Cass. civ. Sez. III, Sent., 13-03-2012, n. 3972 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i Ministeri dell’Istruzione, Università e Ricerca, dell’Economia e Finanze e della Salute propongono ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno che, in riforma della pronuncia di primo grado, li ha tra l’altro condannati in solido al pagamento, in favore dei medici A.E. e V.G., delle somme indicate in sentenza, a titolo risarcitorio per il tardivo recepimento da parte dello Stato della normativa comunitaria in tema di Scuole di specializzazione, con interessi legali e rivalutazione.

Resistono con controricorso A.E. e V. G., proponendo tre motivi di ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

1.- Preliminarmente si rileva che il ricorso incidentale proposto in seno a quello principale iscritto al n.r.g. 28579 del 2010 va trattato unitamente a quest’ultimo.

2.- Con il primo motivo, sotto il profilo della violazione di legge, i ricorrenti principali si dolgono del rigetto della eccezione di prescrizione da essi sollevata, avendo la Corte di Appello di Salerno ritenuto che il dies a quo della prescrizione si identifichi con la sentenza Carbonari della Corte di Giustizia del 25/2/99 piuttosto che – come sostenuto da essi convenuti – con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, mentre, con il secondo motivo, sottopongono a critica la tesi della durata decennale, e non quinquennale, della prescrizione.

2.1.- La decisione impugnata è corretta sul punto, richiedendosi solo una parziale correzione della motivazione.

Va ricordato che questa Corte, a Sezioni Unite, ha affermato che in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto – anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria – allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno. Ne consegue che il relativo risarcimento non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettiva mente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all’adempimento di una obbligazione "ex lege" riconducibile all’area della responsabilità contrattuale, all’ordinario termine decennale di prescrizione (Cass., SS.UU. 17 aprile 2009 n. 9147).

Successivamente, quanto alla individuazione del dies a quo, questa Corte ha affermato che il termine di prescrizione comincia a decorrere il 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, in quanto soltanto da tale data i soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1 gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991 hanno avuto la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento della normativa europea (Cass. 17 maggio 2011 n. 10813).

Le contrarie argomentazioni esposte dai ricorrenti non inducono il Collegio a mutare opinione e pertanto, ferma restando la decisione sul punto, va soltanto modificata la motivazione quanto all’individuazione del dies a quo.

2.2.- A questo punto il Collegio deve farsi carico d’ufficio, trattandosi di quaestio iuris il cui esame non comporta accertamenti di fatto e che non è (e non può essere) preclusa da alcun giudicato interno, di una sopravvenienza normativa rispetto alla proposizione del ricorso e valutare se essa incida sulla validità del principio di diritto in quanto applicabile alle vicende oggetto della controversia.

Con la L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 43 (Legge di stabilità 2012, ex legge finanziaria), approvata in via definitiva dal Parlamento il 12 novembre 2011 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale 14 novembre 2011, n. 265, infatti, è stato disposto che "La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all’art. 2947 cod. civ., e decorre dalla data in cui il fatto, dai quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato".

Ai sensi dell’art. 36 della stessa legge a norma è entrata in vigore il 1 gennaio 2012.

Il Collegio ritiene che essa, operando solo per l’avvenire, secondo il criterio generale fissato dall’art. 12 preleggi, e, quindi potendo spiegare la sua efficacia rispetto ai fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore, risulta irrilevante nel presente giudizio, come nei giudizi similari. Infatti, essendo il suo oggetto di disciplina la regolamentazione della prescrizione de diritto al risarcimento del danno, derivante da mancato recepimento di normative comunitarie cogenti e dal verificarsi in capo ad un soggetto di un fatto che, se fosse stata attuata la direttiva, avrebbe dato al soggetto il diritto da essa previsto, la norma potrà disciplinare soltanto la prescrizione di diritti di tal genere insorti successivamente alla sua entrata in vigore e, quindi, derivanti da fattispecie di mancato recepimento verificatesi dopo di essa e non da fattispecie di mancato recepimento verificatesi anteriormente. Con la conseguenza che non può regolare in via sopravvenuta il diritto al risarcimento del danno da mancato recepimento, oggetto del presente giudizio, posto che esso concerne un mancato recepimento verificatosi ben prima.

