Cass. civ. Sez. II, Sent., 12-03-2012, n. 3882 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 1 marzo 2006, il Giudice di pace di Trani ha accolto l’opposizione proposta da F.L. avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa dal Comune di Trani, con la quale era stata irrogata la sanzione amministrativa di Euro 5.146,00 per la violazione del D.Lgs. n. 114 del 1998, artt. 28 e 29, comma 1,per avere effettuato la minuta vendita al pubblico di insalata e finocchi posti in cassette posizionate sulla carreggiata della strada senza alcuna autorizzazione.

Il Giudice di pace ha fatto applicazione del D.Lgs. n. 114 del 1998, art. 4, comma 4, lett. d), il quale espressamente stabilisce la non operatività del decreto legislativo per i "produttori agricoli, singoli o associati, i quali esercitino attività di vendita di prodotti agricoli nei limiti di cui all’art. 2135 c.c. alla L. 25 marzo 1959, n. 125 e successive modificazioni, e alla L. 9 giugno 1963, n. 59 e successive modificazioni".

Ha osservato, in particolare, il giudicante che dalla esperita istruttoria era emerso che l’opponente svolgeva attività diretta di coltivazione dei propri fondi di modestissimo valore e che i prodotti posti in vendita al momento dell’accertamento erano stati raccolti nel piccolo orto di sua proprietà, coltivato direttamente da esso opponente, e posti in vendita nel Comune di residenza rientrando nella propria abitazione; circostanze, queste, che inducevano a ritenere che l’attività lavorativa dell’opponente rientrasse nella previsione di cui all’art. 2135 cod. civ., a nulla rilevando la mancanza di certificazione amministrativa, attestante il possesso della qualità di produttore agricolo, atteso che detta certificazione non aveva efficacia costitutiva della detta qualità.

La cassazione di questa sentenza è chiesta dal Comune di Trani con ricorso affidato a due motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, il Comune ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 114 del 1998, art. 4, comma 2, lett. d) dell’art. 2135 cod. civ., della L. n. 59 del 1963, del D.Lgs. n. 228 del 2001, artt. 2 e 4 e dell’art. 2193 cod. civ., sostenendo che il Giudice di pace avrebbe ritenuto sussistente in capo all’opponente la qualità di produttore agricolo, esonerato dall’osservanza delle disposizioni in materia di commercio, sulla base di una incompleta ricostruzione dei presupposti che, in base alle citate disposizioni, devono sussistere perchè possa essere riconosciuta la detta qualità, che deve risultare peraltro dalla iscrizione nel registro delle imprese alla sezione speciale per gli imprenditori agricoli e coltivatori diretti.

Con il secondo motivo il Comune di Trani denuncia vizio di motivazione in ordine alla ritenuta qualità di produttore agricolo in capo al F..

Il ricorso, i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, è infondato.

Giova premettere lo stesso Comune ricorrente riferisce che al F. venne contestata la violazione del D.Lgs. n. 114 del 1998, art. 28, comma 2, e 29, comma 1, per avere esercitato la vendita di prodotti agricoli senza la prescritta autorizzazione. In particolare, l’art. 28, comma 2, nella formulazione ratione temporis applicabile, disponeva che l’esercizio dell’attività di commercio sulle aree pubbliche "è soggetto ad apposita autorizzazione rilasciata a persone fisiche o a società di persone regolarmente costituite secondo le norme vigenti". L’art. 29, comma 1, a sua volta, prevede che "Chiunque eserciti il commercio sulle aree pubbliche senza la prescritta autorizzazione o fuori dal territorio previsto dalla autorizzazione stessa, nonchè senza l’autorizzazione o il permesso di cui all’art. 28, commi 9 e 10, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 2.582,38 a Euro 15.593,71 e con la confisca delle attrezzature e della merce".

Ai sensi dell’art. 4, comma 2, lett. d), del medesimo Decreto Legislativo, peraltro, il decreto stesso "non si applica: … d) ai produttori agricoli, singoli o associati, i quali esercitino attività di vendita di prodotti agricoli nei limiti di cui all’art. 2135 c.c., alla L. 25 marzo 1959, n. 125 e successive modificazioni e alla L. 9 febbraio 1963, n. 59 e successive modificazioni".

Il Giudice di pace ha ritenuto, alla luce di tale ultima disposizione e sulla base delle accertata circostanza dell’avvenuta vendita di prodotti agricoli provenienti da un piccolo fondo di proprietà dell’opponente dal medesimo coltivato ad orto, che allo stesso non si applicassero nè la disciplina, nè le sanzioni previste dal D.Lgs. n. 114 del 1998.

Il Comune contrasta tale ricostruzione ritenendo che il Giudice di pace non avrebbe potuto riconoscere all’opponente la qualità di coltivatore diretto in assenza della iscrizione, da parte sua, nell’apposita sezione del registro delle imprese e in assenza della prova che l’attività fosse svolta dall’opponente in via esclusiva o prevalente.

