Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-09-2011) 10-10-2011, n. 36515 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

P.G., M.G., V.B. e B. M., B.M. e R.A. ricorrono, a mezzo dei loro difensori, avverso l’ordinanza 3 marzo 2011 del Tribunale del riesame di Pesaro (che ha rigettato i decreti di sequestro preventivo 8 febbraio 2011 emessi dal G.I.P. del Tribunale di Pesaro in data 8 febbraio 2011) deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1.) la vicenda processuale.

Risulta agli atti e dalla ricostruzione effettuata nel provvedimento impugnato la seguente scansione degli eventi, che attengono al procedimento penale 1385/09 R.G.N.R. nell’ambito del quale sono stati adottati i provvedimenti cautelari in relazione ai reati di corruzione e concussione commessi nell’ambito dell’attività della 4^ Commissione tributaria provinciale di Pesaro:

a) il 20 gennaio 2011 è stato emesso decreto di giudizio immediato nei confronti degli imputati R.A., M.B., P.S.A., Z.G., P.G. e V.B.: i reati in questione concernono versamenti di somme di danaro ai componenti del collegio giudicante da parte di imprenditori (con il tramite di soggetti quali dipendenti dell’agenzia delle entrate, professionisti incaricati della trattazione di ricorsi, il segretario della predetta sezione della commissione tributaria) per l’ottenimento di pronunce favorevoli in relazione ai ricorsi presentati contro avvisi di accertamento (ipotesi di corruzione1), ovvero attività di induzione o costringimento dei contribuenti, ricorrenti presso la Commissione tributaria, a versare o promettere delle somme di danaro per l’ottenimento di esiti favorevoli (ipotesi di concussione):

b) il decreto di giudizio immediato è stato emesso nei confronti di tali imputati, già raggiunti da misure cautelari personali mentre si è proceduto separatamente nei confronti di altri imputati;

d) a seguito di richiesta del P.M. sono stati emessi due distinti decreti di sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. da parte del G.I.P., entrambi in data 8.2.2001 (decreti che riguardano appunto le posizioni dei soggetti nei confronti dei quali vi è giudizio immediato): il primo con riferimento alle ipotesi dell’art. 322 ter c.p. (comma 1 e 2), ed il secondo con riguardo alle previsioni della L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies, che prevedono distinte ipotesi di confisca di beni in relazione ai reati in oggetto;

e) in relazione all’art. 322 ter c.p., sono stati adottati provvedimenti di sequestro finalizzati alla confisca "per equivalente", con riferimento ai "prezzo" del reato (per le ipotesi di corruzione passiva), e cioè al compenso dato o promesso ad una determinata persona, quale corrispettivo per l’esecuzione del reato, ed al "profitto del reato" (per le ipotesi di corruzione attiva), corrispondente al vantaggio economico conseguito dal reo con la commissione della condotta illecita;

f) nel caso di specie, il prezzo del reato è stato individuato nella somma complessiva di Euro 240.000 che sarebbe stata corrisposta dal ricorrente R.A. per ottenere l’accoglimento dei ricorsi:

sotto tale aspetto, viene in evidenza quanto contestato allo stesso R., e a Z.G., difensore del R. nell’ambito dei contenziosi tributari indicati nell’imputazione, e concorrente nell’attività corruttiva (capo b dell’addebito), nonchè la contestazione di cui al capo a), concernente gli imputati M. B., P.G. e V.B., chiamati a rispondere quali concorrenti nel reato di corruzione passiva (artt.318, 319, 319 ter c.p.);

g) il profitto del reato è stato individuato nella somma complessiva di Euro 56.760.892, pari all’ammontare complessivo dell’imposta evasa dall’imprenditore-contribuente R. e delle relative sanzioni;

h) in relazione al disposto dell’art. 322 ter c.p., il sequestro ordinato "per equivalente" fa riferimento al profitto del reato in relazione alla posizione di R. e Z. (imputati ex art. 321 c.p.), ed al prezzo del reato quanto a M., V. e P. (e quindi alla somma di Euro 240.000, oltre ad Euro 10.000 quanto ai soli M. e V., in relazione agli altri reati rispettivamente contestati ai capi m) ed n);

