Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 273 del 26 gennaio 2006, la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Lazio ha accolto parzialmente l’atto di citazione del Procuratore regionale notificato il 27 novembre 2003 a vari amministratori e funzionari dell’UNIRE (Unione nazionale per l’Incremento delle Razze Equine), ente di diritto pubblico, tra i quali M.D.G., già presidente e commissario dell’ente, che aveva chiesto la condanna di detto convenuto al pagamento di Euro 102.674,66 per il danno erariale prodotto con il conferimento di consulenze e incarichi professionali ad alcuni avvocati. La sentenza citata condannava il M.d. a pagare, a titolo di danno erariale, la complessiva somma di Euro 88.725,35, erogata come compenso per incarichi a più avvocati liberi professionisti ritenuti ingiustificati. Con atto di appello del 27 febbraio 2006, notificato il 10 marzo 2006, il Procuratore presso la Corte dei conti impugnava la sentenza per ottenere una condanna ad una maggiore somma a titolo di danno erariale, in rapporto all’IVA pagata sui compensi, che la sentenza aveva escluso potesse qualificarsi perdita per lo Stato.
Il M.d., con la comparsa di costituzione, proponeva a sua volta appello incidentale contro detta pronuncia, chiedendo anzitutto di essere assolto dalla responsabilità amministrativa a lui ascritta e domandando inoltre di essere ammesso ai benefici di cui alla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, commi 231-233.
Tale ultima normativa, ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale (C. Cost. 28 novembre 2007 n. 292 e 20 giugno 2007 n. 183), nel caso di appello contro una pronuncia di condanna al pagamento di somme a titolo risarcitorio per responsabilità amministrativa, consente alla parte condannata di chiedere al giudice di appello la definizione del giudizio di secondo grado in sede d’impugnazione, con il pagamento massimo del 30% della somma per cui vi è stata condanna in primo grado (comma 232), sempre che la richiesta di definizione agevolata proponga di definire la lite, con il pagamento di una somma dal 10% al 20% di quella di cui alla condanna della Corte dei conti regionale (comma 231), condizionando la definizione al fatto che la somma fissata nella procedura agevolata di definizione sia versata nel termine previsto per il pagamento, dovendo la definizione anticipata ritenersi avvenuta alla data del pagamento del dovuto. Con decreto in camera di consiglio n. 58 del 29 novembre 2007, la sezione seconda giurisdizionale centrale della Corte dei conti ha dichiarato inammissibile la domanda di definizione anticipata della causa, per esservi stato appello anche del Procuratore regionale del Lazio contro la sentenza di primo grado; analoga decisione era adottata da altro decreto n. 86 del 12 maggio 2011 della stessa sezione centrale per le stesse ragioni già indicate, ovvero, in caso la istanza fosse interpretata come reclamo contro il decreto negatorio della definizione anticipata, perchè tardivo.
Con sentenza n. 400 del 15 ottobre 2010, infine, la seconda sezione giurisdizionale centrale della Corte dei Conti ha accolto parzialmente gli appelli principale e incidentale, ed ha condannato il M.d. a pagare, a titolo di danno erariale, Euro 121.011,38 e accessori, nulla disponendo sulla istanza ritenuta in precedenza preclusa dagli indicati suoi decreti.
Il M.d. ricorre per la cassazione della sentenza e dei due decreti di inammissibilità dell’istanza di definizione agevolata della controversia e della sentenza della seconda sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti, con atto notificato a mezzo posta il 25 – 27 maggio 2011, cui replica, con atto notificato il 10 – 13 giugno successivo, il Procuratore generale, P.M. presso la detta sezione della stessa Corte.
Motivi della decisione
1. Il ricorso si articola in due motivi: a) violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione ai principi sul riparto della giurisdizione, all’art. 111 Cost. e della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, commi 231 – 233.
