Cass. civ. Sez. III, Sent., 13-03-2012, n. 3978

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con citazione notificata il 5 agosto 1988, C.A. – premesso che con atto pubblico del 29 settembre 1987 S. N. aveva venduto all’Abruzzo Export un appezzamento di terreno di sua proprietà (in catasto al f. 27 partt. 1/b, 7/a, 7/b, 8/a, 9/a, 5/c, – ubicato in (OMISSIS), per il prezzo di L. 250.000.000 senza aver preventivamente posto l’attore, conduttore in compartecipazione di un fondo agricolo ricompreso nei beni immobili compravenduti, in condizione di avvalersi della prelazione di cui alla L. n. 590 del 1965, art. 8 ed alla L. n. 817 del 1971, art. 7, costringendolo ad esercitare il retratto – convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Teramo, la Abruzzo Export, al fine di sentir dichiarare il suo diritto a riscattare parte del fondo compravenduto coincidente con quella da lui condotta in compartecipazione, previa determinazione del prezzo dovuto per la porzione interessata e previo frazionamento del fondo medesimo, e di ottenere una sentenza traslativa del diritto di proprietà su detto fondo. La società si costituiva negando che ricorressero i requisiti soggettivi ed oggettivi della prelazione in capo al conduttore e chiedendo l’autorizzazione, poi concessa, alla chiamata in causa del venditore S.N., al fine di essere manlevata. Si costituì anche il chiamato, chiedendo il rigetto delle domande e svolgendo riconvenzionale per lite temeraria nei confronti del chiamante. Esperita una prova per testimoni ed espletata CTU, il Tribunale rigettò la domanda del C. nei confronti dell’Abruzzo Export nonchè quella di quest’ultima nei confronti di S.N.. Il giudice di primo grado affermava che non era stato possibile accertare la sussistenza, in capo all’attore, di tutte le condizioni, soggettive ed oggettive per la prelazione, essendo carenti, sul piano soggettivo, quella della mancata vendita di fendi rustici nel biennio precedente, quella della non eccedenza del fondo oggetto di retratto rispetto alla capacità lavorativa del nucleo familiare, l’avvenuta coltivazione del fondo per alleno 4 anni, in aggiunta a quelli già posseduti dall’attore, rispetto al triplo della capacità lavorativa di questi e della sua famiglia; sul piano oggettivo, non poteva esercitarsi il retratto su una porzione limitata del fondo, facente parte di una più vasta estensione, con conseguente perdita di valore economico della stessa. in decisione.