i) il provvedimento di sequestro, finalizzato alla confisca L. n. 356 del 1992, ex art. 12 sexies, riguarda soltanto, tra gli odierni ricorrenti, V.B., ed ha per oggetto i saldi attivi dei conti correnti intestati allo stesso V.B. o ai figli V.A. ed A., sui quali lo stesso è autorizzato ad operare e ove lo stesso ha effettuato operazioni di bonifico e versamento in contanti, nonchè dei certificati di deposito, libretti nominativi e al portatore allo stesso intestati e/o nella sua disponibilità, fino a concorrenza dell’importo di Euro 157.000, risultante dai versamenti effettuati su conto corrente bancario cointestato a lui, alla moglie e ai figli, e, ciò, ritenuta la sproporzione tra i versamenti effettuati (negli anni dal 2007 al 2010) e il reddito complessivo fisso (di circa 140.000 Euro) dichiarato nel medesimo periodo, e quindi ingiustificata la disponibilità ditali somme di danaro.

Il Tribunale rileva in via generale, quanto al "fumus" dei reati contestati, e sui quali si incardinano i provvedimenti cautelari reali in esame, che i decreti di sequestro preventivo danno ampio risalto all’esistenza di tale elemento (cfr. pagg. 16-18 e 14- 16 dei due decreti), con richiamo particolare ai quadro indiziario descritto nelle ordinanze applicative di misure cautelari personali emesse nei confronti degli attuali imputati in data 21.7.2010 e 18.10.2010.

Il G.I.P. a sua volta ha osservato che "i gravi indizi di colpevolezza delineati nei suddetti provvedimenti restrittivi hanno trovato conferma nelle dichiarazioni confessorie di quasi tutti gli imputati con contestuali chiamate in correità rese nel corso dei vari interrogatori davanti ai Pubblici Ministeri, per cui al materiale indiziario originario si sono aggiunti ulteriori e plurimi riscontri costituiti da dichiarazioni auto ed etero accusatorie reciprocamente convergenti, dichiarazioni testimoniali ed accertamenti di p.g., descritti nelle informative in atti.

Nel corso delle indagini sono inoltre intervenute numerose pronunce del Tribunale di Ancona – sezione riesami ed appelli- che hanno confermato l’impianto accusatorio e l’esistenza del sistema illecito finalizzato a strumentalizzare e ad influire sull’attività giurisdizionale della Commissione tributaria provinciale di Pesaro attraverso un meccanismo ormai collaudato e che si è protratto per diversi anni (il primo episodio accertato dagli inquirenti e descritto al capo a dell’imputazione risale al luglio del 2008)".

Nel caso di specie, il requisito in parola risulta quindi addirittura superato da quello, ben più pregnante, dei gravi indizi di colpevolezza, ritenuti sussistenti a carico di Z., R., V., M. e P., tutti colpiti da ordinanza cautelare ex art. 273 c.p.p..

2.) la posizione di V.B. e della moglie B. M..

V. era membro del collegio giudicante della 4^ sezione della Commissione tributaria, responsabile – secondo le imputazioni – del reato di corruzione in relazione ai ricorsi presentati da R. A. (capo a), e di altri reati contestati nei capi successivi, tra i quali la corruzione di cui al capo m), specificamente richiamata nel provvedimento.

Nei confronti del V. sono stati disposti i sequestri ex art. 321 c.p.p., in relazione sia all’art. 322 ter c.p. che alla L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies.

2.1) i motivi di impugnazione di V. e B. avanti al Tribunale del riesame.

I motivi del ricorso (congiunto del V. e della moglie B.) avanti al Tribunale del riesame sono stati così riassunti nell’ordinanza:

1) incompetenza del Tribunale di Pesaro ex art. 11 c.p.p., in quanto V. rivestiva la qualifica di giudice tributario, ed altresì in quanto egli componeva abitualmente il collegio con Magistrati togati appartenenti a Tribunali de distretto della Corte d’Appello di Ancona (la competenza sarebbe quindi del Tribunale di L’Aquila);

2) nel merito, non essendovi stato alcun accertamento processuale circa le responsabilità del V. in ordine ai reati ascrittigli, il provvedimento di sequestro-finalizzato alla confisca, allo stato non potrebbe superare l’ammontare degli importi che l’imputato ha ammesso di aver ricevuto (e cioè soltanto la somma di Euro 16.000, in relazione ai capi q, s e kk dell’imputazione), avendo negato per il resto di avere ricevuto qualsiasi altra somma, a qualsiasi titolo;