Non v’è alcuna espressione nella norma, d’altro canto, che consenta di ritenere che l’oggetto di disciplina riguardi anche termini di prescrizione di diritti del genere indicato già sorti ed ancora non consumati, o per mancata decorrenza del termine di prescrizione originario o, nel caso di interruzione di esso o di quelli successivi, per pendenza di un termine successivo, nonchè termini di prescrizione non consumati alla stregua della disciplina applicabile precedentemente (come nella fattispecie) e che, invece, risulterebbero consumati alla stregua della nuova.

Sotto il primo aspetto la norma non reca alcun indice che evidenzi la sua direzione alla disciplina dei termini di prescrizione originari successivi ancora in corso, perchè la norma avrebbe dovuto disporre – se del caso in aggiunta alla sua previsione, che è diretta ad individuare la prescrizione e, quindi, il decorso del tempo dalla nascita – riguardo ai termini di prescrizione pendenti ed all’uopo avrebbe dovuto contenere elementi testuali idonei ad evidenziare l’assunzione come oggetto di disciplina anche di essi.

Sotto il secondo aspetto, che è quello che rileverebbe nel caso in esame, come nelle vicende similari, la disposizione avrebbe dovuto contenere espressioni dirette ad evidenziare il suo carattere espressamente retroattivo oppure auto qualificarsi, expressis verbis o in via indiretta attraverso indici testuali all’uopo idonei, come interpretativa.

E’ da avvertire che un indice linguistico idoneo ad evidenziare la natura retroattiva o interpretativa (e, quindi, parimenti retroattiva, com’è nella natura della norma effettivamente interpretativa) non può essere ravvisato nell’uso dell’espressione "in ogni caso", perchè essa non è nè idonea ad evidenziare una volontà legislativa derogatoria del principio per cui la legge provvede per l’avvenire, se il legislatore non dispone diversamente, nè tanto meno una volontà interpretativa.

Sotto il primo aspetto l’espressione non partecipa alla funzione di individuare l’oggetto di disciplina della norma quoad tempus, essendo esso definito dall’espressione "La prescrizione dei diritto ai risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari". Detta espressione, invece, essendo inserita dopo il verbo che esprime la vis normativa della soggezione all’art. 2947 c.c., ed essendo il riferimento a tale soggezione, in ragione del riferimento di essa all’azione di risarcimento del danno da fatto illecito, necessariamente ad una disposizione che ha come oggetto di disciplina un’azione di tale natura, è diretta a suggerire all’interprete che la soggezione ha luogo indipendentemente dalla qualificazione del relativo diritto negli stessi termini.

Va ancora rimarcato che le situazioni come quelle di cui è processo, riguardo alle quali il diritto è stato già esercitato con l’azione in giudizio, al momento dell’entrata in vigore della legge, non sono situazioni rispetto alle quali il diritto debba essere esercitato, ma situazioni nelle quali il diritto lo è già stato ed essendosi verificato l’effetto interruttivo c.d. permanente (scilicet sospensione) del termine prescrizionale risultante dalla legge del momento di introduzione del giudizio, il termine di prescrizione non correva ai 1 dicembre 2012 e nemmeno doveva e poteva iniziare, atteso che era interrotto. Onde, sarebbe occorsa un’espressione linguistica idonea a rivelare l’intentio legis di disciplinare anche tali situazioni in via necessariamente retroattiva, cioè sovrapponendo il nuovo termine a quello a suo tempo interrotto dalla domanda giudiziale e risultante dalla disciplina legislativa pregressa.

Per mera completezza ed in ipotesi denegata, se anche sorgesse il dubbio che l’espressione sia polisenso, cioè si presti ad assumere sia questo significato sia quello di implicare la retroattività o il carattere interpretativo della norma, l’interprete dovrebbe concludere a favore della prima opzione, perchè il carattere retroattivo o interpretativo di una norma non tollera ambiguità.

Va ancora aggiunto, sempre per completezza, un ulteriore rilievo.

Qualora la materia del mutamento da parte del legislatore del termine di prescrizione di un determinato diritto si reputasse soggetta, in assenza di contraria volontà del legislatore, da un principio generale dell’ordinamento che si volesse ravvisare esistente sulla base dell’art. 12 preleggi, comma 2 e che si individuasse nella norma di diritto transitorio temporibus illis introdotta dal legislatore all’atto dell’entrata in vigore del codice civile, cioè l’art. 252 disp. trans., le conclusioni raggiunte nel senso dell’ininfluenza della norma sopravvenuta nel presente giudizio non muterebbero.

