Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 12-03-2012, n. 3859 Contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata in data 5.5.2006 la Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado con cui il Tribunale di Verbania – a seguito di una precedente sentenza non definitiva con la quale era stata annullata una cartella esattoriale notificata alla Esserre Supermercati per il pagamento di un debito contributivo relativo alla posizione di alcuni lavoratori considerati dalla società come collaboratori autonomi, invece che come lavoratori subordinati, e rimessa la causa in istruttoria per la quantificazione del debito contributivo – aveva determinato il credito dell’Inps in misura pari a Euro 76.240,32, ivi comprese le sanzioni calcolate ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 18. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta ritenendo che l’appello dell’Istituto avesse investito, con il primo motivo, la questione relativa ai criteri adottati per la determinazione del credito per contributi, questione che era stata già oggetto dell’appello proposto dall’Inps avverso la sentenza non definitiva e che era stata definita con sentenza della Corte d’appello di Torino del 13.3.2006, che aveva statuito che la base imponibile su cui calcolare i contributi era costituita dall’ammontare delle retribuzioni effettivamente percepite dai lavoratori (o, ove superiori, dai minimi retributivi di cui al c.c.n.l. di categoria).

Di qui l’inammissibilità del primo motivo. Quanto al secondo motivo di appello, concernente la determinazione delle sanzioni civili, la Corte d’appello ha ritenuto che, nella specie, dovesse trovare applicazione il regime più favorevole previsto dalla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 18, anzichè quello della L. n. 662 del 1996, e ciò anche se si trattava di debiti contributivi accertati prima dell’entrata in vigore della L. n. 388 del 2000, in quanto, avendo la società cessato la propria attività, non poteva più ritenersi operante il meccanismo del conguaglio previsto dalla disposizione sopra citata, meccanismo che presupponeva la possibilità dell’insorgenza di debiti per contributi o premi assicurativi nel corso dell’anno.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’Inps, anche quale mandatario della SCCI spa, affidandosi a tre motivi di ricorso cui resiste con controricorso la Esserre Supermercati in liquidazione.

La Sestri spa non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 336 c.p.c., lamentando l’erroneità della decisione della Corte territoriale nella parte in cui, pur avendo dato atto in motivazione che nelle more del giudizio era intervenuta la riforma della sentenza non definitiva, ha respinto il gravame dell’Istituto, mantenendo in vita la sentenza definitiva del Tribunale di Verbania, sentenza che, avendo quantificato il debito contributivo sulla base di elementi diversi e incompatibili con il criterio dettato dalla Corte d’appello nella sentenza con la quale era stato accolto l’appello dell’Inps, si poneva in aperto contrasto con quest’ultima e doveva comunque ritenersi caducata ai sensi dell’art. 336 c.p.c., comma 2. 2.- Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., contestando la statuizione con cui la Corte territoriale ha ritenuto inammissibile il primo motivo d’appello – sul rilievo che le censure con esso proposte avrebbero riguardato i criteri adottati per la determinazione del quantum, che avevano già formato oggetto dell’appello avverso la sentenza non definitiva – senza considerare che l’Istituto aveva analiticamente indicato, nella seconda parte dello stesso motivo d’appello, la base imponibile sulla quale avrebbero dovuto essere correttamente calcolati i contributi omessi per ciascun lavoratore, a conferma della correttezza della determinazione del credito contributivo operata nel verbale di accertamento.

3.- Con il terzo motivo si denuncia violazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, commi 8 e 18, censurando la decisione con cui la Corte territoriale ha ritenuto che, nella specie, dovesse trovare applicazione il regime sanzionatorio previsto dalla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 18, anzichè quello della L. n. 662 del 1996 – e ciò anche se si trattava di debiti contributivi accertati prima dell’entrata in vigore della L. n. 388 del 2000 – sul rilievo che, trattandosi di società in stato di liquidazione, per la quale non era ipotizzabile l’insorgenza di ulteriori debiti contributivi nel futuro, non poteva più ritenersi operante neanche il meccanismo del conguaglio previsto dalla disposizione sopra citata, meccanismo che presupponeva appunto la possibilità dell’insorgenza di debiti per contributi o premi assicurativi nel corso dell’anno.

4.- I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.

