Cass. civ. Sez. III, Sent., 13-03-2012, n. 3977 Opposizione all’esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La presente controversia è sorta da un pignoramento ex art. 543 cod. proc. civ., e segg., eseguito in data 20.11.2003, in forza di decreto ingiuntivo opposto, confermato in primo grado e dichiarato provvisoriamente esecutivo, da M.M. in danno di P.F. sulla somma di Euro 25.000,00 di cui costui era creditore nei confronti del terzo Comune di Accadia.

P.F., proponendo opposizione all’esecuzione, contestava l’efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo, nella prospettiva della inapplicabilità alla specie dell’art. 282 cod. proc. civ., in considerazione del carattere dichiarativo della pronuncia di rigetto dell’opposizione dell’ingiunzione; contestava, altresì, la debenza di alcune spese e competenze procuratorie, successive alla sentenza di rigetto dell’opposizione all’ingiunzione e deduceva, infine, l’inammissibilità del pignoramento, stante il precedente intervento del M. con lo stesso titolo in altra procedura esecutiva.

Con sentenza in data 1.6/14.9.2007, il Tribunale di Foggia rigettava l’opposizione, dichiarando la legittimità del pignoramento presso terzi e condannando il P. al pagamento della metà delle spese processuali.

La decisione, gravata da impugnazione del P., era parzialmente riformata dalla Corte di appello di Bari, la quale con sentenza in data 6.11.2009 così provvedeva: dichiarava cessata la materia del contendere tra le parti e condannava il P. al pagamento delle spese del grado.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione P. F., svolgendo due motivi.

Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte intimata, ancorchè sia stato depositato atto denominato "procura speciale per la costituzione ex art. 312 c.p.c. e la discussione orale ex art. 370 c.p.c.", peraltro privo dei requisiti che avrebbero legittimato la partecipazione alla discussione orale, trattandosi di un atto che esula dalla previsione normativa di cui all’art. 83 cod. proc. civ., comma 3 (nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 9, lett. a, qui applicabile in relazione al disposto dell’art. 58, comma 1 cit. legge).

Motivi della decisione

1. Il ricorso supera le preliminari verifiche di ammissibilità (tenuto conto che il termine di cui all’art. 325 cod. proc. civ., comma 2, venendo a cadere domenica 24.01.2010, risultava prorogato al successivo 25.01.2010, giorno in cui il ricorso risulta inviato a mezzo del servizio postale) e di procedibilità (dal momento che perfezionata la notifica con la ricezione del ricorso il 27.01.2010 – l’atto risulta inviato a mezzo posta a questa Corte in data 12.02.2010, per pervenirvi il 16.02.2010).

2. La cessazione della materia del contendere è stata dichiarata, con l’impugnata sentenza, in considerazione dell’intervenuta revoca, nelle more del giudizio di opposizione all’esecuzione, del decreto ingiuntivo azionato in via esecutiva, mentre le spese processuali sono state poste a carico della parte esecutata, perchè la Corte di appello – procedendo alla disamina del merito dell’opposizione, al dichiarato fine della regolazione delle spese secondo virtuale soccombenza – ha ritenuto che i motivi di opposizione, unitamente all’ulteriore censura del P. in ordine alla parziale compensazione delle spese del primo grado, fossero tutti infondati.

Orbene il ricorrente – espressamente abbandonato, in considerazione dell’evoluzione giurisprudenziale in materia, il principale motivo di opposizione all’esecuzione, concernente la pretesa inidoneità (in origine) del titolo giudiziale ad essere azionato in via esecutiva in dipendenza dell’efficacia meramente dichiarativa della sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione a ingiunzione – si duole che, una volta che è stato revocato il decreto ingiuntivo, non ne siano state tratte le adeguate conseguenze dal giudice dell’opposizione all’esecuzione in punto di improseguibilità dell’azione esecutiva e di regolazione delle spese secondo soccombenza; insiste, inoltre, nel motivo di opposizione relativo alla non debenza in sede esecutiva di alcune spese e competenze procuratorie reclamate in precetto, asserendo che, anche sotto questo versante, doveva essere considerato (virtualmente) vittorioso.

2.1. In particolare con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 99, 100, 112, 474, 480, 615, 91 e 92 cod. proc. civ. (art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4) ovvero nullità della sentenza (art. 360 cod. proc. civ., n. 4), nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 cod. proc. civ., n. 5).