Orbene, nessuna delle due censure mosse dal Comune alla sentenza impugnata appare condivisibile. Quanto alla prima, infatti, occorre rilevare, in primo luogo, che l’iscrizione nell’apposita sezione del registro delle imprese dedicata alle imprese agricole e ai coltivatori diretti opera solo ai fini della opponibilità rispetto ai terzi, ma non anche ai fini della riconducibilità di un determinato prodotto agricolo all’attività di coltivazione effettuata da un soggetto, ancorchè non iscritto. L’art. 2193 cod. civ., invero, al primo comma stabilisce che "i fatti dei quali la legge prescrive l’iscrizione, se non sono stati iscritti, non possono essere opposti ai terzi da chi è obbligato a richiederne l’iscrizione, a meno che questi provi che i terzi ne abbiano avuto conoscenza", e al secondo aggiunge che "l’ignoranza dei fatti dei quali la legge prescrive l’iscrizione non può essere opposta dai terzi dal momento in cui l’iscrizione è avvenuta". Si tratta all’evidenza, e al contrario di quanto supposto dal Comune ricorrente, di disposizioni dalle quali non possono farsi discendere conseguenze nei rapporti con la pubblica amministrazione ai fini che qui rilevano.

Inoltre, ed è questo il profilo più significativo, la disciplina posta dal D.Lgs. n. 228 del 2001, che il Comune ritiene applicabile anche nei confronti dell’intimato, è incentrata non sulla previa autorizzazione cui fa riferimento il D.Lgs. n. 114 del 1998, ma sull’obbligo di comunicazione dell’inizio di attività di vendita.

Il D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 4 sotto la rubrica "esercizio dell’attività di vendita", nel testo ratione temporis applicabile, reca la seguente disciplina: "1. Gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese di cui alla L. 29 dicembre 1993, n. 580, art. 8 possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità. 2. La vendita diretta dei prodotti agricoli in forma itinerante è soggetta a previa comunicazione al comune del luogo ove ha sede l’azienda di produzione e può essere effettuata decorsi trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. 3. La comunicazione di cui al comma 2, oltre alle indicazioni delle generalità del richiedente, dell’iscrizione nel registro delle imprese e degli estremi di ubicazione dell’azienda, deve contenere la specificazione dei prodotti di cui s’intende praticare la vendita e delle modalità con cui si intende effettuarla, ivi compreso il commercio elettronico. 4.

Qualora si intenda esercitare la vendita al dettaglio non in forma itinerante su aree pubbliche o in locali aperti al pubblico, la comunicazione è indirizzata al sindaco del comune in cui si intende esercitare la vendita. Per la vendita al dettaglio su aree pubbliche mediante l’utilizzo di un posteggio la comunicazione deve contenere la richiesta di assegnazione del posteggio medesimo, ai sensi del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114, art. 28. (…) 7. Alla vendita diretta disciplinata dal presente decreto legislativo continuano a non applicarsi le disposizioni di cui al D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114, in conformità a quanto stabilito dall’art. 4, comma 2, lett. d), del medesimo Decreto Legislativo".

Ne consegue che l’attività posta in essere dall’intimato, per come accertata dal Giudice di pace integrava la vendita diretta di prodotti agricoli provenienti da un fondo direttamente coltivato dal medesimo intimato. La disciplina applicabile era quindi non quella di cui al D.Lgs. n. 114 del 1998, come ritenuto dal Comune ricorrente, ma quella di cui al D.Lgs. n. 228 del 2001, sicchè l’eventuale violazione di tale disciplina avrebbe dovuto formare oggetto di specifica contestazione. All’intimato, in sostanza, si sarebbe dovuta rivolgere la contestazione di avere proceduto alla vendita diretta dei propri prodotti agricoli senza avere preventivamente effettuato la prescritta comunicazione, e non già quella dell’esercizio dell’attività di vendita senza l’autorizzazione, cui fa riferimento il D.Lgs. n. 114 del 1998.

La conclusione ora raggiunta consente anche di escludere la rilevanza del secondo rilievo svolto dal ricorrente nel primo motivo di ricorso, concernente il mancato accertamento, da parte del Giudice di pace, del carattere esclusivo o quantomeno prevalente dell’attività di coltivazione svolta dall’intimato, atteso che, comunque, la contestazione che in ipotesi gli si sarebbe potuta rivolgere, nell’accertata situazione di coltivazione di un fondo e di vendita di prodotti agricoli provenienti da quel fondo, era quella della mancata comunicazione dell’inizio di attività e non già quella del commercio in mancanza di autorizzazione.

La detta conclusione consente altresì di ritenere non fondato il secondo motivo di opposizione, dal momento che lo stesso risulta formulato, sotto il profilo del vizio di motivazione, con riferimento ai medesimi presupposti qui disattesi: vizio di motivazione in ordine alla necessaria iscrizione nella speciale sezione del registro delle imprese e alla mancata osservanza degli adempimenti previsti dal D.Lgs. n. 228 del 2001.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non avendo l’intimato svolto attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 28 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *