Cass. civ. Sez. II, Sent., 12-03-2012, n. 3891 Comunione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

La Spamed s.r.l. con citazione del 4/5/1998 esponeva:

– di essere comproprietaria per 7/15 dell’edificio sito in (OMISSIS);

– che le restanti quote di comproprietà appartenevano a C. G., Ce.Go. e alla società Villa Salaria s.r.l.;

– che l’immobile era stato locato alla comproprietaria soc. Villa Salaria ad un canone che l’attrice definiva irrisorio;

che all’assemblea del 6/2/1998 con il voto maggioritario di 8/15, espresso dagli altri comproprietari, era stata respinta la proposta di essa attrice di dare la disdetta del suddetto contratto di locazione;

– che tutti gli altri comproprietari, che formavano la maggioranza, erano in conflitto di interessi ( C. e Ce. in quanto avevano rilevanti partecipazioni nella soc. Villa Salaria, comproprietaria e conduttrice) con la comunione e pertanto non avrebbero potuto votare;

che l’illecito comportamento dei suddetti comproprietari aveva cagionato un rilevante danno per il mancato congruo utilizzo dell’immobile secondo i canoni di locazione correnti.

Tanto premesso la società attrice chiedeva dichiararsi la validità della deliberazione assunta con l’unico voto valido di essa deducente di disdettare il contratto di locazione e, in via subordinata, chiedeva annullarsi la suddetta delibera con la condanna, in ogni caso, di tutti i predetti convenuti al risarcimento dei danni cagionati con l’inadempimento degli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede. I convenuti si costituivano e chiedevano il rigetto della domanda.

All’esito di CTU diretta ad accertare l’ammontare dei canoni di mercato per la locazione e l’ammontare dei lavori eseguiti nell’immobile dalla conduttrice, il Tribunale di Roma con sentenza del 25/5/2000 annullava la delibera e condannava in solido al risarcimento dei danni tutti i convenuti e tra questi anche la comunione di (OMISSIS) nei cui confronti, tuttavia, in appello è stata pronunciata la cessazione della materia del contendere con statuizione che non ha formato oggetto di impugnazione.

La Corte di Appello di Roma con sentenza del 21/10/2009 accoglieva l’appello incidentale della Spamed, riguardante il profilo della responsabilità della comunione di (OMISSIS) (nei cui confronti, come detto, dichiarava cessata la materia del contendere)e rigettava l’appello principale rilevando:

– che sia la soc. Villa Salaria, sia il C., sia il Ce., avevano votato la delibera del 6/2/1998 essendo in conflitto di interessi concretizzato nei fatti esposti nell’atto di citazione e in quanto: la prima era la conduttrice dell’immobile oggetto di comunione e si avvantaggiava della sperequazione del canone pattuito rispetto a quello di mercato; il secondo in relazione agli addebiti che portarono alla revoca della sua nomina ad amministratore e alla nomina di un amministratore giudiziario e il terzo perchè la sua posizione non si era mai distinta da quella degli altri comproprietari e, in particolare, tutti gli altri comproprietari dal bene locato ricavavano vantaggi indiretti, mentre la SPAMED, non più partecipe della gestione della Casa di cura nell’immobile locato, non ne traeva e non poteva essere privata del rendimento che il bene poteva assicurare;

– che nessuna rilevanza poteva assumere la previsione del Regolamento della Comunione di (OMISSIS) per la quale l’immobile doveva essere destinato a casa di Cura in quanto tale finalità non escludeva quella di assicurare la redditività dell’immobile essendo, al contrario, previsto che questo fosse locato ad un canone che assicurasse al capitale impiegato per l’acquisto e la costruzione un interesse netto non inferiore al 6% annuo e con diritto alla revisione del canone in caso di aumento o riduzione dell’indice dei prezzi superiore al 10%:

che C.G. era inoltre responsabile per avere violato l’obbligo di amministrare con prudenza e non in conflitto di interessi per il suo comportamento omissivo e per essersi rifiutato di porre in discussione la richiesta di SPAMED di risoluzione del contratto di locazione;

che correttamente il giudice di prime cure aveva attribuito natura extracontrattuale alla responsabilità dei convenuti in relazione ai fatti dedotti in quanto trovava titolo nella violazione del generico principio del neminem laedere.