3) è eccepito il mancato rispetto del limite di 1/5 nel pignoramento della pensione percepita;

4) si è dedotto il fatto che siano stati sequestrati beni appartenenti a persona estranea al reato, qual è B.M., coniuge del V., alla quale quest’ultimo in data 8/7/2010 ha ceduto a titolo oneroso il 50% dell’immobile sito in (OMISSIS), immobile peraltro acquistato nel 1980 con i comuni risparmi: immobile non nella materiale disponibilità dell’imputato, che vi abita unicamente "grazie alla benevolenza della moglie". 5) si è lamentato, in relazione al sequestro dei conti correnti cointestati, l’inesistenza dei requisiti della sproporzione e della mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni.

Il Tribunale del riesame con la gravata decisione ha risposto da pag.

6 a pag. 10 ed in modo puntuale a tutte le dette osservazioni critiche, confermando i decreti di sequestro impugnati.

2.2) i motivi di ricorso per cassazione di V. e B. e le ragioni della decisione di inammissibilità della Corte.

L’impugnazione dei due ricorrenti, che ricalca sostanzialmente le censure già prospettate e respinte in sede di riesame, è in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondata, nei termini che verranno ora precisati.

Con un primo motivo di impugnazione si riprende la censura attinente l’incompetenza del Tribunale di Pesaro ex art. 11 cod. proc. pen..

Il motivo per come illustrato, è privo di specificità perchè non tiene conto della diffusa motivazione del Tribunale del riesame il quale ha trattato diffusamente la questione, non solo escludendo la qualità di magistrato, agli effetti dell’art. 11 cod. proc. pen., del giudice tributario, componente una Commissione tributaria, richiamando in proposito e adesivamente conformi pronunce del giudice amministrativo, ma ha altresì sottolineato in fatto, quanto al presunto coinvolgimento di magistrati ordinari della Corte d’appello di Ancona, facenti parte della 4^ sezione della Commissione tributaria, in qualità di persone offese o danneggiati dal reato, che in concreto tale veste, oltre a non essere in alcun modo esplicitata nelle imputazioni, non risulta dagli atti, ed è quindi da considerare un mera ipotesi, non apprezzabile al fine di farne derivare una deroga alla ordinaria competenza territoriale.

Il motivo va quindi dichiarato inammissibile.

Con un secondo motivo si lamenta l’illegittimità del sequestro della casa, della pensione e del denaro.

Con un terzo motivo si prospetta l’illegittimità del mancato rispetto del limite del 5^ nel pignoramento della pensione.

Con un quarto motivo si evidenzia ancora l’indisponibilità in capo al V. dell’immobile sequestrato.

Con un quinto motivo si sostiene la nullità del sequestro dei conti correnti per indeterminatezza dell’oggetto.

Con un sesto motivo si sostiene la sussistenza della prova documentale della proporzione e della giustificazione della lecita provenienza dei beni.

Tutti gli ultimi cinque motivi risultano palesemente inammissibili, posto che essi si sostanziano in una sequenza, immotivata e non sviluppata dialetticamente, di "sintetiche proposizioni assertive", meramente contrastanti con l’assunto argomentato del Tribunale del riesame, senza alcun collegamento con quella che è stata la puntuale ed ineccepibile risposta di tale giudice sui punti oggetto di critica, e che risulta fondata su di una motivazione del riesame indenne da vizi logico-giuridici e quindi in questa sede assolutamente incensurabile.

Da ciò la pronuncia di inammissibilità del ricorso con condanna dei ricorrenti alle spese processuali ed al pagamento, ciascuno, della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

3) posizione di M.G. moglie di Z.G. e le ragioni della decisione di inammissibilità del ricorso.

La ricorrente M.G. (terza interessata) è moglie di Z.G., il quale, secondo l’imputazione (capo B), essendo il difensore di R.A. nei procedimenti davanti alla Commissione tributaria, avrebbe procurato i contatti necessari a R. e partecipato alle trattative conclusesi con le dazioni di danaro.

La M. eccepisce di essere persona estranea al reato, non avendo partecipato alla commissione dello stesso, nè avendo ricevuto alcun profitto.