2. Con la sentenza qui impugnata, depositata il 10.11.2009 e notificata l’11.2.2010, la Corte di Appello dell’Aquila respingeva l’appello proposto dal C.. In particolare, accoglieva il primo motivo di gravame, rilevando che il retraente aveva fornito la prova del possesso dei requisiti soggettivi per l’esercizio della prelazione/riscatto agrario; ma respingeva il secondo, confermando l’insussistenza del requisito oggettivo. Quanto ai requisiti soggettivi, rilevava che, dalle certificazioni dell’Agenzia del Territorio prodotte in appello dal C. (ammissibilmente, atteso che l’art. 345 c.p.c., nella formulazione antecedente alle modifiche apportate dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, espressamente consentiva la produzione di "nuovi documenti" in appello) che a partire dal 1 gennaio 1985 egli non aveva dato luogo ad alcun atto di disposizione di propri fondi in favore di terzi. Quanto alla qualifica di coltivatore e alla non eccedenza del fondo rispetto alla capacità di lavorazione del medesimo (che non deve essere inferiore ad un terzo, anche in aggiunta ad altri fondi eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi: della L. n. 590 del 1965, art. 8), poichè ai fini del possesso della qualità di coltivatore diretto non è il dato formale della iscrizione in elenchi, bensì l’effettivo esercizio dell’attività agricola con lavoro prevalentemente proprio e della propria famiglia (Cass. 1 giugno 2001 n. 7445), le deposizioni dei testimoni escussi in primo grado avevano confermato che il C. sin dai primi anni 80, perlomeno dal 1983, coltivava con continuità, insieme alla sua famiglia, i terreni che lo S. gli aveva concesso in compartecipazione, nel senso che i prodotti venivano ripartiti tra loro al 50% e si lasciava il seme per l’anno successivo e che il C. disponeva di numerose attrezzature, tanto che coltivava anche altri terreni per conto terzi, fino ad un’estensione intorno ai 100 ettari ed inoltre che veniva coadiuvato oltre che dalla moglie, anche dai due figli maschi, che, sebbene studenti, specialmente in estate, e cioè nel periodo di maggiore bisogno, lavoravano nei campi. Il requisito dell’abitualità nell’attività di conduzione del fondo richiesto dalla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 31, non implica necessariamente che tale attività debba essere svolta in forma professionale, e neppure in misura preponderante rispetto ad altre attività, che pertanto restano irrilevanti anche se sono esercitate in via prevalente e costituiscono una fonte di reddito superiore, o addirittura la fonte di reddito principale (Cass. 10 aprile 2003 n. 673; 10 ottobre 1997 n. 9865; 2 dicembre 1996 n. 10707). Pertanto, potevano ritenersi provati tanto il rapporto di compartecipazione quanto la avvenuta coltivazione del fondo da parte del C. e dei componenti la sua famiglia, quanto infine all’ulteriore requisito della non eccedenza del fondo oggetto di retratto, unitamente agli altri pure coltivati dal retrattante, del triplo della capacità lavorativa propria e della famiglia, se si teneva conto della compatibilità tra gli elementi di fatto acquisiti in sede testimoniale e le risultanze della relazione di parte, sulla base delle giornate lavorative svolte. Non era, invece, fondato il secondo motivo di appello, con il quale il C. si era doluto del fatto che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che l’esercizio del retratto solo su una porzione del fondo avrebbe comportato, anche per effetto della costituenda servitù di passaggio, una diminuzione di valore dell’intero appezzamento, atteso che detto appezzamento era condotto separatamente in forza di due distinti contratti agrari, il primo di compartecipazione e l’altro di affitto, l’uno coltivato a mais e l’altro a pioppeto. Secondo la Corte territoriale, poichè il diritto di prelazione e quello di riscatto, integrando una limitazione del potere dispositivo del proprietario, postulano l’identità dell’immobile concesso in uso con quello venduto – e nell’ipotesi della vendita dell’intero fondo la predetta identità di regola non si realizza – al fine di evitare una facile elusione del diritto di prelazione del conduttore attraverso il surrettizio aggregamento di più porzioni del fondo a quello di interesse, in caso di cessione di più immobili con un unico atto e ad un unico prezzo occorre di volta in volta verificare se la cessione integri realmente una vendita in blocco e non nasconda piuttosto una pluralità di contratti autonomi con autonome prestazioni. In esito a tale verifica, il diritto alla prelazione o al riscatto potrà restare effettivamente escluso nel caso in cui l’esercizio del retratto comporti effetti economici pregiudizievoli all’intera proprietà, allorchè, alla stregua di elementi di natura obbiettiva, risulti inequivocabilmente accertato che il bene compravenduto sia stato dalle parti considerato strutturalmente e funzionalmente nella sua interezza, in modo da costituire un’entità patrimoniale diversa, di cui non sia possibile disporre la separazione senza alterare l’essenza e la funzione dell’insieme. Per converso, il diritto del conduttore alla prelazione o al riscatto non potrà essere disconosciuto tutte le volte in cui risulti che, nonostante l’esistenza di un unico atto e di un unico prezzo, le unità cedute abbiano conservato la loro specifica individualità.