La mancata pronuncia di merito sull’istanza di definizione agevolata in appello della controversia, ad avviso del ricorrente, comporta che, nel caso, i decreti impugnati e la sentenza che dopo di essi neppure ha deciso in ordine alla stessa domanda dell’appellante, costituiscono un caso di manifesto mancato esercizio del concreto potere attribuito dalla legge alla sezione centrale della Corte dei Conti di definire la controversia, con il mezzo di tutela richiesto dalla parte condannata in primo grado, sostituendo la decisione di merito positiva o negativa sulla istanza di definizione con una mera dichiarazione d’inammissibilità della domanda, al di fuori di ogni previsione normativa. Dalle norme sulla definizione agevolata di cui alla legge finanziaria del 2006 non risulta che la domanda di essa possa essere ritenuta preclusa sulla mera cognizione del dato estrinseco e formale della impugnativa in appello anche del P.G. competente, come invece si è ritenuto nel caso di specie, non procedendo alla valutazione di merito della richiesta dell’appellante di definire la vertenza in modo diverso dalla mera conferma o riforma della pronuncia di primo grado.
2. Si lamenta, in secondo luogo, la omessa o carente motivazione sul rigetto della domanda di definizione della lite, respinta senza esaminare la gravita della responsabilità amministrativa del ricorrente e l’entità del danno erariale arrecato e senza considerare gli eventuali effetti della riduzione della condanna stessa, negata senza l’esame di questa ultima e della istanza e mancando ogni motivazione su tale punto decisivo. Il ricorrente ricorda che, a rafforzare la tesi sostenuta in questa sede per la quale l’appello del P.M. non preclude la definizione agevolata della causa contabile, sono intervenute le stesse sezioni riunite della Corte dei conti giurisdizionale centrale, con la sentenza n. 3 del 25 maggio 2009 nella quale, andando in contrario avviso con i precedenti, si è affermato che "In caso di contemporaneo appello di parte privata e parte pubblica, 1’istanza di definizione agevolata non può ritenersi inammissibile per il solo fatto della contemporanea presentazione dell’appello di parte pubblica". Il ricorso conclude chiedendo di rilevare l’eccesso di potere giurisdizionale della sezione centrale della Corte dei conti per non avere deciso, con i due decreti impugnati e con la sentenza di cui si chiede la cassazione, la domanda di conclusione agevolata e definizione anticipata della vertenza, dichiarata preclusa dai decreti e respinta implicitamente dalla sentenza, che rigetta ogni "contraria ragione ed istanza" (cfr. dispositivo a pag. 46), senza esaminare i presupposti formali e sostanziali della domanda, solo in ragione di una causa di inammissibilità della richiesta neppure prevista dalla legge e dai giudici contabili ritenuta sussistere, in tal modo denegando una qualsiasi pronuncia di merito sul mezzo di tutela richiesto dalla parte.
2. Il ricorso è inerente alla giurisdizione, in quanto l’affermazione per la quale l’appello del P.M. preclude l’esame dell’istanza, rendendola inammissibile, in effetti si traduce nel negare alla parte un mezzo di tutela per essa predisposto dalla legge, al di fuori di ogni previsione normativa.
La denuncia di una denegata giustizia inerisce invero alla giurisdizione e, come tale, il ricorso ai sensi dell’art. 362 c.p.c. e art. 111 Cost. è ammissibile; esso nella fattispecie è anche fondato nel merito. Si è infatti correttamente rilevato (S.U. 23 dicembre 2008 n. 30254 e 16 dicembre 2010 n. 25395) che rientra nel sindacato delle sezioni unite della Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, ai sensi dell’art. 111 Cost., non solo la violazione della norma attributiva dei poteri cognitivi per un loro esercizio oltre i limiti riconosciuti dalla legge ma anche, logicamente, la ipotesi opposta di una mancata erogazione della tutela giurisdizionale garantita normativamente, per ragioni non previste dalla legge (nei casi indicati si trattava della tutela risarcitoria denegata, per l’omessa contestuale impugnazione dell’atto amministrativo fonte dei danni). Nella fattispecie, non si denuncia una omessa pronuncia, che potrebbe costituire solo un error in procedendo o in iudicando (S.U. 26 gennaio 2009 n. 1853), ma una lettura errata della norma attributiva dei poteri cognitivi alla Corte dei conti, cioè dei commi 231-233 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005 (Finanziaria 2006), che non prevedono la declaratoria di inammissibilità della domanda di definizione agevolata della controversia in sede di impugnazione alla sezione centrale giurisdizionale della stessa Corte da essi regolata, quando vi sia anche il gravame del P.G. con quello del condannato in primo grado per responsabilità amministrativa.