A tal riguardo il ricorrente – premesso che sia l’inesistenza originaria, che la sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo comportano l’illegittimità dell’esecuzione forzata con efficacia ex tunc e precisato, altresì, che, in appello, aveva allegato e documentato la sopravvenuta caducazione del titolo giudiziale – deduce che la Corte territoriale, piuttosto, che dichiarare la cessazione della materia del contendere, avrebbe dovuto accogliere detto motivo e dichiarare l’illegittimità ex tunc o almeno l’improseguibilità dell’intrapresa esecuzione e di tutti gli atti relativi, regolando le spese in conseguenza di tale accoglimento;

rileva che, quand’anche fosse corretta la pronuncia sulla cessazione della materia del contendere, giammai la Corte territoriale avrebbe potuto pronunciare condanna al pagamento delle spese di lite, anche in virtù del criterio di virtuale soccombenza, fondato sul rigetto degli altri motivi di opposizione, da ritenersi "assorbiti" per la sopravvenuta caducazione del titolo.

3. Il motivo va accolto nei limiti che seguono.

Innanzitutto – precisato che la pronuncia di cessazione della materia del contendere si risolve, nella prassi giurisprudenziale, in una sentenza dichiarativa dell’impossibilità di procedere alla definizione del giudizio per il venire meno dell’interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio stesso, tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o alla pretesa sostanziale – occorre rilevare che, nella specie, siffatta pronuncia risulta essere stata sollecitata, per quanto riferito in ricorso, dallo stesso P. (sia pure in alternativa alle pronunce di inammissibilità, improcedibilità o nullità dell’esecuzione), il che convalida il rilievo dei giudici di appello che non vi fosse più controversia in ordine all’efficacia esecutiva o meno del titolo giudiziale, id est che fosse venuto meno l’interesse delle parti alla definizione del giudizio in ordine alla pretesa esecutiva azionata sulla base di un titolo.

3.1. Ciò premesso, il punto nodale del motivo di ricorso si risolve nella regolazione delle spese processuali, posto che la Corte di appello – pur implicitamente riconoscendo, attraverso il rilievo dell’avvenuta cessazione della materia controversa, la (pacifica) improcedibilità dell’azione esecutiva per effetto della revoca del decreto ingiuntivo azionato dal M. (sebbene, come è evidente, trattandosi di titolo giudiziale, per motivi diversi da quelli fatti valere nel giudizio ex art. 615 cod. proc. civ.) – ha ritenuto, virtualmente, soccombente il P., vagliando il fondamento dell’opposizione all’esecuzione, per così dire ex ante, e cioè con riferimento al momento in cui venne proposta: tanto, evidentemente, sul presupposto che la res controversa era consacrata nei motivi di opposizione, per cui solo ad essi occorreva fare riferimento per determinare la virtuale soccombenza.

3.2. Questi i termini della questione, essa si intreccia, a ben guardare, con l’altra questione – non sempre risolta in maniera uniforme dalla giurisprudenza di questa Corte – concernente la possibilità o meno, in sede di opposizione all’esecuzione, per l’opponente di modificare le eccezioni che ne costituiscono il fondamento e, correlativamente, per il giudice di accogliere l’opposizione per motivi che costituiscono un mutamento di quelli espressi nel ricorso introduttivo, allorchè si tratti di eccezioni rilevabili d’ufficio.

Nell’aderire all’indirizzo che appare prevalente, il Collegio precisa che – sebbene l’opposizione all’esecuzione a norma dell’art. 615 cod. proc. civ., si configuri come accertamento negativo della pretesa esecutiva del creditore procedente che va condotto sulla base dei motivi di opposizione proposti, che non possono essere modificati dall’opponente nel corso del giudizio – in subiecta materia, il principio della domanda e quello della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato devono confrontarsi con il potere-dovere del giudice di verificare anche ex officio la validità ed efficacia del titolo esecutivo.

Se è vero, infatti, che l’esistenza del titolo esecutivo costituisce la condizione necessaria dell’esercizio dell’azione esecutiva, deve, necessariamente, convenirsi che la sua esistenza, indipendentemente dall’atteggiamento delle parti, deve essere sempre verificata d’ufficio dal giudice (Cass. 7 febbraio 2000, n. 1337). In particolare – mentre il giudice dell’esecuzione ha il potere-dovere di verificare, con un accertamento che esaurisce la sua efficacia nel processo esecutivo, non solo la presenza del titolo esecutivo nel momento in cui l’azione esecutiva è sperimentata, ma anche la sua permanente validità ed efficacia in tutto il corso del processo di esecuzione – in sede di opposizione all’esecuzione l’accertamento dell’idoneità del titolo a legittimare l’azione esecutiva si pone come preliminare dal punto di vista logico per la decisione sui motivi di opposizione, anche se questi non investano direttamente la questione (Cass. 28 luglio 2011, n. 16610). Il giudice dell’opposizione all’esecuzione è tenuto, dunque, a compiere, preliminarmente, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, ed anche per la prima volta nel giudizio di cassazione, la verifica sulla esistenza del titolo esecutivo posto alla base dell’azione esecutiva, potendo rilevare sia l’inesistenza originaria del titolo esecutivo sia la sua sopravvenuta caducazione, dal momento che, entrambe, determinano l’illegittimità dell’esecuzione forzata con effetto ex tunc (Cass. 19 maggio 2011, n. 11021; Cass. 29 novembre 2004, n. 22430).