Infatti, quella norma lasciò immutati i termini di prescrizione in relazione ad atti di esercizio di diritti avvenuti secondo la previgente disciplina e si preoccupò soltanto di somministrare un criterio per gli atti di esercizio di diritti sorti anteriormente all’entrata in vigore del codice ma non ancora esercitati, imponendo che il termine per il loro esercizio, se stabilito in misura più breve rispetto al passato ed eventualmente ancora in corso, decorresse dalle date di entrata in vigore delle varie parti del codice.

Applicando il criterio al caso di specie si avrebbe allora che la nuova norma sarebbe applicabile ad atti di esercizio di diritti come quelli oggetto di causa che avessero determinato l’interruzione del corso della prescrizione nei termini ricostruiti dalla giurisprudenza di questa Corte e che ancora, in situazione di mancato decorso del termine decennale di prescrizione, fossero esercitabili dopo la sua entrata in vigore. In questo caso il termine quinquennale di cui all’art. 2947, comma 1, decorrerebbe dal 1 gennaio 2012.

E’ palese che non si tratta e non si potrebbe trattare delle situazioni oggetto di esercizio in giudizio in fieri, come quelle di cui è processo, riguardo alle quali il termine operante secondo la disciplina anteriore è rimasto sospeso per l’effetto interruttivo permanente determinato dall’esercizio dell’azione giudiziale.

3.- Con il terzo motivo i ricorrenti principali si dolgono che la Corte di Appello di Salerno, pur dichiarando la spettanza di un mero indennizzo, abbia invece liquidato un risarcimento del danno, con la rivalutazione.

3.1.- Il terzo motivo è fondato nei termini che seguono, I ricorrenti colgono nel segno allorchè rimproverano al giudice di merito di avere liquidato un risarcimento del danno invece di una indennità e di avere inoltre proceduto alla rivalutazione.

Va rilevato che, con riferimento a una fattispecie nella quale il giudice si merito aveva ritenuto direttamente estensibile la disciplina della L. n. 370 del 1999, agli specializzandi da essa non contemplati, venutisi a trovare in condizioni tali che se le note direttive fossero state adempiute, avrebbero potuto beneficiare del riconoscimento di una remunerazione per lo svolgimento del corso di specializzazione in condizioni conformi a quanto imposto dal diritto comunitario, questa Sezione ha già avuto modo di affermare il seguente principio di diritto: "In tema di corresponsione di borse di studio agli specializzandi medici ammessi alle scuole negli anni 1983- 1991, la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, pone delle condizioni dettagliate per il riconoscimento del relativo diritto, coerenti con le corrispondenti disposizioni delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, così da doversi applicare retroattivamente a tutti coloro che si sono trovati nella situazione contemplata dal medesimo art. 11, in quanto la più idonea al raggiungimento dello scopo di attuare le citate direttive a far tempo dalla scadenza del termine dato allo Stato per la relativa trasposizione (nella specie, 31 dicembre 1982).

Non trova, invece, giustificazione, alla luce del diritto comunitario, la limitazione del riconoscimento operata dallo stesso art. 11, in favore dei destinatari delle sentenze passate in giudicato emesse dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sicchè, sotto questo specifico profilo, la disciplina è disapplicabile, in quanto essa subordina il riconoscimento, in ambito interno, di un diritto attribuito ai singoli da direttive comunitarie a condizioni (quella di aver adito l’autorità giudiziaria ed aver ottenuto una sentenza favorevole addirittura ancor prima dell’emanazione della legge di trasposizione) non contemplate da tali direttive" (Cass. n. 17682 del 2011).

Successivamente, sempre questa Sezione, scrutinando questa volta un ricorso che si innestava su uno svolgimento de giudizio di merito che aveva visto atteggiarsi la pretesa dei medici specializzandi sub specie risarcitoria, ha affermato che "In tema di risarcimento dei danni, per la mancata tempestiva trasposizione delle direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE (in materia di adeguata remunerazione della formazione dei medici specializzandi), in favore dei medici frequentanti le scuole di specializzazione in epoca anteriore all’anno 1991, la relativa liquidazione non può che avvenire sul piano equitativo, secondo canoni di parità di trattamento per situazioni analoghe, dovendo utilizzarsi come parametro di riferimento le indicazioni contenute nella L. 19 ottobre 1999, n. 370, con cui lo Stato italiano ha proceduto ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo nei confronti di tutte le categorie astratte in relazione alle quali, dopo il 31 dicembre 1982, si erano potute verificare le condizioni fattuali idonee all’acquisizione dei diritti previsti dalle citate direttive comunitarie e che non risultano considerate nel D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257" (Cass. n. 23275 del 2011).