Rileva che le somme versate sui conti correnti e quelle costituenti la consistenza dei depositi titoli sono state incrementate con versamenti anche a lei riconducibili in forza delle risorse economiche derivatele dall’attività di insegnante, dal trattamento di fine rapporto e, poi, dal trattamento pensionistico.

Successivamente alla proposizione del ricorso lo Z., in data 11 luglio 2011 ha patteggiato la pena avanti al G.I.P. del Tribunale di Pesaro e alla detta decisione si è accompagnata la confisca dei beni, oggetto della presente impugnazione: tale decisione non risulta impugnata, giusta attestazione della Cancelleria del Tribunale di Pesaro in data 22 settembre 2011.

La ricorrente, unitamente al marito, ha ritualmente dichiarato di rinunciare al ricorso con atto pervenuto il 22 settembre 2011, con derivata inammissibilità dell’impugnazione a sensi del disposto dell’art. 591 cod. proc. pen., per sopravvenuta carenza di interesse.

Il ricorso della M. va quindi dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

4.) posizione di P.G. e le ragioni della inammissibilità del ricorso.

P.G. è dipendente dell’Agenzia delle entrate di Fano, e secondo l’imputazione (capo A) avrebbe partecipato alle trattative e si sarebbe occupato della riscossione delle somme versate da R.A..

Nel ricorso avanti al Tribunale del riesame si era contestata l’ammissibilità del disposto sequestro per equivalente, in quanto il suo presupposto è l’infruttuosa esecuzione di un provvedimento di sequestro preventivo sui beni costituenti direttamente il profitto o prezzo del reato.

Nel caso di specie, si è sostenuta la mancanza di prova di tale infruttuosa esecuzione (che deve essere fornita dal Pubblico Ministero), o comunque della impossibilità di procedere alla aggressione di detti beni costituenti prezzo o profitto dei reato di corruzione.

Si è contestata poi la conclusione, priva di specifica motivazione, secondo la quale la presunta tangente versata (e quindi il prezzo del reato) ammonta ad Euro 240.000, vista la contraddittorietà delle risultanze istruttorie sul punto, ed essendo stato indicato tale importo, a cui fa riferimento il provvedimento di sequestro, soltanto sulla base delle affermazioni del R..

Si è rilevato infine che la motivazione "per relationem" operata dal G.I.P. che ha richiamato sul punto (determinazione della cifra oggetto di dazione corruttiva) la richiesta del P.M. sarebbe illegittima, in quanto detta richiesta non è a conoscenza delle parti (non essendo atto per il quale è previsto il deposito), e quali non sono poste in grado di svolgere sul punto le proprie difese.

Tutte le dette doglianze sono state respinte con argomentate difformi valutazioni da parte del Tribunale del riesame.

Avverso la decisione del Tribunale viene dedotta, con unico motivo di impugnazione. L’inosservanza e l’erronea applicazione della legge, per carenza assoluta di motivazione in ordine al requisito concernente l’impossibilità di procedere al sequestro del "prezzo del reato".

Successivamente alla proposizione del ricorso il P., in data 11 luglio 2011, ha patteggiato la pena avanti al G.I.P. del Tribunale di Pesaro e alla detta decisione si è accompagnata la confisca dei beni, oggetto della presente impugnazione: tale decisione non risulta impugnata, giusta attestazione della Cancelleria del Tribunale di Pesaro in data 22 settembre 2011.

Il ricorrente ha ritualmente dichiarato di rinunciare al ricorso con atto pervenuto il 21 settembre 2011, con derivata inammissibilità dell’impugnazione a sensi del disposto dell’art. 591 cod. proc. pen., per sopravvenuta carenza di interesse.

Il ricorso del P. va quindi dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

5.) il ricorso di B.M. e le ragioni della decisione di inammissibilità della Corte.

B.M., amministratore unico della s.r.l. "Simone Rosato" ed ex genero dell’imputato R.A., padre di S. R., ricorre, a mezzo del suo difensore, deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati, avverso l’ordinanza 24 febbraio 2011 del Tribunale di Pesaro, che ha rigettato il riesame del decreto di sequestro, disposto ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 2 e art. 322 ter, comma 2, in data 28 febbraio 2011 del G.I.P. del Tribunale di Pesaro, concernente tra l’altro beni, denaro, provviste e/o utilità, finalizzato alla confisca per equivalente, in ordine al reato contestato al capo b (319 ter: corruzione in atti giudiziari, e art. 321 cod. pen.), fino alla concorrenza dell’importo pari a Euro 56.760.892,69 ed attinente alle quote di partecipazione della SIMONE ROSATO S.r.l. con sede a (OMISSIS).

