Cons. Stato Sez. VI, Sent., 09-11-2011, n. 5912 Albi professionali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’appellante sig. S. F. afferma di essere iscritto all’Albo unico nazionale dei promotori finanziari dall’ottobre del 1993 e di aver esercitato l’attività di offerta professionale fuori sede di strumenti finanziari e servizi di investimento per conto della società di intermediazione mobiliare A. S.. Afferma anche che sin dal 1996 aveva acquisito nel suo portafoglio di clienti il sig. P. A., al quale aveva proposto in un primo momento (con il suo consenso) forme di investimento di carattere piuttosto prudente (es.: fondi obbligazionari e obbligazioni indicizzate).

Riferisce, ancora, che nel corso del 1999 costui gli aveva affidato l’incarico di investire una somma cospicua (540 milioni di lire) che era stata in un primo momento indirizzata verso una forma di investimento piuttosto prudente e non particolarmente remunerativa (Gestione Patrimoniale Mobiliare della società fiduciaria Indosuez – linea azionaria italiana "prudentè -).

In un secondo momento (19 novembre 1999) il cliente lo aveva incaricato di investire la somma in questione (nel frattempo rivalutatasi) riversandola su una tipologia di investimento potenzialmente più remunerativa, ma certamente più rischiosa (si tratta della "linea azionaria eurò della società GPM Indosuez).

In occasione di un incontro con il cliente avvenuto il 19 novembre 1999, l’odierno appellante gli rilasciava una dichiarazione scritta relativa al nuovo investimento intrapreso, del seguente tenore letterale: "nel corso dei due anni il risultato raggiunto non si deve discostare al di sotto del 6% su base annua".

Tuttavia l’investimento, dopo alcuni mesi di buoni rendimenti, si rivelava piuttosto critico e cagionava al cliente importanti perdite anche in quota capitale.

A questo punto, il P. rivolgeva alla soc. A. S. un reclamo, lamentando la scorrettezza del comportamento del promotore, il quale avrebbe rilasciato una dichiarazione con la quale si assicurava all’investitore un rendimento minimo garantito in relazione all’investimento intrapreso, pur sapendo (o dovendo sapere) che la richiamata tipologia di investimento (di carattere azionario) non avrebbe invece consentito alcuna forma di garanzia sui rendimenti futuri.

La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CO.N.SO.B.) provvedeva quindi a contestare al S. le violazioni del caso (in particolare: art. 196, comma 2, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58; articolo 95, comma 1, del regolamento Consob 1° luglio 1998, n. 11522).

All’esito dell’istruttoria, la CO.N.SO.B. irrogava al S. la sanzione della sospensione per due mesi dall’iscrizione all’albo dei promotori finanziari.

Il provvedimento veniva impugnato dal S. al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, il quale, con la sentenza oggetto del presente appello, respingeva il ricorso in quanto infondato.

La sentenza veniva appellata dal S., il quale ne chiedeva la riforma per i seguenti motivi:

– in primo luogo, il Tribunale amministrativo e, prima ancora, la CO.N.SO.B. hanno travisato il contenuto della dichiarazione sottoscritta dall’appellante il 19 gennaio 1999, ritenendo – in modo erroneo – che tale dichiarazione consistesse in una (peraltro impossibile) garanzia circa il rendimento minimo garantito dell’intrapreso investimento azionario. Al contrario, con la dichiarazione in parola, il promotore si era soltanto limitato: a) ad impegnarsi alla consegna mensile di un estratto conto aggiornato; b) a fornire la mera previsione di un indice, che avrebbe potuto condizionare la permanenza in essere dell’investimento dal punto di vista del risparmiatore;

– in secondo luogo, il Tribunale amministrativo ha omesso di considerare che il P. aveva dimostrato di essere un cliente notevolmente avveduto e informato, sì da rendere inverosimile la tesi (invero, trasfusa nella sentenza appellata) secondo cui lo stesso si sarebbe risolto ad operare un investimento molto rischioso per esservi stato indotto dal comportamento reticente o decettivo del promotore;

– in terzo luogo, il Tribunale amministrativo ha errato ad attribuire al contenuto della dichiarazione scritta del collaboratore sig. Nicoletti il mero effetto di suffragare il riconoscimento di una circostanza attenuante ai fini della commisurazione della sanzione. Al contrario, la dichiarazione del collaboratore (che era presente all’incontro del 19 gennaio 1999 e che aveva correttamente ricostruito la dinamica dei fatti che avevano condotto alla stesura della dichiarazione contestata), laddove correttamente valutata, avrebbe dovuto indurre ad escludere l’esistenza di una condotta passibile di sanzione. Infatti, secondo l’appellante, la dichiarazione del Nicoletti era determinante laddove riferiva che il cliente P. si era risolto ad aderire all’investimento prima ancora che il promotore finanziario sottoscrivesse la dichiarazione sul rendimento minimo garantito, sì da escludere qualunque riferibilità diretta fra il contenuto della dichiarazione e la scelta di aderire al rischioso investimento azionario.

Si costituiva in giudizio la CO.N.SO.B., la quale concludeva nel senso della reiezione dell’appello.

Alla pubblica udienza del 24 giugno 2011 il ricorso veniva trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Con il ricorso in epigrafe, il sig. S. F. impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio con cui è stato respinto il ricorso avverso il provvedimento con cui la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (d’ora in poi: "la CO.N.SO.B.’) aveva irrogato nei suoi confronti la sanzione della sospensione per due mesi dall’iscrizione all’albo dei promotori finanziari ai sensi dell’art. 196, comma 2, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, c.d. "T.U.F.’), per aver comunicato a un cliente informazioni non corrispondenti al vero in ordine alla rimuneratività attesa connessa a un investimento azionario.