Come si vede il punto di approdo della individuazione del criterio di liquidazione del danno nell’uno e nell’altro caso è stato il medesimo, cioè il riferimento agli importi indicati dalla L. n. 370 del 1999. 3.2.- A questo approdo il Collegio intende dare continuità e farne affermazione in linea generale sulla base dei seguenti rilievi, che si riferiscono alla pretesa risarcitoria che individui il danno non solo nella mancata consecuzione della adeguata remunerazione, ma anche sotto altri possibili profili derivanti dall’inidoneità del diploma sul piano comunitario.

Punto di partenza dev’essere la constatazione che, giusta la costruzione della fattispecie risarcitoria nei sensi indicati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 9147 del 2009, il diritto al risarcimento del danno, spettante agli specializzandi in relazione alla perdita della remunerazione e degli altri vantaggi che essi avrebbero potuto conseguire per il caso che la normativa comunitaria fosse stata adempiuta e fosse stata loro assicurata la possibilità di seguire corsi conformi ad essa, ha natura di credito di valore, sia pure originante da responsabilità contrattuale (nel senso specificato dalle cosiddette sentenze gemelle, nn. 10813, 10814, 10815 e 10816 del 2011).

La giurisprudenza di questa Sezione nelle sentenze gemelle ha, come si è visto, riconosciuto che fino all’emanazione della L. n. 370 del 1999 l’obbligo risarcitorio, pur insorto con riguardo alle posizioni dei singoli che si erano venuti a trovare nella condizione di fatto che avrebbe dato diritto al beneficio ricollegato all’attuazione delle direttive, si era connotato come un obbligo di natura permanente fino al momento dell’entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, con la conseguenza che il corso della prescrizione non era iniziato prima di quel momento.

In ordine al momento di insorgenza dell’obbligo risarcitorio, sempre le dette sentenze avevano sottolineato che esso si doveva rinvenire, peraltro, non già con riferimento al momento di verificazione della situazione di fatto che a direttive adempiute avrebbe giustificato la corresponsione della remunerazione e la consecuzione degli altri vantaggi, bensì solo dal momento della sopravvenienza della nota sentenza comunitaria sul caso Francovich.

Le sentenze gemelle, infatti, avevano sottolineato quanto segue: "il dictum della sentenza (poi ribadito qualche anno dopo dalla sentenza Brasserie du Pecheur), attesa l’efficacia vincolante nell’ordinamento interno della decisioni della Corte di Giustizia in guisa sostanziale di una vera e propria fonte del diritto oggettivo, ha avuto l’efficacia di introdurre nell’ordinamento italiano (come in buona sostanza hanno affermato le Sezioni Unite) una particolare fonte di obbligazioni risarcitorie, il cui fatto costitutivo è l’inadempienza ad una direttiva di quel contenuto. Ne deriva che solo dalla pubblicazione della sentenza Francovich le situazioni fattuali degli specializzandi che avevano conseguito il diploma dopo il 31 dicembre 1982 a seguito di un corso che, in base alle note direttive avrebbe giustificato l’attribuzione dei diritti da esse previste, sono state giuridificate nel nostro ordinamento come idonee a giustificare l’obbligo risarcitorio. L’assunto, naturalmente, vale per qualsiasi ipotesi di inadempienza a direttive di contenuto sufficientemente specifico nell’attribuzione di diritti da giustificare l’obbligo risarcitorio, verificatasi anteriormente alla sentenza Francovich.

(…). Potrebbe addirittura sostenersi che, essendosi la giurisprudenza comunitaria definitivamente assestata, dopo l’irruzione della sentenza Francovich nei suoi esatti termini soltanto con la sentenza Brasserie du Pecheur, come non manca di rilevare la dottrina quando deve individuare i caratteri dell’obbligo risarcitorio, addirittura solo dalla data di quella sentenza l’obbligo sia insorto nell’ordinamento italiano (…). Il diritto degli specializzandi, infatti, si potrebbe dire sorto addirittura soltanto dall’ottobre del 1996".