Come risulta dall’esposizione contenuta nella sentenza impugnata, la Esserre Supermercati ha proposto opposizione alla cartella esattoriale con la quale era stato intimato alla stessa società il pagamento, in favore dell’Inps, di una determinata somma a titolo di contributi e somme aggiuntive che l’Istituto riteneva dovute in relazione alla posizione di alcuni lavoratori assunti con contratti di collaborazione e che avrebbero dovuto, invece, essere considerati come lavoratori subordinati. Il Tribunale di Verbania, con sentenza non definitiva del 5.11.2003, ha annullato la cartella, ritenendo non corretta la quantificazione delle somme dovute dalla società, e ha disposto con separata ordinanza l’espletamento di una consulenza tecnica contabile, all’esito della quale ha pronunciato sentenza definitiva in data 20.10.2004, condannando la società al pagamento di una somma sensibilmente inferiore a quella che formava oggetto della ingiunzione di pagamento.

Su appello dell’Inps, la sentenza non definitiva è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Torino che, con sentenza del 25.1.2006, ha statuito che i contributi andavano calcolati, diversamente da quanto deciso dal primo giudice, sulla base delle retribuzioni effettivamente erogate dalla società o, ove superiori, dei minimi retributivi di cui al c.c.n.l. di categoria (vedi pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata).

La Corte territoriale, investita dell’impugnazione della sentenza definitiva, ha ritenuto che le censure svolte dall’Istituto in ordine alla determinazione del quantum fossero inammissibili in quanto relative a questioni che avevano già formato oggetto dell’appello avverso la sentenza non definitiva e sulle quali la Corte d’appello si era già pronunciata con sentenza del 25.1.2006, accogliendo parzialmente l’appello dell’Inps.

5.- Tale statuizione non è conforme alla disposizione di legge che regola il ed. effetto espansivo esterno della riforma della sentenza ( art. 336 c.p.c., comma 2). Nell’ipotesi in esame, ovvero nell’ipotesi di riforma della sentenza non definitiva, deve, infatti, trovare applicazione la regola posta dall’art. 336 c.p.c., secondo cui "la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata", per cui la riforma non soltanto pone nel nulla la sentenza non definitiva che ne costituisce l’oggetto immediato, ma estende i propri effetti agli atti che dipendono da quest’ultima: e quindi anche alla sentenza definitiva ove logicamente connessa e consequenziale a quella non definitiva, con la quale interrompe, dunque, il nesso di consequenzialità logica e necessaria posto dall’art. 279 c.p.c., ma condizionato alla mancata riforma o cassazione di questa decisione (cfr. ex plurimis Cass. n. 24354/2006).

E, d’altra parte, verificatasi siffatta condizione, l’assetto di interessi definitivo è proprio quello introdotto dalla sentenza di riforma che si sostituisce interamente alle statuizioni di quella riformata; con la conseguenza che, avendo la Corte d’appello di Torino, con la sentenza del 25.1.2006, accertato che i contributi andavano calcolati sulla base delle retribuzioni effettivamente erogate dalla società o, ove superiori, dei minimi retributivi di cui al c.c.n.l. di categoria, le questioni relative alla determinazione del quantum debeatur dovevano essere esaminate e decise, agli effetti della prosecuzione del giudizio, sulla base dell’intervenuta pronuncia del 25.1.2006 e costituirne il completamento logico-giuridico.

6.- La Corte territoriale non avrebbe dovuto, quindi, ritenere l’inammissibilità delle argomentazioni svolte dall’Istituto con il primo motivo d’appello – che riguardava proprio i criteri di determinazione del quantum e la necessità che, a questi fini, si tenesse conto delle somme effettivamente percepite dai lavoratori – sul presupposto che si trattava di censure concernenti "non propriamente il quantum, bensì i criteri adottati per la sua determinazione" (pag. 5 della sentenza impugnata), ma avrebbe dovuto esaminarne l’ammissibilità e la fondatezza alla stregua dei principi sopra indicati, e cosi alla luce delle statuizioni contenute nella sentenza del 25.1.2006, con la quale il giudice d’appello aveva stabilito, come già detto, che i contributi dovevano essere calcolati sulla base delle retribuzioni effettivamente erogate dalla società o, ove superiori, dei minimi retributivi di cui al c.c.n.l. di categoria.

Alla stregua degli stessi principi dovevano poi essere esaminate anche le deduzioni svolte dalla parte appellata in ordine alla omogeneità dei criteri di calcolo adottati nella sentenza definitiva rispetto a quelli stabiliti con la pronuncia del 25.1.2006. 7.- I primi due motivi devono essere pertanto accolti. Il terzo motivo è assorbito dalla cassazione della sentenza sul punto della (omessa) determinazione del debito contributivo (trattandosi di questione che dipende evidentemente dall’accertamento della effettiva sussistenza del detto debito).

8.- La sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla stessa Corte d’appello in diversa composizione, perchè provveda ad un nuovo esame della controversia nel rispetto dei suindicati principi.

Il giudice del rinvio provvederà a regolare anche le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione anche per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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