Cass. civ. Sez. I, Sent., 13-03-2012, n. 4017 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I.S. ricorre per cassazione, sulla base di tredici motivi, nei confronti del Ministero della giustizia avverso il decreto in data 26 maggio 2008, con il quale la Corte di appello di Roma ha condannato detto Ministero al pagamento in suo favore della somma di Euro 3.000,00 pari ad Euro 100,00 per ogni mese di irragionevole durata, oltre a interessi legali a decorrere dalla domanda, per violazione del termine ragionevole di durata di un giudizio, avente ad oggetto riconoscimento d’invalidità civile e benefici assistenziali, celebratosi in primo grado davanti al Tribunale di Napoli dal 18 gennaio 2000 al 6 novembre 2000 e in secondo grado davanti alla Corte di appello di Napoli dal 4 ottobre 2001 all’11 aprile 2005.

Il Ministero intimato ha resistito con controricorso e ricorso incidentale, articolato su due motivi.

Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente deve disporsi, a norma dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi, in quanto attinenti alla impugnazione della medesima decisione.

Il ricorrente principale censura il decreto impugnato, proponendo tredici motivi di ricorso, con i quali lamenta:

– la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, con la formulazione del seguente quesito di diritto: "la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?" (primo motivo);

– la mancata considerazione della natura della causa, attinente a materia di rapporto di lavoro, ai fini della determinazione del termine ragionevole di durata del processo e dell’equo indennizzo (secondo motivo);

– il calcolo dell’equo indennizzo, con vizio di motivazione, solo con riferimento al periodo eccedente la ragionevole durata della causa e non alla sua intera durata, (motivi tre e quattro);

– il mancato riconoscimento, con vizio di motivazione, del bonus di Euro 2.000,00, trattandosi di controversia in materia di rapporto di lavoro (quinto e sesto motivo);

– l’insufficiente liquidazione delle spese processuali, senza specifica motivazione, con erronea applicazione delle tariffe professionali vigenti riguardanti i procedimenti di volontaria giurisdizione, anzichè i giudizi ordinari dinanzi alla Corte d’appello, senza tener conto dei parametri CEDU e dei criteri seguiti dalla Corte di cassazione e disattendendo i minimi tariffati e la nota spese depositata (motivi da sette a tredici).

2. Con il primo motivo del ricorso incidentale il Ministero della giustizia lamenta che sia stata disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo per violazione del termine decadenziale semestrale della L. n. 89 del 2001, ex art. 4.

Con il secondo motivo il ricorrente incidentale deduce essersi formato, in data 6 novembre 2001 e in ordine alla pretesa sostanziale azionata, il giudicato conseguente alla sentenza di primo grado del Tribunale di Napoli depositata il 6 novembre 2000, mentre il successivo giudizio di appello ha riguardato il solo capo della decisione relativo alle spese di lite, con conseguente tardività del ricorso per equa riparazione, depositato il 29 settembre 2006. 3. Per ragioni di priorità logica, vanno prima esaminati i due motivi del ricorso incidentale, che sono infondati.

Quanto al primo motivo, infatti, la sentenza di appello è stata depositata l’11 aprile 2005 ed è passata in giudicato il successivo 11 aprile 2006. Il termine semestrale di decadenza per la proposizione del ricorso per equa riparazione, previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, è pertanto maturato l’11 ottobre 2006, mentre il ricorso per equa riparazione è stato tempestivamente depositato il 29 settembre 2006.

In ordine al secondo motivo del ricorso incidentale, osserva il collegio che, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la domanda può essere proposta, senza alcuna limitazione di ordine temporale, fino a quando la decisione è impugnabile, dovendosi ritenere il processo tuttora pendente; il termine semestrale di decadenza fissato dall’art. 4 delle legge citata per la proposizione della domanda decorre dalla data dell’emissione di una decisione non impugnabile con un mezzo ordinario di impugnazione (Cass. 2011/17446), risolvendosi la "definitività" del provvedimento nella preclusione all’esperimento dei mezzi di impugnazione previsti in via ordinaria avverso quel tipo di provvedimento (Cass. 2006/12640).