Gli indicati commi della legge finanziaria del 2006, la cui legittimità costituzionale risulta confermata da varie pronunce del giudice delle leggi (n.ri 183 e 184 del 20 giugno 2007 e n. 392 del 28 novembre 2007) così testualmente regolano il potere giurisdizionale della sezione centrale giurisdizionale della Corte dei conti, di definire l’appello a istanza della parte condannata in sede regionale nei giudizi di responsabilità amministrativa: "Con riferimento alle sentenze di primo grado pronunciate nei giudizi di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti per fatti commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge, i soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna possono chiedere alla competente sezione di appello in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito mediante il pagamento non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza" (L. n. 266 del 2005, comma 231).
Aggiunge il comma 232, ancora regolando il potere di decidere che esso conferisce, "La sezione di appello, con decreto in camera di consiglio, sentito il procuratore competente, delibera in merito alla richiesta e in caso di accoglimento, determina la somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, stabilendo il termine per il versamento".
Precisa infine il comma 233, che "Il giudizio di appello si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello".
Il beneficio della definizione anticipata dell’appello che, secondo la dottrina, è stato previsto dalla legge per accelerare l’incasso delle somme che consentono la soluzione della controversia ora descritta presuppone: 1) che l’istanza della definizione sia proposta dai soggetti nei cui confronti è stata pronunciata la condanna, per fatti commessi prima del 31 dicembre 2005; 2) che non vi sia stato il passaggio in giudicato della pronuncia di primo grado di condanna e che penda contro la stessa un giudizio di impugnazione.
Per la previsione nel comma 332 del cd. "caso di accoglimento", da cui si deduce in via di logica contrapposizione quello di "rigetto", secondo gli stessi giudici della Corte dei conti deve negarsi ogni lettura formale del contesto normativo, come quella di una parte della dottrina, per la quale è previsto in questo caso solo un "diritto" al beneficio, prevedendo detti commi solo il mero computo di quanto dovuto dalla sezione centrale della Corte contabile.
E’ certo che la logica della norma è contraria ad ogni automatismo in ordine all’accoglimento o al rigetto del beneficio, cui il condannato non ha quindi diritto, essendogli attribuito dalla legge solo la potestà di chiedere la indicata definizione anticipata della vertenza alle condizioni previste dalla legge, richiesta sulla quale deve ricevere una risposta motivata positiva o negativa del beneficio.
La sezione centrale giurisdizionale della Corte dei conti, in presenza della istanza, è chiamata a valutare se la conclusione del giudizio in termini premiali è compatibile con quanto accertato nel giudizio di primo grado, in ordine alla personalità del condannato e alla gravita del danno arrecato.
La valutazione negativa della domanda, schiude l’accesso all’esame di merito degli appelli presentati ed ha carattere delibativo, potendosi anche rinnovare e revocare, con la sentenza che decide sull’appello.
Vi è, comunque, ad avviso della stessa sezione centrale giurisdizionale della Corte dei Conti, una discrezionalità nella concessione o negazione del beneficio, emergente anche dalla previsione normativa per la quale la Corte "delibera in merito alla richiesta" di definizione anticipata del giudizio, che potrà quindi essere accolta o rigettata, in ragione della gravita delle colpe ascritte al condannato e dello stato psicologico di dolo dello stesso, per cui il beneficio può essere motivatamente respinto, "sentito il procuratore competente".