Nella specie, sul rilievo che l’intero appezzamento era diviso in due parti, l’una coltivata a prato, a mais e a colture varie – in compartecipazione con C.A. – secondo quanto riferito dal CTU, con fertilità elevata, l’altra utilizzata a pioppeto, con la parte mediana a quota inferiore di circa m. 3 rispetto alla linea di campagna del seminativo – in compartecipazione con M.E. – con fertilità bassa. Il perito oltre ad evidenziare che l’alienazione separata dei de appezzamenti avrebbe comportato la costituzione di una servitù d passaggio, aveva messo in luce che il pioppeto non risultava razionalmente condotto, nel senso che il relativo appezzamento non costituiva una entità economicamente valida, ma poteva considerarsi solo un annesso di qualche altra attività. In definitiva, l’intera proprietà, considerata come unica entità economica, rivelava che il nucleo principale era sempre costituito dal seminativo a cui si aggiungeva il pioppeto. Inoltre, sempre secondo il CTU, "l’appezzamento investito dai pioppi è suscettibile di bonifica agraria, e pertanto, sotto il profilo tecnico-economico, la coltivazione dei due terreni, se effettuata da una unica impresa, evidenzia maggiore validità economica, anzi la maggiore ampiezza economica produce, entro certi limiti, minori costi di produzione". Ne discendeva che se il pioppeto produceva un reddito solo poliannuo (con intervelli ogni 10-12 anni) non costituiva una entità economica valida, in quanto poteva essere considerato solo un annesso di qualche altra attività, mentre il seminativo era in grado di fornire un reddito annuo continuativo e costituiva un’entità ascrivibile fra le piccole aziende agricole della Regione. L’intera proprietà considerata come unica entità economica possedeva un valore economico globale superiore della semplice somma dei valori di ciascun singolo appezzamento, sia per il fatto che la coltivazione degli stessi effettuata da un’unica impresa era la più rispondente e conforme alle direttive della politica agraria generale, sia in vista delle possibilità di bonifica del terreno che di potenziamento della redditività mediante realizzazione di adeguato impianto d’irrigazione. Invece, l’alienazione separata dei due appezzamenti avrebbe comportato la creazione di oneri proprio a carico di quello potenzialmente più redditizio, con conseguente esclusione tanto della prelazione quanto del riscatto. D’altra parte non poteva tacersi che il retratto agrario previsto dalla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, costituisce esercizio del diritto potestativo di subentrare nella qualità di acquirente del fondo con effetti ex tane, mediante una dichiarazione unilaterale ricettizia rivolta al retrattato (Cass. 26 febbraio 1993, n. 2455): la dichiarazione di riscatto, in quanto esercizio di un diritto potestativo con effetti immediati, produce la sostituzione del riscattante nella medesima posizione dell’acquirente originario con effetti ex tunc. Poichè si produce un’automatica modificazione soggettiva del negozio con perdita del dominio da parte del riscattato e coerente acquisto in capo al riscattante, tale meccanismo sarebbe del tutto inoperante nell’ipotesi in cui dovesse procedersi ad una nuova determinazione del prezzo in sede giudiziale, al di fuori della autonomia contrattuale degli originari venditore ed acquirente, e comunque a prescindere dalla offerte di un prezzo specificamente indicato da parte del riscattante, dovendosi il medesimo intendere sia come requisito di validità della dichiarazione stragiudiziale di prelazione elle di quella di retratto esercitato con la domanda giudiziale. La sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi per far luogo al riscatto deve ricorrere sia al momento della compravendita che a quello dell’esercizio del retratto. Nel caso di specie nessuna indicazione di prezzo è mai stata formulata dal riscattante, che si è limitato ad esternare la sola volontà di acquistare in preferenza e prò quota il terreno, sottraendosi dunque alla rigida operatività del meccanismo legale.

3. Il C. propone ricorso per cassazione, basato su un unico, articolato, motivo, illustrato con memoria, deducendo:

violazione del diritto di prelazione; violazione del diritto di riscatto – L. n. 590 del 1965, ex art. 8 ed L. n. 817 del 1971, ex art. 7, comma 3; violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 comma 3; – vizio di motivazione – ex art. 360 comma 5; -motivazione contraddittoria ed insufficiente circa un punto decisivo della controversia – ex art. 360, comma 1, n. 5. Lamenta, in particolare che la motivazione della sentenza impugnata sul rigetto del secondo motivo di appello sarebbe errata ed avrebbe violato il proprio diritto al riscatto: a. in ordine al mancato apprezzamento dell’autonomia economica e funzionale dei due fondi oggetto di distinti contratti agrari; b. in ordine alla ritenuta individuazione della servitù di passaggio sul cosiddetto fondo restante (pioppeto);

c. in ordine agli effetti (negativi, come da riportata motivazione) del riscatto del fondo condotto con idoneo contratto agrario sul valore economico globale dei due fondi. Tale ragionamento risulterebbe smentito dallo stesso CTU, il quale ha affermato: "i due appezzamenti, di un unico proprietario ed in un unico corpo, rivelano differenti caratteri: nella quota, nella natura e tessitura del terreno, nella vocazione colturale, per cui sono stati utilizzati e condotti in modo distinto: una con colture agrarie dal C., l’altra, con colture forestali da M..

L’alienazione separata dei due appezzamenti comporta la costituzione di una servitù di passaggio che potrebbe coincidere con la esistente strada in terra battuta che attraversa il fondo agricolo mentre il pioppeto non viene gravato da alcun onere;… il valore globale dell’intera proprietà non subisce riduzioni per cui i due appezzamenti possono essere alienati anche separatamente (cfr. pagina 13 dell’elaborato peritale)". Del tutto immotivato, pertanto, appare il giudizio espresso dal Tribunale di Teramo nella prima fase di giudizio e condiviso dalla Corte di Appello di L’Aquila. Infatti, come espressamente riferito dal predetto CTU, i fondi anche se alienati separatamente conservavano il loro valore effettivo e, qualora avesse dovuto essere imposta una servitù di passaggio, quest’ultima non avrebbe gravato sul restante terreno coltivato a pioppeto, ma solo sul fondo oggetto di domanda di riscatto: "pag. 13 relazione Pietropaolo – la costituzione di una servitù di passaggio potrebbe coincidere con la esistente strada in terra battuta che attraversa il fondo agricolo". L’appezzamento su cui il ricorrente rivendica il diritto di prelazione agraria costituirebbe un’entità economica valida ed autonoma rispetto al terreno coltivato a pioppeto. I due fondi, inoltre, non presenterebbero alcuna interdipendenza strutturale e funzionale", la cui sussistenza diminuirebbe il valore globale del fondo in caso di vendita separata, per cui ben possono essere divisi ed alienati separatamente: "- pagina 13 dell’elaborato: il valore globale dell’intera proprietà non subisce riduzioni per cui i due appezzamenti possono essere alienati anche separatamente". Nella specie, le porzioni del fondo, una adibita a seminativo, l’altra a colture forestali, risultano distinte ed autonome sia sotto l’aspetto giuridico, perchè concesse a più coltivatori – C. e M. – in forza di altrettanti, specifici e differenti rapporti agrari, sia sotto il profilo economico perchè indipendenti l’una dall’altra, per caratteristiche ed esigenze colturali e produttive, sia dal punto di vista strutturale che funzionale. Riconosciuto il concetto di fondo, nella sua ampiezza e genericità, e nella finalità specifica della prelazione agraria del coltivatore diretto, rispetto agli altri tipi di prelazione agraria e alla finalità generale comune alle diverse tipologie di prelazione, si può pacificamente asserire che le due porzioni di terreno di cui sopra, sono qualificabili entrambe come fondi autonomi e distinti. Essi sono stati condotti separatamente con autonomi contratti tra loro non collegati (contratti stipulati anche in tempi diversi): "pagina 13 CTU): i due appezzamenti sono stati utilizzati e condotti in modo distinto: uno con colture agrarie dal C., l’altro con colture forestali dal M.".