5.1) il tenore del decreto di sequestro, disposto ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 2 e art. 322 ter, comma 2.

Il provvedimento, oltre alle quote di partecipazione, ha inoltre compreso: i beni strumentali di valore superiore ai 10.000,00 Euro (con nomina a custode e facoltà d’uso in favore del proprietario) e eventuali crediti sociali (liquidi ed esigibili al momento dell’esecuzione del decreto) della SIRO S.r.l. e SIMONE ROSATO S.r.l verso soggetti terzi (privati o pubblici), nonchè somme di denaro, diritti di credito, titoli o i beni presenti in cassette di sicurezza, intestati o comunque riconducibili alle predette società presso gli istituti bancari come specificati nella richiesta formulata per la singola posizione; somme di denaro, diritti di credito, titoli o i beni presenti in cassette di sicurezza, intestati o comunque riconducibili a R.A., presso gli istituti bancari che sono stati indicati. p 5.2.) la richiesta di riesame del B. e la decisione del Tribunale.

Con la richiesta di riesame la SIMONE ROSATO s.r.l. ha rivendicato la propria assoluta estraneità alle condotte delittuose di R. A., rilevando l’impossibilità di sottoporre a sequestro beni di proprietà di un terzo estraneo al reato con riguardo: – alle quote di partecipazione della SIMONE ROSATO S.r.l.; – ai beni strumentali, i crediti sociali della SIMONE ROSATO S.r.l, nonchè somme di denaro, diritti di credito, titoli o i beni presenti in cassette di sicurezza, intestati o comunque riconducibili alla predetta società presso gli istituti bancari.

Le contestazioni proposte hanno riguardato:

a) la circostanza che nè le quote della società SIMONE ROSATO s.r.l., nè l’azienda erano nella disponibilità di R.A.:

l’amministratore della società era B.M. (l’ex genero di R.A.) titolare del 30% delle quote sociali; il restante 70% delle quote era di proprietà di R.S., figlio trentaquattrenne di A.;

b) il fatto che l’esecuzione del provvedimento di sequestro, colpendo tutti i beni aziendali, aveva bloccato l’azienda, conducendola verso un inevitabile fallimento con azzeramento del suo valore.

Da ciò la richiesta in via principale di annullamento del decreto di sequestro ed in via subordinata di limitazione del sequestro alle sole quote della società SIMONE ROSATO s.r.l..

La questione posta con il riesame si incentrava quindi sul diverso profilo della riferibilità o meno a R.A. dei beni formalmente intestati alla SIMONE ROSATO s.r.L., di cui la società ricorrente ha rivendicato la proprietà, quale soggetto estraneo al reato.

Il Tribunale del riesame in proposito ha evidenziato preliminarmente l’irrilevanza del mancato richiamo normativo alla disponibilità dei beni "anche per interposta persona" quale si rinviene nell’analoga previsione contenuta nell’art. 644 c.p., comma 6, ovvero nel D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, poichè il concetto di "disponibilità" esprime l’intenzione del legislatore di fare riferimento non a risultanze formali, ma a criteri fattuali tali da consentire di individuare l’esistenza di trasferimenti di comodo a terze persone fisiche o giuridiche.

Su tali premesse si è quindi affermato:

a) che non sussistono ostacoli normativi alla aggressione di quote e beni intestati a una società, semprechè, ovviamente, siano nella disponibilità dell’autore del reato, indipendentemente dalla loro intestazione formale;

b) che in sede cautelare non occorre la prova certa della riconducibilità a R.A. dei beni della società SIMONE ROSATO s.r.l., essendo sufficiente la sussistenza di "seri indizi", tenuto conto che nella specie il R. risulta formalmente impossidente, poichè, per sua stessa ammissione, egli è solito intestare beni a familiari o ad altri prestanome per occultare il proprio patrimonio;

c) che, in conclusione, ognuna delle società oggetto del provvedimento va considerata naturale prosecuzione della precedente e ciascuna di esse è stata via via utilizzata dal R. per svolgere sempre la stessa attività imprenditoriale cui l’imputato è dedito da decenni;