Villa Salaria s.r.l., C.G., D.S., Ce.

S. e Ce.Fa., questi ultimi tre quali eredi di C. G. senza produrre documentazione al riguardo, propongono ricorso per Cassazione fondato su tre motivi e depositano memoria.

Resiste con controricorso la SPAMED s.r.l..

Motivi della decisione

1. Il primo motivo è così rubricato "violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riferimento alla errata applicazione delle norme e dei principi di diritto vigenti in materia di comunione ex art. 1100 e ss. c.c., e segnatamente in materia di conflitto di interessi anche nel regime della comunione".

I ricorrenti sostengono che erroneamente i giudici del merito avrebbero applicato i principi relativi al condominio negli edifici alle deliberazioni dei proprietari di un bene in comunione i quali sono tenuti a rispettare la volontà della maggioranza che, anche in contrasto con la minoranza dissenziente, può decidere se far cessare o meno il contratto di locazione alla scadenza (al riguardo richiamano giurisprudenza di questa Corte che, tuttavia, non affronta il problema della tutela della minoranza rispetto alle delibere adottate dalla maggioranza in conflitto di interessi). Nel motivo si assume, inoltre, che con argomenti generici sarebbe stato ritenuta applicabile la disciplina del conflitto di interessi al Cu. e al Ce., che il rapporto di parentela non implica un conflitto di interessi, che non vi sarebbe stato l’intento di ledere i diritti del comproprietario di minoranza.

2. Le ultime censure sono inammissibili con riferimento al motivo di ricorso per violazione di diritto in quanto riguardano il diverso profilo della motivazione attraverso la quale si è ritenuto sussistente il conflitto di interessi e comunque, anche a volere ravvisare una censura alla motivazione, la censura è inammissibile in quanto diretta a censurare il merito della valutazione della Corte di Appello in ordine alla concreta sussistenza del conflitto di interessi, rispetto alla quale la motivazione sussiste, quanto al C., con rinvio ai fatti che portarono il Tribunale di Roma a revocarlo dalla carica di amministratore, con provvedimento confermato dalla Corte di Appello, quanto a (OMISSIS), per la sua posizione di conduttrice e diretta interessata e quanto al Ce. per il suo affiancamento agli altri due condomini nei confronti di Spamed; per quest’ultimo, dunque, il conflitto di interessi è il risultato di un ragionamento deduttivo; tale motivazione non appare nè insufficiente, nè illogica, nè contraddittoria.

Per il resto il motivo è egualmente inammissibile in quanto non coglie minimamente la ratio decidendi della decisione: il giudice di appello non ha applicato norme riguardanti il condominio negli edifici e, d’altra parte, nessuna norma regolatrice del condominio negli edifici prevede espressamente l’invalidità del voto espresso in conflitto di interessi, mentre la rilevanza del conflitto viene affermata in giurisprudenza; il giudice di appello ha, invece, applicato il diverso principio per il quale, anche nella comunione, la maggioranza non può esprimere legittimamente una volontà estranea all’interesse della comunione e che persegua solo l’interesse particolare dei comproprietari di maggioranza provocando danni al proprietario di minoranza; l’esclusione del voto del soggetto in conflitto di interessi era altresì espressamente previsto per i soci delle società di capitali dall’art. 2373 c.c. prima della riforma di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, che tuttavia ha previsto, in siffatta ipotesi, la possibilità di impugnazione laddove la delibera possa recare danno alla società. Del tutto "fuori tema" appaiono, dunque le digressioni circa le (indubitabili) differenze tra comunione e condominio negli edifici (nel quale il bene comune non soddisfa di per sè l’interesse del comproprietario, ma ha una utilità solo strumentale, nel senso che consente di godere della diversa utilità legata ai beni oggetto di proprietà individuale) o circa la facoltà della maggioranza di imporre le sue scelte alla minoranza. La Corte territoriale ha infatti accertato che la maggioranza aveva perseguito propri particolari interessi (produttivi di danno per il comunista di minoranza) in contrasto con l’interesse della comunione i cui partecipanti si erano accordati, con apposito regolamento, affinchè dalla cosa comune si potesse ricavare un adeguato reddito; i comproprietari di maggioranza avevano invece consentito la prosecuzione del contratto di locazione a canone ampiamente inferiore a quello di mercato; la Corte di Appello ha ritenuto che questa condotta fosse lesiva del principio della parità di diritti tra comunisti e del principio del neminem laedere e, quindi, fonte di responsabilità extracontrattuale.