Passando all’esame del ricorso principale, il primo motivo è inammissibile, in quanto il quesito formulato è del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato.

Il secondo motivo è infondato in quanto la Corte di appello, ai fini della determinazione del termine ragionevole di durata, si è attenuta ai criteri di valutazione indicali dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, in conformità ai parametri fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, tenendo conto della natura della controversia attinente a rapporto di lavoro, secondo un ragionevole criterio di valutazione che resiste alle infondate critiche del ricorrente, considerato comunque che, attesa la natura ordinatoria dei termini previsti dal codice di rito per la trattazione delle controversie di lavoro, previdenza e assistenza, la violazione del principio della ragionevole durata del processo non può discendere in modo automatico dall’accertata inosservanza dei termini medesimi, dovendo in ogni caso il giudice della riparazione procedere a tale valutazione alla luce degli elementi previsti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (Cass. 2004/6856; 2005/19204; 2005/19352).

I motivi tre e quattro sono infondati, in quanto è vincolante per il giudice nazionale il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597; 2008/14).

Non meritano accoglimento neppure il quinto e il sesto motivo, in quanto non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche quelli riguardanti la materia del lavoro.

Da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898). Le doglianze di cui ai motivi da sette a tredici sono fondate nei limiti qui di seguito precisati, in quanto la Corte di merito, liquidando per spese processuali, a fronte di un valore della causa di Euro 3.000,00 circa, l’importo complessivo di Euro 520,00, di cui Euro 360,00 per onorari, non ha osservato i minimi tariffari inderogabili.

Sono invece infondate le ulteriori censure svolte in ordine alla liquidazione delle spese processuali, in quanto non risulta dal decreto impugnato che la Corte di appello abbia erroneamente applicato la tariffa relativa alla volontaria giurisdizione, anzichè quella attinente al giudizio contenzioso, e considerato che il ricorrente non ha analiticamente indicato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, le voci e gli importi richiesti e a lui spettanti (Cass. 2005/21325;

2006/9082), ma si è limitato alla generica denuncia dell’inosservanza delle voci e degli importi indicati nella nota spese, fermo restando che in tema di spese processuali possono essere denunciate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali (Cass. 1999/4347; 2000/4818; 2001/1485) e che nei giudizi di equa riparazione la liquidazione delle spese processuali della fase davanti alla Corte di appello deve essere effettuata in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano, senza tener conto degli onorari liquidati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cass. 2008/23397).

4- Le considerazioni che precedono conducono al rigetto del ricorso incidentale, alla dichiarazione d’inammissibilità del primo motivo del ricorso principale, al rigetto dei motivi da due a sei e all’accoglimento, nei limiti in precedenza precisati, dei motivi da sette a tredici.

Il decreto impugnato deve essere pertanto annullato in ordine alla censura accolta e poichè non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con la condanna del Ministero della giustizia, da ritenersi soccombente in via prevalente, al pagamento in favore del ricorrente principale delle spese del giudizio di merito, da liquidarsi come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352).

Le spese del giudizio di cassazione – compensate per due terzi tenuto conto dell’accoglimento solo parziale del ricorso e limitatamente alla liquidazione delle spese processuali del giudizio di merito – seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo. Va disposta la distrazione delle spese processuali relative al giudizio di merito ed a quello di legittimità in favore del difensore del ricorrente, avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso incidentale; dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale e rigetta i motivi da due a sei di detto ricorso. Accoglie nei limiti di cui in motivazione i motivi da sette a tredici del ricorso medesimo.

Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito che si liquidano in Euro 873,00 di cui Euro 378,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge.

Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, compensate per due terzi, che si liquidano per l’intero in Euro 665,00 di cui Euro 565,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore del difensore avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosi antistatario.

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