d) che, pertanto, la SIMONE ROSATO s.r.l. è l’ultima e attuale società commerciale derivata direttamente dalla SIRO s.r.l.;

e) che sono pertanto nella disponibilità di fatto del R.: le quote di partecipazione della SIMONE ROSATO S.r.l.; i beni strumentali, i crediti sociali della SIMONE ROSATO s.r.l., nonchè somme di denaro, diritti di credito, titoli o i beni presenti in cassette di sicurezza, intestati o comunque riconducibili alla predetta società presso gli istituti bancari;

f) che va del pari rigettata la richiesta subordinata di riduzione del sequestro alle sole quote societarie, in quanto l’esecuzione del sequestro ha condotto a sottoporre a vincolo beni e valori per una somma pari a Euro 2461.695 a carico di R.A. e pari ad Euro 1.064.830 a carico dei correo Z.G. (cfr. nota Gdf pror. n. 38442 del 22 febbraio 2011 – dep. dal P.M. all’udienza odierna), importo ben inferiore a quello di Euro 56.760.892,69, per il quale il sequestro è stato disposto.

5.3) i motivi di impugnazione del B. e le ragioni della decisione di inammissibilità di questa Corte.

Con un primo motivo di impugnazione il B. nella sua veste di amministratore unico, deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge, sotto il profilo della violazione dell’art. 322 ter cod. pen., per violazione del canone di ripartizione dell’onere probatorio, essendo compito dell’accusa di fornire la prova -piena e non indiziaria- della disponibilità dei beni del terzo da parte della persona indagata, agli effetti del sequestro -disposto ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 2, e art. 322 ter cod. pen., comma 2 – e della successiva confisca.

Con un secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 322 ter cod. pen. in punto di affermata disponibilità dell’azienda e delle quote sociali in capo al R.A. e con il figlio S. e l’amministratore unico B.M. in funzione di meri prestanomi.

La conclusione del Tribunale del riesame sarebbe stata infatti ottenuta, utilizzando il tenore di conversazioni telefoniche, cessate in data antecedente la costituzione della s.r.l., ignorando elementi di fatto che deponevano invece per una diversa valutazione, e, soprattutto, senza alcuna contraria esplicita argomentazione a riguardo, e tenuto conto che la "disponibilità" va ancorata a dati fattuali, che consentano l’asserzione di una signoria di fatto sulla cosa al di là delle categorie civilistiche, realtà comunque la cui prova compete all’organo dell’accusa.

I primi due motivi sono palesemente infondati, attesa la diffusa e completa motivazione del Tribunale del riesame, adesiva alla altrettanto argomentata decisione del G.I.P., la quale ha costruito in termini ineccepibili sul piano logico-giuridico, e pertanto in questa sede incensurabili, l’iter societario e le correlazioni che consentono di affermare che sia il B. che il S. R. abbiano avuto e svolto il ruolo di meri prestanome di R.A. nella prosecuzione dell’identico oggetto sociale.

Si tratta di una conclusione supportata da argomentazioni coerenti, prive di illogicità, conformi alle emergenze processuali e, pertanto non censurabili in sede di giudizio di legittimità.

Con un terzo motivo si prospetta l’errore di aver sottoposto a sequestro non solo le quote della s.r.l. ma anche la proprietà dei beni strumentali utilizzati e dei crediti maturati, avuto riguardo alla forma societaria che comporta una autonomia patrimoniale perfetta con la conseguenza che i cespiti singoli non appartengono ai soci detentori delle quote.

Il motivo non supera la soglia dell’ammissibilità.

Innanzitutto il tribunale del riesame ha ampiamente motivato sulla sequestrabilità delle quote, sostenendo tale conclusione con valutazioni logiche e giuridicamente corrette, indenni da vizi apprezzabili in questa sede.

In secondo luogo, quanto al lamentato sequestro della proprietà dei beni strumentali utilizzati e dei crediti maturati, la doglianza viene meno all’obbligo della specificità, fermo restando che trattasi di questione di merito che va proposta al giudice competente.

Il ricorso del B. va quindi dichiarato inammissibile con condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro.

1.000 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

6.) il ricorso di R.A. e le ragioni della decisione di inammissibilità della Corte.

