sia immediatamente applicabile anche nel territorio italiano la Direttiva 2008/115, posto che è inutilmente decorso il termine fissato per il recepimento da parte dello Stato Italiano e che le disposizioni di cui agli artt. 15 e 16 si presentano sufficientemente precise ed incondizionate;

b) la Direttiva 2008/115 deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo;

c) la Direttiva 2008/115 ha prodotto l’abolizione del delitto di violazione dell’ordine del questore di lasciare il territorio nello Stato, previsto dall’art. 14, comma 5ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 (punito con una pena edittale fino a quattro anni di reclusione e per il quale era previsto l’arresto obbligatorio) e ciò, a norma dell’art. 2 del codice penale, ha effetto retroattivo, facendo cessare l’esecuzione della condanna e i relativi effetti penali;

d) tale retroattività non può non riverberare i propri effetti sui provvedimenti amministrativi negativi dell’emersione del lavoro irregolare, adottati sul presupposto della condanna per un fatto che non è più previsto come reato;

e) è illegittimo il provvedimento, adottato ai sensi dell’art. 1ter, comma 13, lett. c), della legge n. 102 del 2009, che ha rigettato la istanza di regolarizzazione di un lavoratore extracomunitario condannato per il delitto di violazione dell’ordine del questore di lasciare il territorio nello Stato, previsto dall’art. 14, comma 5ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, atteso che tale reato, a seguito della Direttiva n. 115 del 2008, è da ritenere abolito.

f) il principio generale secondo cui "tempus regit actum" esplica la propria efficacia allorché il rapporto cui l’atto inerisce sia irretrattabilmente definito e, conseguentemente, diventi insensibile ai successivi mutamenti della normativa di riferimento, ma tale circostanza non si verifica ove siano stati esperiti rimedi giudiziari volti a contestare l’assetto prodotto dall’atto impugnato.

Alla stregua di tale insegnamento, al quale il Collegio intende prestare adesione, il ricorso va accolto con annullamento dell’atto qui impugnato, senza che possa riconoscersi alla nota in data 2.8.2011 della Prefettura di Brescia – di comunicazione di avvio del procedimento di riapertura, in autotutela, della procedura – l’effetto di determinare la cessazione della materia del contendere. Invero, tale effetto può discendere solo dall’adozione di un provvedimento espresso di rimozione, in via di autotutela, dell’atto di revoca qui impugnato, mentre la mera comunicazione di avvio di tale procedimento (che, a distanza di oltre due mesi dall’avvio, non si è concretizzata nell’atto di autoannullamento) non è per nulla idonea a far venir meno l’interesse alla decisione del ricorso.

In conseguenza dell’accoglimento, l’Amministrazione è tenuta a riprendere in esame la domanda di emersione e procedere alla verifica della sussistenza o meno dei requisiti richiesti dalla norma in capo al datore di lavoro e del lavoratore onde consentire la regolarizzazione del rapporto di lavoro.

Le spese del giudizio – liquidate come da dispositivo – vanno poste a carico della resistente Amministrazione, essendo ormai decorso un notevole lasso di tempo dalla pronuncia dell’Ad. plen. n. 7 del 10.5.2011 e dall’ emissione della circolare ministeriale del 23.6.2011 che alla stessa si adegua, senza che siano stati adottati gli atti conseguenti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Condanna l’intimata Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio a favore del ricorrente, che liquida in Euro 500,00 oltre ad accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *