Cass. civ. Sez. II, Sent., 12-03-2012, n. 3877 Costituzione delle servitù per usucapione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.D.A., acquirente nel 1984 di alcune particelle di terreno site in (OMISSIS), nel 2001 conveniva in giudizio avanti al tribunale di Trento, sez di Cles, Z.C.. Chiedeva che fosse accertata l’inesistenza di una servitù di passaggio in favore del confinante fondo della convenuta. Z. reagiva con domanda riconvenzionale, volta alla declaratoria di acquisto per usucapione del conteso diritto di passo.

Il tribunale nel febbraio 2004 accoglieva la domanda riconvenzionale, ma la Corte d’appello di Trento il 23 novembre 2005 riformava detta sentenza e negava l’esistenza della servitù. A tal fine riteneva che parte attrice, nel richiamarsi alla presunzione di libertà dei beni di cui all’art. 5 della legge tavolare, non aveva sollevato tardivamente un’eccezione rilevabile a cura di parte, ma aveva svolto una mera difesa, spettando alla parte che faceva valere l’usucapione provarne i presupposti secondo le norme vigenti in quella regione.

In secondo luogo negava che la Z. avesse fornito prova del fatto che l’attore avesse avuto conoscenza dell’esercizio del passaggio in epoca anteriore al suo acquisto o che il cancelletto in legno presente sulla proprietà dell’appellata fosse univocamente rilevante ai fini del transito rivendicato, mancando anche prova che fosse stato installato prima del 1984. Z. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 14 marzo 2006.

S. ha resistito con controricorso. Sono state depositate memorie.

Motivi della decisione

2) Nei territori in cui vige il sistema tavolare basato sul principio della pubblicità costitutiva, il valore costitutivo della iscrizione e1 limitato agli atti d’acquisto "inter vivos", e non si estende ai trasferimenti per causa di morte o agli acquisti per usucapione, ed il conflitto tra l’acquirente per atto fra vivi dall’intestatario tavolare che abbia proceduto per primo ad iscrivere il suo diritto e chi abbia acquistato il bene per usucapione si risolve in base al R.D. 28 marzo 1929, n. 499, art. 5 che prevede il principio di pubblica fede che assiste le risultanze dei libri fondiari, per cui l’acquisto effettuato in base a dette risultanze si presume avvenuto in buona fede, ed è onere del terzo che sostiene di aver acquistato il bene per usucapione provare che colui che ha acquistato dal titolare del bene in base al libro fondiario era in malafede, essendo stato a conoscenza della sussistenza dell’usucapione maturata ma non giudizialmente dichiarata ed iscritta, o essendo stato in grado di apprenderlo facendo uso della ordinaria diligenza.

La Corte d’appello ha deciso la controversia sulla base di questo principio, affermato da Cass. 9735/02.

Ha infatti osservato che il S. aveva sollevato tale questione e che spettava alla convenuta Z. dimostrare che il S. aveva avuto conoscenza del fatto che l’esercizio del passaggio era stato esercitato anche in precedenza per il tempo utile ad usucapire, cioè che non si trovasse in stato di buona fede.

La ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 180 c.p.c..

Ritorna a sostenere che l’eccezione relativa alla buona fede del proprietario acquirente del fondo servente era stata tardivamente sollevata, trattandosi di eccezione di merito rilevabile solo a cura di parte, che non poteva essere validamente sollevata nella comparsa conclusionale di primo grado, come accaduto nella specie. La censura è infondata. La Suprema Corte ha ribadito che rientra tra gli oneri probatori di chi agisce per far valere l’usucapione, onde superare le risultanze dei libri fondiari dai quali non risulti la servitù, dimostrare che l’acquirente del fondo servente era a conoscenza della servitù già costituitasi per usucapione (Cass. 6393/11; 20873/04).

Ha anche precisato che persino la mancata "intavolazione" della sentenza di acquisto del diritto di proprietà per usucapione è inopponibile a chi abbia acquistato sulla fede del libro fondiario, a meno che non risulti provata la conoscenza effettiva o la conoscibilità dell’avvenuta usucapione anteriore (Cass 15196/08).

Ne consegue che trattasi di presupposto costitutivo dell’usucapione, che deve essere provato, per ottenere il riconoscimento del diritto.

Il proprietario del fondo servente può quindi in ogni tempo, in sede di merito, rilevare che non sia stata data la prova sul punto, trattandosi di rilievo difensivo volto solo a richiamare l’attenzione del giudice sul dovere d’ufficio di giudicare sulla domanda tenendo presente il paradigma legale, che impone all’attore un onere probatorio maggiore di quanto non sia richiesto nel regime ordinario non tavolare.

3) Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione e violazione del R.D. n. 499 del 1929, art. 5 e dell’art. 1061 c.c..

Il motivo, nella prima parte, mira ad affermare che la Corte d’appello non ha "ben esaminato le risultanze istruttorie", come emergerebbe "dai verbali di testimonianza", in cui i testimoni avrebbero riconosciuto l’esercizio del passaggio per oltre venti anni. Ritiene inoltre errata la mancata considerazione della presenza del cancelletto di comunicazione tra i due fondi. Trattasi di censura inammissibile, perchè formulata in violazione dei principi che governano il questa impugnazione.

Il ricorso per cassazione – in ragione del principio di "autosufficienza" – deve contenere in se1 tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza dì merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessita1 di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui, con il ricorso per cassazione, venga dedotta l’incongruità, l’insufficienza o contraddittorietà della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di risultanze processuali, è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima, la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti, di delibare la decisività della medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti (Cass. 12362/06 tra le tantissime).

Identica carenza rende inammissibile il secondo profilo del secondo motivo, nel quale la ricorrente si duole che il giudice di appello, a proposito della assenza di buona fede del S., avrebbe liquidato con una sola frase quattro pagine della sentenza di primo grado.

Il ricorso invita quindi la Corte a rileggere l’esito delle prove orali e le "emergenze istruttorie".

Ciò è precluso in sede di legittimità. Una volta di più occorre ricordare che i vizi della motivazione non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass 6064/08;

18709/07).

E’ per questo che la critica alla motivazione deve mettere in grado il giudice di legittimità, sulla base della lettura del solo ricorso, di cogliere con evidenza l’esatto contenuto di testimonianze e altre risultanze istruttorie asseritamente malvalutate dal giudice d’appello, l’illogicità o incongruenza o insufficienza della valutazione data e soprattutto la decisività delle risultanze favorevoli alla parte ricorrente, il che è possibile solo riferendo integralmente e per esteso il materiale probatorio rilevante sull’argomento oggetto della censura ed esponendo specificamente le ragioni della decisività delle risultanze favorevoli al ricorrente, mettendole a confronto con i passaggi valutativi della sentenza d’appello.

Un diverso modo di formulare il ricorso si risolve nella richiesta, inammissibile, di un terzo grado di giudizio di merito. Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 1.800 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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