Cass. civ. Sez. VI, Sent., 12-03-2012, n. 3911 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

L.G.A. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze avverso il decreto in data 15 dicembre 2009, con il quale la Corte di appello di Bologna ha rigettato la domanda di equa riparazione da lui proposta, della L. n. 89 del 2001, ex art. 2 per violazione del termine ragionevole di durata di un giudizio promosso davanti al Tar Emilia Romagna con ricorso del 22 maggio 1996 e non ancora definito alla data del deposito del ricorso per equa riparazione (24 dicembre 2008).

Il Ministero intimato ha depositato atto di costituzione non notificato a controparte.

Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Motivi della decisione

Con i due motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto attinenti a questioni strettamente connesse, il ricorrente si duole che la Corte di merito, con violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, e con vizio di motivazione, abbia rigettato la domanda, ritenendo che la palese infondatezza della domanda proposta davanti al Tar consentiva di escludere – anche in conseguenza dell’esito negativo di un giudizio di legittimità costituzionale, definito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 330/1999 dichiarativa della non fondatezza della questione sollevata – che l’attesa della definizione della controversia, dall’esito sfavorevole ormai scontato, potesse aver procurato al ricorrente medesimo un patema d’animo indennizzabile. Il ricorso è fondato.

Infatti, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti e dalla consistenza economica ed importanza del giudizio, a meno che l’esito del processo presupposto non abbia un indiretto riflesso sull’identificazione, o sulla misura, del pregiudizio morale sofferto dalla parte in conseguenza dell’eccessiva durata della causa, come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, restando irrilevante l’asserita consapevolezza da parte dell’istante della scarsa probabilità di successo dell’iniziativa giudiziaria.

Dell’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve dare prova puntuale l’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte sia stata dichiarata manifestamente infondata (Cass. 2006/7139; 2008/24269;

2010/9938).

La Corte di appello di Bologna – nel rigettare il ricorso osservando che la palese infondatezza della domanda proposta davanti al Tar consentiva di escludere che l’attesa della definizione della controversia, dall’esito sfavorevole ormai scontato dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 330/1999 dichiarativa della non fondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata, potesse aver procurato al ricorrente un patema d’animo indennizzabile – non si è uniformata all’orientamento sopra enunciato e il decreto impugnato deve essere conseguentemente annullato. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.p., comma 2. Si deve, in primo luogo, osservare che non si rinvengono in atti elementi che, alla stregua del principio in precedenza enunciato, consentano di ritenere che il ricorrente, pur proponendo una domanda priva di fondamento, abbia promosso una lite temeraria in difetto di una condizione soggettiva di incertezza e che pertanto non si sia nella specie verificato il pregiudizio morale conseguente all’eccessiva durata della causa, tenuto conto che questo si verifica di regola come effetto della violazione medesima e non abbisogna di essere provato sia pure attraverso elementi presuntivi (Cass. 2005/21088;

2006/7139).

Va altresì rilevato che il giudizio presupposto – promosso davanti al Tar Emilia Romagna con ricorso del 22 maggio 1996 e non ancora definito alla data di deposito del ricorso per equa riparazione (24 dicembre 2008) – si è protratto per dodici anni e sette mesi, con conseguente superamento nella misura di nove anni e sette mesi del termine ragionevole di durata, determinato per il giudizio di primo grado in tre anni alla stregua dei parametri fissati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di cassazione (Cass. 2008/14).

In ordine al criterio per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto va considerato che la CEDU, in alcune decisioni (Volta et autres c. Italia, del 16 marzo 2010; Falco et autres c. Italia, del 6 aprile 2010) ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi e alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille Euro annue normalmente liquidata, con valutazioni del danno non patrimoniale che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a valutazioni più riduttive rispetto a quelle in precedenza ritenute congrue (v. Cass. 2010/14753; 2010/15130).

Nel caso di specie, considerati i margini di valutazione equitativa adottabili in conformità dei criteri ricavabili dalla sopra menzionata giurisprudenza della CEDU e valutate le specificità del caso in relazione al protrarsi della procedura dinanzi al Tar Emilia Romagna oltre i limiti ragionevoli di durata, e in particolare del lunghissimo periodo in cui non vi è stato impulso sollecitatorio di parte, avendo il ricorrente presentato istanza di prelievo soltanto il 14 ottobre 2008, al ricorrente va liquidata in via equitativa, per danno non patrimoniale, la somma di Euro 6.500,00 con gli interessi legali dalla domanda, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397;

2008/25352).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 6.500,00, oltre agli interessi legali dalla domanda.

Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.140,00 di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge.

Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 965,00, di cui Euro 865,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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