Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 12-03-2012, n. 3865 Passaggio ad altra amministrazione Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Ministero dell’istruzione, università e ricerca chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Brescia, pubblicata il 16 ottobre 2009, che ha confermato la decisione di primo grado con la quale il Tribunale di Brescia aveva accolto la domanda dell’avv. B.G..

L’avv. B., era originariamente dipendente del Ministero della giustizia e passò al Ministero dell’istruzione. Convenne il Ministero dell’istruzione ed il Ministero dell’economia e finanze in giudizio chiedendo l’accertamento del suo diritto al mantenimento del trattamento economico in corso al momento del passaggio al ministero con attribuzione dell’assegno "ad personam" annuo lordo di 5.510,83 Euro, e condanna dei ministeri convenuti (istruzione e finanze) al pagamento delle differenze retributive, oltre accessori. La domanda fu accolta dal Tribunale e la Corte d’appello ha confermato la decisione.

I Ministeri ricorrono per cassazione per un unico motivo, così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 202 e della L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 57 e 58. La violazione consisterebbe nell’aver considerato nello stipendio percepito presso il ministero di provenienza, da porre a confronto con il nuovo stipendio percepito alle dipendenze del ministero dell’istruzione, anche una voce, l’indennità giudiziaria, che non avrebbe dovuto essere considerata perchè non è pensionabile e perchè non viene corrisposta nei periodi di congedo straordinario, di aspettativa, di assenza obbligatoria o facoltativa e di sospensione dal servizio per qualsiasi causa (L. n. 221 del 1988, art. 1, comma 2).

L’avv. B. si è difeso con controricorso ed ha depositato una memoria per l’udienza.

Il tema principale della controversia è il seguente: se possa o meno considerarsi ai fini del calcolo dell’assegno "ad personam" l’indennità giudiziaria, voce retributiva sicuramente non pensionabile (il punto non è controverso).

La materia è regolata in generale dal D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 202, che così si esprime: "Nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica e1 attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica".

E’ successivamente intervenuta la L. 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica. Ecologia), il cui art. 3 ha dettato una serie di regole in materia di pubblico impiego. Il comma che qui interessa è il 57, che così recita: "nei casi di passaggio di carriera di cui all’art. 202 del citato testo unico approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, ed alle altre analoghe disposizioni, al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore a quello spettante nella nuova posizione è attribuito un assegno personale pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione".

La previsione si colloca espressamente nel solco della disciplina generale della normativa del 1957 ("nei casi di passaggio di carriera di cui all’art. 202"), introducendo quella che appare come una restrizione. L’art. 202 ai fini del calcolo dell’assegno personale, parlava di "differenza fra lo stipendio già’ goduto ed il nuovo"; la disposizione del 1993 parla di "differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione".

La Corte di Brescia ritiene che il legislatore non abbia voluto considerare solo le voci pensionabili (pervenendo a soluzione conforme a Cons. Stato 4 Sez. n. 66 del 2002) e basa la sua affermazione su due argomenti. Il primo è che la particella ‘ò indica un riferimento alternativo tra stipendio e retribuzione; il secondo fa leva sul comma successivo, sostenendo che "il riferimento del comma 58 anche alle indennità percepite presso l’amministrazione di destinazione rende evidente che la pensionabilità dell’emolumento è irrilevante e che deve essere considerata irrilevante anche nella definizione del trattamento economico di provenienza venendo diversamente operata una comparazione fra dati non omogenei". Anche se i due argomenti non appaiono risolutivi, la motivazione da conto, quanto meno, della equivocità della disciplina sul punto, che può dirsi superata con la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 226, che ha fornito un’interpretazione autentica della materia. Si è infatti stabilito che "La L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, comma 57, nei confronti del personale dipendente si interpreta nel senso che alla determinazione dell’assegno personale non riassorbibile e non rivalutabile concorre il trattamento, fisso e continuativo, con esclusione della retribuzione di risultato e di altre voci retributive comunque collegate al raggiungimento di specifici risultati o obiettivi".

Alla stregua di queste precisazioni del legislatore, il dato della pensionabilità (e ancor più il dato della mancata percezione dell’elemento retribuivo in caso di sospensione del rapporto), non è rilevante ai fini del calcolo dell’assegno personale. Ciò che rileva a tal fine è che il "trattamento" (complessivamente inteso) sia "fisso e continuativo". Il legislatore rafforza, poi la sua affermazione, esprimendosi anche in negativo, perchè indica ciò che non può essere considerato escludendo solo "la retribuzione di risultato e le altre voci retributive collegate al raggiungimento di specifici risultati ed obiettivi".

In conclusione, in positivo, si tiene conto di tutti gli elementi retributivi fissi e continuativi; in negativo, si escludono gli elementi retributivi premiali connessi ai risultati.

L’indennità giudiziaria è stata percepita in modo fisso e continuativo (il punto non è controverso) e sicuramente non è una forma di retribuzione di risultato, quindi, come ha ritenuto la Corte di Brescia, andava ricompresa nella base di calcolo ai fini del computo dell’assegno personale.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con conseguente condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 50,00 Euro, nonchè 3.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2012

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