3.3. Ciò premesso, ritiene il Collegio che, nel caso all’esame, la decisione impugnata erroneamente si soffermi sulla disamina dei motivi di opposizione, con cui si contestava l’efficacia esecutiva del titolo, posto che, per effetto del preliminare rilievo dell’avvenuta caducazione del titolo in questione, i suddetti motivi risultavano superati e, in definitiva, assorbiti; per altro verso, fecalizzando l’indagine sugli originari motivi di opposizione, i giudici di appello hanno omesso di considerare che, quali che fossero le ragioni per cui era stata contestata l’efficacia del titolo azionato, nel momento in cui essi decidevano, quel titolo era stato rimosso con efficacia ex tunc dalla realtà giuridica, sicchè l’opposizione risultava fondata. E’ stato, infatti, rilevato da questa Corte in una fattispecie analoga a quella all’esame (in cui era stata dichiarata la cessazione della materia del contendere per la sopravvenuta cessazione dell’efficacia del titolo conseguente alla cassazione della sentenza d’appello) che l’opposizione, con cui si contesta il diritto a procedere all’esecuzione forzata perchè il credito di chi la minaccia o la inizia non è assistito da titolo esecutivo, se il titolo esecutivo, pur esistendo in origine, perde tale efficacia prima che il giudizio sull’opposizione si chiuda, è un’opposizione che non è già infondata, ma fondata (cfr. Cass. 25 maggio 2009, n. 12089 in motivazione). D’altro canto la parte che aziona in via esecutiva un titolo provvisoriamente esecutivo lo fa a suo rischio e pericolo, per cui deve subire le conseguenze della sopravvenuta caducazione di quel titolo anche sul piano della regolazione delle spese dell’opposizione all’esecuzione, per qualunque motivo l’opposizione sia stata proposta.

In definitiva il criterio seguito dalla Corte di appello si risolve nella violazione del principio per cui le spese del processo non possono essere poste a carico della parte (sia pure virtualmente) vittoriosa.

Il motivo va, dunque, accolto relativamente alla regolazione delle spese processuali, dovendosi affermare il seguente principio: in sede di opposizione all’esecuzione con cui si contesta il diritto a procedere all’esecuzione forzata perchè il credito di chi la minaccia o la inizia non è assistito da titolo esecutivo, l’accertamento dell’idoneità del titolo a legittimare l’azione esecutiva si pone come preliminare dal punto di vista logico per la decisione sui motivi di opposizione, anche se questi non investano direttamente la questione; pertanto – dichiarata cessata la materia del contendere per effetto del preliminare rilievo dell’avvenuta caducazione del titolo esecutivo nelle more del giudizio di opposizione – per qualunque motivo sia stata proposta, l’opposizione deve ritenersi fondata; in tale situazione, dunque, il giudice dell’opposizione non può, in violazione del principio di soccombenza, condannare l’opponente al pagamento delle spese processuali, sulla base della disamina dei motivi di opposizione, risultando detti motivi superati e, in definitiva, assorbiti dal rilievo della avvenuta caducazione del titolo, con conseguente illegittimità ex tunc dell’esecuzione.

L’accoglimento del primo motivo esonera il Collegio dall’esame del secondo motivo del ricorso, con il quale è denunciata, per violazione di legge e vizio di motivazione, la parte della decisione con cui è stata affermata la virtuale soccombenza dell’odierno ricorrente anche relativamente al subordinato motivo di opposizione concernente alcune "voci" in precetto.

Non sono necessari "ulteriori accertamenti di fatto" in ordine alla regolazione delle spese in questione, il che giustifica una pronuncia nel merito da parte di questa Corte ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.. Si tratta di una pronuncia di condanna dell’opposto M. M. al pagamento delle spese dei due gradi del giudizio di merito liquidate ex actis in Euro 2.950,00 (di cui Euro 120,00 per esborsi) quanto al grado dinanzi al Tribunale e in Euro 3.326,00 (di cui Euro 120,00 per esborsi) quanto a quello dinanzi alla Corte di appello; il tutto oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.

Anche le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso relativamente alla regolazione delle spese processuali; assorbito il secondo motivo;

cassa in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna M.M. al pagamento delle spese processuali, liquidate, quanto al primo grado in Euro 2.950,00 (di cui Euro 120,00 per esborsi) e quanto al secondo grado in Euro 3.326,00 (di cui Euro 120,00 per esborsi) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge. Condanna, altresì, M.M. al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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