Cass. civ. Sez. II, Sent., 12-03-2012, n. 3883 Rovina e difetti dell’immobile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Po.Do., dante causa degli odierni resistenti, era proprietario del piano seminterrato di un edificio costruito dall’appaltatore P.P. in (OMISSIS).

P. era rimasto proprietario dell’area scoperta soprastante il seminterrato, area utilizzata per il parcheggio e transito di automezzi.

La controversia concerne il risarcimento di danni derivati al seminterrato da infiltrazioni di acqua dal soffitto, addebitate dall’originario attore Po.Do. a difetti di costruzione dell’edificio sovrastante e dal resistente P. a normale usura, ferma comunque la prescrizione dell’azione di garanzia ex art. 1669 c.c..

E’ stato invece transatto il contenzioso relativo alla riparazione dei manufatti.

La causa veniva decisa una prima volta dalla Corte di appello di Bari nel 1999, dichiarando prescritta l’azione risarcitoria e tardiva l’eccezione di rinuncia alla prescrizione.

La Corte di Cassazione con sentenza 7411/03, ritenuta l’eccezione de qua sottratta al regime preclusivo delle eccezioni in senso stretto, annullava la sentenza del 1999, demandando alla Corte territoriale di rinvio il compito di stabilire se vi fosse stata effettiva rinuncia alla prescrizione.

La Corte di Bari in data 29 luglio 2005 accoglieva le ragioni degli eredi Po.; rigettava pertanto l’appello del P., a suo tempo condannato dal tribunale di Foggia al pagamento, in favore dell’attore, di circa L. undici milioni, con interessi e rivalutazione dal 1985.

P.P. il 22 marzo 2006 ha proposto ricorso per cassazione, sviluppato in tre motivi, resistito da controricorso.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 84 e 384 c.p.c.; artt. 1669 e 2937 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 4, nonchè vizi di motivazione. Parte ricorrente sostiene in primo luogo che la rinuncia alla prescrizione è stata desunta da dichiarazioni rese all’udienza del 23. 2. 1988 dal difensore, il quale ex art. 84 non può dismettere il diritto in contesa.

La censura è infondata, atteso che: la rinuncia a far valere la prescrizione dell’azione proposta "ex adverso" può′ essere desunta dalle difese svolte dal procuratore della parte, senza che possa rilevare in contrario la mancanza di potere dispositivo nel procuratore alle liti, poichè ciò vale per la rinuncia espressa, ma non per le conseguenze che possono derivare per implicito dalla linea difensiva adottata dal difensore, il quale, nell’adempimento del mandato conferitogli, sceglie in piena autonomia la condotta tecnico – giuridica ritenuta più′ confacente alla tutela del proprio cliente (Cass 5226/02).

Sotto altro profilo parte ricorrente deduce che la Corte di cassazione aveva chiesto di esaminare i comportamenti tenuti dal P., mentre la Corte di appello avrebbe solo esaminato "alcune proposizioni" contenute nella comparsa di risposta e nelle conclusioni.

Inoltre (pag. 12) deduce che vi sarebbe violazione dell’art. 2937 c.c. per assenza di fatti incompatibili con al volontà di valersi della prescrizione, tra i quali non sarebbe annoverabile il pagamento parziale del debito prescritto.

La doglianza non può essere accolta: l’insegnamento dominante di questa Corte è nel senso che il pagamento parziale del debito prescritto non costituisce di per sè solo rinuncia tacita alla prescrizione, ma va interpretato nel contesto delle circostanze di fatto in cui tale pagamento è avvenuto, ditalchè non è corretta la parziale lettura dei precedenti giurisprudenziali (Cass. 2267/01 e poi cfr.23746/07 ; 12624/11) proposta dal ricorso (cfr. pag. 13).

Consta pertanto che l’accertamento compiuto dal giudice di merito in ordine alla rinuncia tacita alla prescrizione è accertamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se sorretto da congrua e logica motivazione.

Nella specie non sussiste nè la denunciata violazione di legge, nè il vizio di motivazione.

La Corte di appello, con congruo e logico ragionamento ha infatti tratto argomento sia dalla comparsa di risposta sia dalla comparsa conclusionale e ha valutato razionalmente, in un contesto che ha valutato complessivamente e che non può essere qui ripetuto, che la modifica delle posizioni difensive assunta dal P. dicendo di essere disposto a concorrere alla spesa per le riparazioni costituiva riconoscimento del diritto del Po. al risarcimento del danno, rafforzato, e non indebolito, dal tentativo di scaricare sui condomini la possibile corresponsabilità, tentativo velleitario trattandosi di responsabilità fatta valere ex art. 1669 c.c. e quindi incombente sull’appaltatore.

Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e ss. c.p.c., art. 1362 e ss. cod. civ. e vizi di motivazione.

Parte ricorrente ricorda che tra le parti era stata stipulata una scrittura che stabiliva di eseguire le opere necessarie alle riparazioni (testualmente; "le opere di cui al preventivo del 12/9/1988 dell’impresa Gentile"), senza pregiudizio degli atti di causa "e di ogni altro recìproco diritto o pretesa". La scrittura aggiungeva che le parti erano addivenute a ciò: "onde evitare l’ulteriore aggravarsi dello stato della copertura per cui è causa.

L’intera spesa sarà anticipata da Po.Do., salvo ripartirla come per legge e a meno che gli interessati non raggiungano una intesa in merito".

La Corte d’appello ha sottolineato come la scrittura facesse espressa salvezza della controversia (testualmente: "I signori … senza pregiudizio degli atti relativi alla lite tra loro pendente vanti il tribunale di Foggia g.i. dr. Testa, iscritta al n. 3347/84") e dei diritti contesi.

Ha ritenuto che ciò significasse che vi era stato accordo solo sull’esecuzione dei lavori più urgenti, ma che non era cessata la materia del contendere su chi dovesse sopportare la spesa. Parte ricorrente contesta questa lettura e sostiene che le parti volevano invece definire transattivamente il contrasto nel senso che Po. pagasse la spesa e non solo che la anticipasse, salvo ulteriori intese.

Il P. afferma quindi che l’inciso relativo alla causa pendente era una mera clausola di stile "diretta a consentire la prosecuzione del giudizio" ove l’accordo non avesse avuto piena esecuzione; che l’interpretazione accolta dalla Corte di merito sarebbe contraria a buona fede, presupponendo la volontà di proseguire la lite; che l’eventuale ambiguità dell’atto doveva portare a interpretazione nel senso che le parti avessero voluto concludere con esso la controversia.

Il Collegio reputa apodittica e del tutto infondata questa prospettazione.

Il chiaro tenore letterale della scrittura; la coerenza del richiamo alla futura allocazione definitiva della spesa come per legge (cioè come sarebbe risultato all’esito del giudizio) con la espressa volontà di far salva la pendenza della lite espressamente menzionata con specifici elementi, a riprova della formulazione non di stile -;

l’intento ovvio, ben individuato dalla sentenza impugnata, di evitare "l’ulteriore degrado della situazione" rendono palese la congruità, correttezza e incensurabilità in questa sede della interpretazione, al lume di tutti i criteri normativi di interpretazione dei contratti e dell’interna coerenza della motivazione.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 1669 c.c. e tutti i possibili vizi di motivazione per criticare il convincimento della Corte di merito, secondo la quale gli inconvenienti lamentati dal Po. erano da ascrivere a difetti strutturali imputabili al P..

Si sostiene che la sentenza non avrebbe accertato il titolo di imputabilità e il nesso di causalità, indispensabili ai fini dell’affermazione di responsabilità extracontrattuale in relazione alle norme citate.

Anche questa doglianza non merita accoglimento.

Essa fa leva sulla stessa consulenza le cui conclusioni sono poste a base della decisione impugnata per sostenere che le infiltrazioni derivavano da usura del manto e non da vizi di costruzione.

Invoca inoltre le deduzioni alla ctu depositate il 15/4/1986, ma ne riporta testualmente in ricorso tre sole righe, insufficienti al fine di far comprendere da quale risultanza di fatto, acquisita al giudizio, il consulente di parte abbia tratto l’opinione che sia stato il Po. – con le opere da lui eseguite – a causare le infiltrazioni.

Trattasi quindi di considerazioni non decisive, a fronte dell’argomentato giudizio di fatto reso, con ineccepibile logica concludenza, dalla Corte di appello, secondo la quale le opere interne del Po. non hanno riguardato la struttura, eseguita dal convenuto, cui sono da ricondurre gli inconvenienti lamentati e i danni conseguenti, spiegazione che da conto di tutti gli elementi che compongono il paradigma della normativa applicata. Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo tenendo conto del modesto valore della lite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite, liquidate in Euro 1.600 per onorari, oltre 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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