L’interdipendenza funzionale, se esistente, avrebbe dovuto costringere il venditore a stipulare un unico contratto agrario, oppure due contratti collegati senza separare la gestione dei due fondi. Non vi era, pertanto, coordinamento funzionale tra le colture e le attività esercitate sui diversi appezzamenti di terreno. Per cui, sarebbe stata provata la sussistenza dell’autonomia dei due fondi, rilevata attraverso una valutazione storica e non meramente ipotetica, poichè erano emersi i seguenti elementi: a. esistenza di distinti contratti agrari non collegati tra loro; b. totale ed assoluta diversità delle colture praticate; c. assenza d’interdipendenza strutturale e funzionale tra i due fondi; d. assenza di coordinamento tra le due gestioni aziendali; e. agevole separabilità dei due fondi caratterizzati da due ampi corpi contigui (il terreno seminativo di circa quattro ettari, il pioppeto di circa sei ettari); f. assenza di servitù sui restanti terreni; g. assenza di qualsivoglia pregiudizio per il venditore e, per la coltivazione dei fondi, stante la possibilità di alienare i due fondi singolarmente ed autonomamente senza riduzione del loro valore complessivo. Elementi in contrasto con quanto affermato dalla Corte territoriale Esse sarebbero affermazioni, peraltro, prive di sostenibile riscontro probatorio: nel sostenere che il fondo adibito a pioppeto non era fondo autonomo rispetto al seminativo, i giudicanti non avrebbero tenuto conto che il concetto di autonomia si riferisce alla cosiddetta autonomia coltivatrice nel senso innanzi spiegato, e non a quello reddituale – efficientistico. L’asserita dipendenza del fondo forestale dal fondo seminativo, per la impugnata sentenza, sarebbe dovuta non dalla esistenza di una gestione comune dei due fondi, e alla presenza di interdipendenze strutturali o funzionali, bensì dalla particolare tipologia di coltura del pioppeto che dava un reddito poliannuo (dalla sua ipotetica bonifica e dalla "irrazionale conduzione effettuata dal M. – pagina 13 CTU -. Non corrisponderebbe a vero – secondo il ricorrente – che il valore dei due fondi, come unica entità economica, era maggiore della semplice somma dei valori dei singoli fondi, avendo i giudici del merito disatteso i conteggi estimativi del CTU senza alcuna argomentazione. Appare, errata ed inesatta, pertanto, la valutazione del Giudice di Appello tesa ad impedire l’esercizio del diritto di prelazione da parte del C., che, non soltanto non ha mai condiviso la gestione del pioppeto, ma ha, altresì, dimostrato di curare con interesse, impegno, affidabilità e professionalità il fondo ad egli affidato. Il principio del riconoscimento della tutela del lavoro svolto trova espressione nel rilievo attribuito anche alla coltivazione di diritto del fondo siccome fondata su valido contratto agrario. Per quanto attiene al mancato pagamento del prezzo da parte del ricorrente relativamente alla parte di fondo dallo stesso rivendicato, risultava pacifico che trattandosi di compravendita cumulativa di due distinti fondi senza indicazione del prezzo di ciascun singolo fondo, per ovvie ragioni non si era potuto ragionevolmente provvedere a detto incombente. Era stato necessario procedere mediante CTU alla determinazione giudiziale del corrispettivo proporzionalmente dovuto alla Abruzzo in riferimento al maggior importo di L. 250.000.000 (Euro 129.114,20) dell’impugnata compravendita. In tal senso, da parte del CTU sono stati individuati l’estensione e l’ubicazione del fondo oggetto del retratto ed ogni altro elemento all’uopo necessario e quindi è stato accertato il valore del fondo ritrattato nella somma di L. 108.940.000 pari ad odierni Euro 56.262,80. Per cui il mancato pagamento del prezzo dovuto, ma non determinato nel suo ammontare, non costituiva elemento ostativo all’esercizio del diritto di prelazione e riscatto.