Ora, sopravvenuta la L. n. 370 del 1999, si è verificata nell’ordinamento, secondo la giurisprudenza inaugurata dalle sentenze gemelle, innanzitutto una situazione nella quale la permanenza dell’obbligo risarcitorio de quo è venuta a cessare, perchè come si rilevò in esse fu chiaro che lo Stato, riconoscendo un risarcimento a taluni specializzandi, appartenenti alle categorie riguardo alle quali non aveva operato la tardiva attuazione delle direttive solo de futuro di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, palesò che non vi sarebbe stato più un adempimento spontaneo e che, pertanto, la situazione di inadempimento era diventata ormai stabile. L’obbligo risarcitorio cessò di essere qualificabile come permanente e divenne un obbligo risarcitorio ormai nella sostanza definitivamente inadempiuto.

Tuttavia la L. n. 370 del 1999, si caratterizzò anche ulteriormente come un intervento del legislatore italiano che, per i soggetti contemplati, sulla sola condizione dell’essere beneficiari di taluni giudicati, procedette alla quantificazione del dovuto per l’obbligo risarcitorio.

Poichè tale obbligo risarcitorio era riferibile anche ai soggetti non contemplati e la relativa quantificazione è avvenuta con un atto legislativo, la posizione degli specializzandi rimasti esclusi, in relazione all’operare del principio di eguaglianza sul piano del diritto interno ed a maggior ragione rispetto alla posizione dello Stato Italiano di fronte all’obbligo comunitario, non ne rimase indifferente, bensì restò anch’essa qualificata come meritevole dello stesso trattamento. L’attività statuale di quantificazione del danno da tardivo adempimento per taluni, in sostanza, non potè che assumere rilievo anche per gli altri soggetti.

Si deve allora considerare che la quantificazione assunse anche nei confronti degli specializzandi non contemplati il valore di una sorta di aestimatio dell’obbligo risarcitorio, fatta spontaneamente dallo Stato.

Tale aestimatio in certo qual modo operata dallo stesso soggetto debitore non deve sorprendere, perchè dipese dalla particolarità della situazione nascente, secondo la giurisprudenza comunitaria, dall’inadempimento di direttive non self-executing. Essa risultò effettuata dallo Stato quale soggetto obbligato, sul piano dell’ordinamento comunitario, a rimediare alla situazione di inadempimento del diritto comunitario nell’esercizio della sua attività legislativa e, quindi, con necessari riflessi sul piano dell’ordinamento interno riguardo al diritto al risarcimento dei singoli.

Si deve allora ritenere che, a seguito della sopravvenienza della L. n. 370 del 1999, stante la identità di posizione degli specializzandi non contemplati rispetto a quelli contemplati dalla legge (identità che, naturalmente va apprezzata con riguardo all’atteggiasi della loro posizione non già secondo l’ordinamento interno e, quindi, in relazione all’essere essi beneficiari di giudicati amministrativi, bensì in relazione all’ordinamento comunitario), si verificò nell’ordinamento interno una situazione per cui il "valore" dell’obbligo risarcitorio risultò apprezzato dallo Stato italiano nella misura prevista dall’art. 11 della legge citata. Tale situazione determinava che agli specializzandi non contemplati, i quali erano ormai messi nella condizione di doversi attivare nel’esercizio della pretesa risarcitoria per scongiurare la prescrizione, fosse palesata una precisa quantificazione dell’obbligo risarcitorio da parte dello Stato. Quantificazione che l’ultima proposizione del comma 1 dell’articolo diceva comprensiva di interessi e rivalutazione, così rispettando la natura di valore del credito nel procedimento che condusse a una sorta di auto-aestimatio dello Stato legislatore.

Ne deriva che, emergendo una precisa quantificazione del valore dell’obbligo risarcitorio, ad essa si doveva e si deve commisurare la pretesa degli specializzandi.

E ciò non tanto sulla base di considerazioni equitative, che in relazione alla singola controversia sia dato al giudice italiano di formulare, bensì quale necessario riflesso della facoltà dello Stato di individuare il contenuto economico dell’obbligo risarcitorio per i doveri nascenti dalla ricostruzione operata dalle sentenze sul caso Francovich e, quindi, sul caso Brasserie du Pecheure, quindi, dall’ordinamento comunitario.