Nessuna previsione vi è, nella legge, della pretesa inammissibilità della domanda di definizione agevolata della causa, per l’esistenza dell’appello del P.G., che deve solo essere sentito secondo la disciplina della stessa finanziaria del 2006 e di certo non può precludere con un suo eventuale gravame la erogazione della tutela domandata rendendo inammissibile l’istanza del condannato, al di fuori di ogni previsione di legge. In quanto la inammissibilità si è statuita al di fuori delle previsioni di legge, pur in presenza di tutti i presupposti normativi per una pronuncia nel merito – di accoglimento o di rigetto della domanda di definizione agevolata – in sede di impugnazione della sentenza della sezione giurisdizionale regionale del Lazio della Corte dei Conti, deve ritenersi non essersi erogata la tutela giurisdizionale richiesta dal M.d.. Tanto è accaduto ad opera della sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti, sia con i decreti che hanno pronunciato in camera di consiglio sulla istanza di definizione anticipata del gravame, senza esaminare nel merito e nel fondo la richiesta stessa e quindi non rigettandola o accogliendola, come consentito dalla L. n. 266 del 2005, commi 231-233, sia con la sentenza oggetto di ricorso; tali provvedimenti devono ritenersi affetti da una violazione di legge inerente alla giurisdizione, denunciata con il ricorso, essendo legittimato il condannato appellante, a seguito del proprio appello, a domandare la definizione premiale sulla quale la sezione centrale della Corte dei conti non ha dato nel caso risposta di merito, positiva o negativa, dichiarando solo preclusa la richiesta senza alcun fondamento di legge e immotivatamente, così denegando un mezzo di tutela che essa era tenuta ad erogare, con una risposta motivata di accoglimento o rigetto della istanza.
La sentenza e i due decreti impugnati sono affetti da eccesso di potere giurisdizionale per violazione dei commi indicati dell’art. 1 della legge finanziaria del 2006, per la parte in cui prevedono il potere della Corte dei conti, di accogliere o rigettare la domanda di definizione agevolata proposta dal soggetto che in primo grado è stato condannato, perchè ritenuto responsabile per fatti anteriori alla data di entrata in vigore della legge finanziaria del 2006.
La istanza di definizione può dichiararsi preclusa solo in difetto dei presupposti di fatto indicati dalla legge, cioè se proveniente da soggetto non legittimato ovvero perchè non chiesta in sede di appello dalla parte appellante o in quanto domandata per condanne conseguenti a fatti commessi dopo il 31 dicembre 2005 ovvero dopo il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, che ha pronunciato la condanna.
Poichè si è nel caso pronunciata la inammissibilità dell’istanza oltre i casi previsti espressamente dalla legge e analiticamente indicati, la sentenza e i due decreti camerali della sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti devono, in accoglimento della impugnazione, essere cassati perchè pronunciati in eccesso esterno dai poteri conferiti ai giudici contabili di definire anticipatamente la controversia, costituendo violazione di legge inerente la giurisdizione la mancata erogazione immotivata del mezzo di tutela che le norme consentono di erogare nei sensi e limiti che precedono. La violazione di legge denunciata non riguarda il modo di erogare la tutela che la legge attributiva dei poteri consente di dare ma l’assenza di ogni tutela, perchè la immotivata pronuncia di inammissibilità dell’istanza oltre i limiti della legge attributiva dei poteri di definizione della lite in appello, ha denegato al ricorrente il diritto alla tutela giurisdizionale con una pronuncia di merito sulla sua richiesta.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la sentenza e i decreti oggetto di impugnazione in questa sede devono essere cassati, con rinvio dinanzi alla medesima sezione centrale giurisdizionale della Corte dei conti, perchè si pronunci sul merito della richiesta di definizione agevolata della controversia e poi eventualmente anche sul gravame.
P.Q.M.
La Corte a sezioni unite accoglie il ricorso e cassa la sentenza e i decreti impugnati, rinviando le parti dinanzi alla Corte dei conti, sezione centrale giurisdizionale, perchè si pronunci sulle richieste del ricorrente.
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