4. La società Abruzzo resiste con controricorso, illustrato con memoria, sostenendo l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza delle avverse censure, e formula contestualmente ricorso incidentale sulla base di cinque motivi. 4.1. Difetto assoluto o illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata sul punto, decisivo per la controversia e oggetto di contestazione nella fase di merito, della sussistenza della capacità lavorativa del retraente. La capacità lavorativa è, al pari degli altri requisiti oggettivi e soggettivi ex L. n. 590 del 1965, un’ulteriore condizione per l’esercizio della prelazione e riscatto agrari. Si tratta, evidentemente, di un requisito diverso ed ulteriore rispetto alla qualifica di coltivatore diretto L. n. 590 del 1965, ex art. 31. 4.2.

Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in riferimento alla L. n. 590 del 1965, art. 8, in ordine all’accertata sussistenza della capacità lavorativa del retraente e dei suoi familiari, che il Giudice di appello ha motivato in pochissime battute; mentre avrebbe dovuto accertarne la sussistenza in concreto. 4.3. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in riferimento alla L. n. 590 del 1965, artt. 8 e 31, anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c, comma 1, n. 5, sotto il profilo della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, circa il fatto, controverso e decisivo della qualifica di coltivatore diretto del retraente, che il giudice di appello avrebbe dovuto accertare anche qui in concreto e con riferimento ai parametri legali di riferimento. 4.4. Violazione e falsa applicazione della L. n. 817 del 1971, art. 8, comma 2, L. n. 590 del 1965, art. 31 e art. 8, comma 1, quanto all’accertamento della biennalità di coltivazione del fondo confinante e ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sotto il profilo della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto, controverso e decisivo per il giudizio, della biennalità della coltivazione diretta del fondo confinante da parte del retraente.

4.5. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 346 e 112 c.p.c., in relazione alla omessa censura di elementi motivazionali della sentenza di primo grado dei quali il Giudice di Appello non ha tenuto conto. Come fatto rilevare nella comparsa di risposta in sede di appello e nella comparsa conclusionale, l’atto d’appello era inammissibile poichè l’appellante non aveva censurato l’assunto sostenuto dal primo giudice in ordine al carattere meramente stagionale del contratto di compartecipazione. 4.6. La società ha concluso chiedendo che questa Corte rigetti il ricorso proposto dalla controparte e, in accoglimento del ricorso incidentale, ove venga ritenuto accogliibile quello principale, annulli cassandola in via incidentale la sentenza impugnata.

5. La sentenza riguarda i ricorsi riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza di appello (art. 335 c.p.c.).

5.1. Secondo l’ordine logico delle questioni, va esaminato per primo il ricorso incidentale proposto dalla Società Abruzzo, riguardante le condizioni soggettive per l’esercizio della prelazione agraria. In particolare assume carattere decisivo ed assorbente la decisione in ordine al secondo motivo di tale ricorso incidentale, riguardante la capacità lavorativa del retraente e della sua famiglia.

5.2. Infatti, detta capacità lavorativa dev’essere provata dimostrando la precisa entità della superficie su cui si è esercitata l’attività diretto-coltivatrice e della capacità di apporto lavorativo dei membri della famiglia da apprezzarsi in concreto (Cass. 3257/2008), senza che possa essere decisivo, al riguardo, avvalersi delle risultanze della consulenza di parte, nonchè di quelle generiche desumibili dalla prova testimoniale in ordine all’apporto della moglie e dei due figli maschi del ricorrente, studenti, nel periodo estivo (pag. 7-8 della sentenza impugnata).

5.3. L’accoglimento di tale motivo comporta l’assorbimento della decisione in ordine agli altri motivi di ricorso incidentale della Società Abruzzo, nonchè in ordine al ricorso principale proposto dal C., dovendo la Corte territoriale procedere a nuovo esame dell’appello proposto da quest’ultimo. La medesima Corte territoriale provvederà in ordine alle spese del giudizio, incluse quelle del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri motivi dello stesso e il ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello dell’Aquila, in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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