6.1) la motivazione dell’ordinanza impugnata.

Nei motivi del riesame la difesa del R. ha contestato il "quantum" del sequestro operato ai danni del ricorrente, rilevando in particolare:

a) che per "profitto" del reato deve essere inteso il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dallo stesso;

b) che esso non può essere individuato nella somma di Euro 56.760.892,68 (importo corrispondente all’ammontare complessivo di imposta evasa e sanzioni), considerato: -che manca il rapporto di diretta derivazione tra reato ed asserito profitto, dato che le alienazioni di beni che si pretendono simulate ed attraverso le quali il R. avrebbe salvato il proprio patrimonio costituiscono un momento del tutto scollegato rispetto a quello del reato"; – che il momento delle alienazioni è antecedente rispetto a quello del reato (che risale al luglio 2008); che vi è manifesta sproporzione tra somma per la quale si è emesso il decreto di sequestro preventivo e beni concretamente apprendibili in sede di esecuzione esattoriale, "non potendo il profitto dilatarsi oltre la originaria capacità patrimoniale dei soggetti obbligati";

c) che per lo stesso capo d’imputazione, le sentenze della Commissione tributaria oggetto di accusa potrebbero anche essere conformi a diritto, talchè in questa ipotesi verrebbe a mancare qualsiasi profitto per l’azione delittuosa (in ipotesi) commessa.

L’ordinanza impugnata ha invece a contrario osservato:

1) che è estraneo alla sede cautelare un eventuale accertamento circa le sorti delle sentenze che si assumono oggetto di mercimonio, trattandosi di profitto derivato dall’ottenimento di pronuncia emessa con la partecipazione di giudice corrotto, ed all’ingiustizia "in sè" di tale pronuncia, indipendentemente da valutazioni prognostiche circa i successivi sviluppi processuali, circostanza che rende ingiusto il profitto derivatone per l’intero suo ammontare;

2) che quanto al profitto, e alla confiscabilità per equivalente dello stesso (nel caso di corruzione attiva), va per quest’ultima esclusa l’esistenza di un rapporto diretto tra reato commesso e beni assoggettati a confisca, e pertanto è indifferente l’epoca di ingresso nel patrimonio del reo dei beni oggetto del provvedimento, ed anche il valore dei beni stessi (fermo restando che lo stesso deve rientrare nei limiti dell’individuato profitto del reato);

3) che con riferimento alla posizione del R., la determinazione del profitto è stata correttamente effettuata sulla base del risparmio di imposta e di sanzioni derivante dall’attività corruttiva, e tale è il vantaggio patrimoniale ottenuto a mezzo del reato, vantaggio sicuramente da porre in collegamento "immediato e diretto" con la condotta realizzata.

6.2) i motivi di impugnazione del R. e la decisione della Corte di legittimità.

I motivi di ricorso del R. sono la sostanziale ripetizione, peraltro ulteriormente argomentata, delle doglianze respinte dal riesame, con riferimento appunto ai punti sub a), b) e c) del precedente p. 2.

In particolare la difesa ha lamentato:

a) che sia ipotizzabile un "profitto dubitativo": non potendo valere in proposito l’argomentare del Tribunale del riesame, secondo cui il profitto economico correlato alla pronuncia di una sentenza cui abbia concorso un giudice corrotto è ingiusto nel suo intero ammontare, dimenticando di considerare che vi può essere reato senza profitto;

b) che la sentenza, richiamata dal Tribunale del riesame (21027/10), sia in conferente, trattandosi in quella fattispecie di un sequestro per equivalente di somma corrispondente al prezzo del reato, laddove invece, come nella vicenda, vi sia stato sequestro per equivalente di somma pari al profitto del reato, è necessario che il profitto sia stato effettivamente conseguito, altrimenti il provvedimento troverebbe giustificazione per la sola parte che coincide con il prezzo del reato;

c) che pertanto il sequestro per equivalente a carico del R. potrà essere superiore al valore del prezzo del reato, soltanto laddove si raggiunga la prova che le decisioni in questione siano contrarie ai doveri di ufficio di coloro che le hanno deliberate.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi di P.G., M. G., e R.A. per sopravvenuta carenza di interesse.

Dichiara altresì inammissibili i ricorsi di V.B., B.M. e B.M. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1 000 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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