2. In primo luogo va affrontata la questione dell’asserita carenza di giurisdizione del giudice amministrativo sollevata dalla CO.N.SO.B. con memoria in data 7 giugno 2011.

L’Amministrazione appellata osserva al riguardo che il primo giudice ha omesso di rilevare che la giurisdizione in ordine alle sanzioni irrogate ai promotori finanziari ai densi del d.lgs. 58 del 1998 spetta al giudice ordinario.

2.1. Il motivo è inammissibile in quanto articolato per la prima volta con memoria – non notificata alla controparte – depositata soltanto in vista dell’udienza pubblica del 24 giugno 2011, mentre in sede di costituzione in giudizio (9 ottobre 2006) la CO.N.SO.B. non aveva sollevato la questione di giurisdizione, in tal modo determinando il formarsi del c.d. "giudicato implicitò sul punto.

Ai sensi dell’art. 9 Cod. proc. amm., infatti, il difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche d’ufficio e nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione.

La disposizione (la quale riflette l’orientamento di cui a Cass., SS.UU., 9 ottobre 2008, n. 24883, conformemente ad uno dei criteri direttivi della delega di cui all’art. 44 l. 18 giugno 2009, n. 69) valorizza i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, e opera un contemperamento fra – da un lato – l’esigenza di consentire la deduzione del difetto di giurisdizione entro un termine congruo e – dall’altro – l’esigenza di consolidare comunque l’individuazione del giudice chiamato a decidere secondo una tempistica conforme al principio di ragionevole durata del processo, complessivamente ed unitariamente inteso come risposta pubblica ad un’unica domanda di giustizia.

Si è osservato al riguardo che, quando il giudice di primo grado ha pronunciato nel merito (affermando anche implicitamente la propria giurisdizione) e le parti hanno prestato acquiescenza non contestando tempestivamente il capo della sentenza relativo alla giurisdizione, non è successivamente consentito al giudice d’appello di rilevare d’ufficio la questione, e alle parti di procedere a una tardiva (e, nel caso di specie, irrituale) contestazione sul medesimo capo della sentenza, in quanto ormai coperto dal giudicato implicito (in tal senso: Cass., SS.UU., 10 ottobre 2008, n. 26019; 20 novembre 2008, n. 27531; 8 febbraio 2010, n. 2715).

3. Nel merito, il ricorso è infondato.

3.1. In primo luogo, la sentenza appellata è meritevole di conferma per la parte in cui ha ritenuto che la CO.N.SO.B. avva correttamente interpretato e apprezzato (anche ai fini sanzionatori) il contenuto estrinseco della dichiarazione sottoscritta dall’appellante il 19 novembre 1999 (nell’occasione, il S. aveva attestato, in relazione a un rischioso investimento su base azionaria che "nel corso dei due anni il risultato raggiunto non si deve discostare al di sotto del 6% su base annua").

Si osserva al riguardo che l’attestazione in parola era oggettivamente non corrispondente al vero, in quanto è dato di comune senso e logica che un investimento azionario non può essere caratterizzato da rendimenti minimi garantiti e che l’onere di particolare diligenza che grava in capo all’operatore professionale non gli consente di rendere una dichiarazione in tal senso senza andare esente da responsabilità.

Del resto, la formula testuale utilizzata dal promotore finanziario e l’utilizzo di una modalità deontica di carattere prescrittivo ("il risultato (…) non si deve discostare (…)") rendono non accoglibile la tesi secondo cui il promotore si sarebbe limitato a prospettare la mera previsione di un indice soggetto – tuttavia – a rilevanti oscillazioni inmelius e inpeius.

Per le medesime ragioni (obiettiva non veridicità dell’affermazione sottoscritta e rilevanza dell’onere di particolare diligenza gravante sul professionista), non può assumere rilievo né il momento dell’effettiva sottoscrizione di tale dichiarazione (se anteriore o successiva all’ordine di acquisto), né l’asserita esperienza e conoscenza del settore da parte del cliente (d’altronde non è dato sapere per quale ragione un cliente ordinariamente avveduto possa sollecitare una dichiarazione scritta che garantisca un rendimento minimo garantito in relazione a un investimento azionario).

Ancora, per le stesse ragioni non rileva il contenuto della dichiarazione resa da un altro promotore finanziario presente all’incontro del 19 gennaio 1999 (il Nicoletti), che dimostrerebbe la veridicità dell’affermazione secondo cui l’ordine dispositivo era stato impartito prima che l’appellante sottoscrivesse la dichiarazione dinanzi riportata.

Per quanto concerne, poi, il rilievo che la "potentissima pressione psicologicà esercitata dal cliente sul promotore avrebbe sortito sul concreto atteggiarsi degli atti e dei comportamenti delle parti (sino ad affermare che la dichiarazione di cui si discute sarebbe stata in concreto "estortà al sig. S.), del tutto condivisibilmente il primo giudice ha ritenuto che si tratta di aspetti che possono trovare, se del caso, la giusta sede di verifica nell’ambito del giudizio civile già instaurato fra le parti (giudizio i cui esiti non sono stati resi noti dall’appellante nel corso della presente fase del processo).

4. Per le ragioni sin qui esposte, il ricorso in epigrafe deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite dell’appellata Amministrazione, che liquida in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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