A siffatti comportamenti non può essere riconosciuta legittimità sulla base del principio di maggioranza perchè alla maggioranza è consentito, ex art. 1105 c.c., decidere in merito all’amministrazione della cosa comune, ma senza abusare del proprio diritto pregiudicando ingiustamente il diritto, garantito dall’art. 1102 c.c., di ogni comproprietario sulla res cominunis e in particolare il diritto di ricavare da essa l’utilità sicuramente ritraibile. Sotto il profilo della espressione del voto, si osserva che la volontà espressa dal singolo comproprietario non può dirsi validamente espressa laddove sia rivolta all’attuazione di interessi particolari, non solo estranei, ma anche in conflitto rispetto a quelli della comunione, consapevolmente pregiudicando l’interesse comune del gruppo dei comproprietari (riuniti su base volontaria per formare un centro autonomo di interessi) a ricavare dalla cosa comune le utilità sicuramente ritraibili; si deve solo precisare che i giudici di merito hanno motivatamente ritenuto sussistente il pregiudizio economico.

Analoghi principi, seppure in tema di condominio negli edifici (ma con identica ratio) erano già stati espressi da Cass. 28/1/1976 n. 270 che, con riferimento a delibera avente ad oggetto la locazione ad un singolo condomino di un locale condominiale aveva affermato che il diritto di voto non può essere esercitato da un condomino che abbia un interesse proprio in conflitto con quello del condominio; gli stessi principi sono stati poi ribaditi da Cass. 18/5/2001 n. 6853 e da Cass. 16/5/2011 n. 10754.

Infine, l’argomento per il quale il bene, sulla base del regolamento disciplinante la comunione, dovesse essere destinato a casa di cura, attiene alla motivazione sul conflitto di interessi; la Corte di Appello ha motivato sul punto (osservando che la particolare destinazione non escludeva il diritto ad una adeguata remunerazione della locazione) e non v’è un motivo di censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Il motivo deve quindi essere dichiarato inammissibile.

3. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione di norme di diritto relative alla responsabilità extracontrattuale dei comunisti e la nullità della sentenza e del procedimento per omessa pronuncia sul vizio di ultrapetizione e/o extrapetizione ex art. 112 c.p.c.. Essi assumono che l’attrice non aveva proposto una domanda per responsabilità extracontrattuale e che in appello avevano denunciato il vizio di extrapetizione, ma sull’eccezione la Corte territoriale avrebbe omesso ogni pronuncia;

la Corte territoriale avrebbe ulteriormente errato nel ritenere che i fatti dedotti configurassero un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, mentre la responsabilità avrebbe dovuto essere qualificata di tipo contrattuale.

4. Il motivo è manifestamente infondato: non risulta che sia stato dedotto, tra i motivi di appello, il vizio di extrapetizione in relazione alla qualificazione del tipo di responsabilità e pertanto la sentenza di appello non può dirsi viziata per omessa pronuncia sul punto; era stato invece contestato che i fatti dedotti integrassero una responsabilità extracontrattuale essendo stata individuata la fonte della responsabilità nella violazione del principio di buona fede la cui applicazione sarebbe limitata alle obbligazioni contrattuali.

La fonte della responsabilità risarcitoria è stata invece correttamente individuata dal giudice di prime cure e, poi, dal giudice di appello (sulla base dei fatti esposti e, quindi, senza immutazione del fatto o della causa petendi, ma qualificandoli giuridicamente) nel divieto di agire in conflitto di interessi e dalla violazione del principio del neminem laedere. Tale divieto esprime un principio generale dell’ordinamento fondato sul dovere di lealtà, in questo caso nei confronti degli interessi della collettività dei comproprietari; l’obbligo di comportarsi lealmente altro non è che una specificazione dell’obbligo del neminem laedere, nè era stato dedotto (al fine di potere configurare una responsabilità contrattuale) un obbligo primario di prestazione rimasto inadempiuto, ma si era dedotta, appunto, la violazione, produttiva di danni, di regole di comportamento e, nella sostanza, un abuso del diritto di decidere, quale comproprietario, sull’utilizzo del bene.

5. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono il vizio di motivazione sia quanto alla determinazione del danno risarcibile sia quanto all’individuazione della data (30/6/1993) in cui il contratto di locazione sarebbe scaduto per effetto della disdetta, sia quanto ai criteri seguiti dal CTU per la determinazione del canone di mercato sul quale calcolare la differenza rispetto al canone contrattuale.

Sotto il primo profilo (data di scadenza del contratto) occorre osservare che il giudice di appello ha ritenuto che per il calcolo della scadenza contrattuale non dovesse applicarsi la L. n. 392m del 1978, art. 67, ma l’art. 71 e ha concluso che con l’applicazione di tale norma il contratto dovesse scadere alla data del 30/6/1993.

I ricorrenti non deducono il vizio di violazione di legge in ordine all’applicazione della suddetta norma (evidentemente applicata facendo decorrere dal 1981, data della prima scadenza novennale, i primi 6 anni di rinnovo L. n. 392 del 1978, ex art. 27, comma 1 e dal 1987 gli ulteriori sei anni), nè hanno dimostrato (contravvenendo al principio di autosufficienza del ricorso) di avere addotto davanti al giudice di merito specifiche ragioni per le quali la disdetta doveva ritenersi inefficace e rispetto alle quali il giudice di merito non avrebbe espresso motivazione.

La censura è quindi inammissibile.

E’ parimenti inammissibile la censura sviluppata con riferimento alla liquidazione del danno e alla determinazione del canone di mercato;

nella censura si rileva che la Corte di Appello, facendo proprie le risultanze della CTU, avrebbe trascurato la particolare destinazione a casa di cura dell’immobile, il valore delle opere eseguite sull’immobile da parte del conduttore e non avrebbe considerato che la CTU aveva stabilito, per l’immobile, un canone corrente di mercato senza valutare in quali condizioni si trovasse nel Dicembre 1987 quando la Spamed aveva acquistato la sua quota di comproprietà dell’immobile.

Le censure concernono valutazioni discrezionali del giudice del merito e non il vizio di motivazione e pertanto sono inammissibili:

la Corte di Appello ha ritenuto, adeguatamente motivando, che non dovessero assumere rilievo le opere realizzate all’interno dell’immobile perchè con sentenza passata in giudicato era stato stabilito che la conduttrice non avesse alcun diritto per i miglioramenti apportati alla cosa locata; in ogni caso, il motivo è altresì inammissibile per irrilevanza, posto che non si deduce che la particolare destinazione a casa di cura avrebbe avuto incidenza sul canone di mercato ritraibile, nè si deduce che la condizione dell’immobile al 1987 sarebbe stata deteriore rispetto a quella riscontrata dal CTU al momento della perizia.

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, ma, con riferimento alle posizioni personali di D.S., Ce.

S. e Ce.Fa., che, proponendo ricorso insieme a Villa Salaria s.r.l. si sono dichiarati quali eredi di Goffredo Ce. senza produrre documentazione al riguardo, la reiezione del gravame deve assumere la veste formale dell’inammissibilità perchè, come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr. da ultimo Cass. 27/1/2011 n. 1943 e, in precedenza, ex multis, Cass. 25/6/2010 n. 15352; Cass. 17/10/2006 n. 22244; Cass., S.U, sentenza n. 226 del 2001), incombe a chi ricorre per cassazione nel l’asserita qualità di erede della persona che fece parte del precedente giudizio di merito, l’onere di dare la prova – per mezzo delle produzioni documentali consentite dall’art. 372 c.p.c. – del decesso della parte originaria, nonchè della propria asserita qualità, e cioè dei presupposti che dovrebbero legittimare la successione nel processo e, quindi, la proposizione dell’impugnazione in proprio nome, con la conseguenza che in difetto di tale prova il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per mancanza di prova della legittimazione ad impugnare, mentre nessun rilievo assume la mancata contestazione di tale legittimazione ad opera della controparte, trattandosi di questione rilevabile di ufficio; nella fattispecie, nessuna prova al riguardo è stata fornita.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza dei ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da D. S., Ce.St. e Ce.Fa. e rigetta il ricorso proposto, con lo stesso atto, da Villa.

Salaria s.r.l.; condanna i ricorrenti a pagare a Spamed s.r.l. le spese di questo giudizio di Cassazione che si liquidano in complessivi Euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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