Infatti, la sentenza della Corte di Giustizia sul caso Brasserie du Pecheur ebbe a precisare che "in mancanza di norme comunitarie in materia di risarcimento del danno da inadempimento di direttive non self-executing, spetta all’ordinamento giuridico di interno di ciascuno stato membro fissare i criteri che consentono di determinare l’entità del risarcimento, fermo restando che essi non possono essere meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi fondati sul diritto interno e che non possono in nessun caso essere tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile il risarcimento".

Il che giustifica che, in relazione al noto inadempimento, spettasse allo Stato di determinare l’entità del risarcimento, naturalmente in modo da non renderlo apparente.

Il giudice di rinvio provvederà, pertanto, a liquidare il risarcimento del danno sulla base del parametro della L. n. 370 del 1999.

Per effetto della L. n. 370 del 1999, l’aestimatio dell’obbligo risarcitorio da parte del legislatore italiano si risolse in una attività di vera e propria autoliquidazione (consentita, come s’è visto, dato che lo Stato poteva nella sua qualità di legislatore disporre, dovendo rispettare solo esigenze di effettività rispetto all’ordinamento comunitario) del danno derivante dal suo inadempimento. Dal momento dell’entrata in vigore della legge si evidenziò, allora, una monetizzazione dei danno derivante dall’inadempimento di quell’obbligo e si trattò di una monetizzazione correlata ad un inadempimento ormai definitivo di esso.

Ritiene il Collegio che tale monetizzazione, dal momento dell’entrata in vigore della legge, determinò la sostituzione all’obbligazione risarcitoria avente natura di debito di valore qual era stata quella dello Stato fino a quel momento, in mancanza di determinazione del suo ammontare, di un’obbligazione avente natura di debito di valuta, cioè avente ad oggetto diretto una somma di danaro.

Tale obbligazione aveva ad oggetto una somma di danaro liquida, ma non esigibile.

Ne consegue che essa era soggetta al regime dell’art. 1219 c.c., e, pertanto, per la produzione degli interessi e del diritto alla consecuzione del maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, occorreva un atto di messa in mora.

La Corte di rinvio, dovrà, dunque, riconoscere sulle somme dovute per ciascun anno, determinate alla stregua della L. n. 370 del 1999, art. 11, gli accessori soltanto dalla data dell’eventuale messa in mora o, in mancanza, dalla notificazione della domanda giudiziale.

Lo dovrà fare applicando il seguente principio di diritto: "Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 cod. civ., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero – attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avrà invece l’onere dì dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale. Competerà, quindi, la rivalutazione monetaria per preservare il valore della somma indicata" (Cass. sez. un. n. 19499 del 2008).

3.3.- Il ragionamento del giudice di merito appare erroneo anche quando ritiene certa la sussistenza di un danno da perdita di chance, conseguente alla inutilità del titolo conseguito "ai fini del successivo riconoscimento in ambito europeo" che sarebbe causalmente ricollegabile all’inadempimento dello Stato.

Il danno da perdita di chance esige infatti "la prova, anche presuntiva, dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile" (Cass. 13 luglio 2011 n. 15385), e dunque il giudice di merito avrebbe dovuto acquisire la prova della concreta intenzione, da parte degli attori, di spendere il titolo in ambito europeo.

4.- Con il quarto motivo, sotto i profili dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4, i ricorrenti principali in sostanza si dolgono della affermazione di un diritto di credito di natura indennitaria degli attori, pur da essi non prospettato in tali termini.

4.1.- Il quarto motivo è infondato. Rientra infatti senza dubbio alcuno nei poteri del giudice di qualificare diversamente la domanda proposta, purchè non ne modifichi i fatti costitutivi.

5.- Con il primo motivo di ricorso incidentale la A. si duole che il giudice di merito abbia ritenuto equitativamente la durata del corso di specializzazione non superiore a due anni invece dì esaminare lo Statuto Universitario di competenza, desumibile dagli atti.

5.1.- Il primo motivo dì ricorso incidentale è inammissibile, non indicando neppure in questa sede la ricorrente incidentale la durata del proprio corso di specializzazione.

6.- Con il secondo motivo di ricorso incidentale la A. contesta che la durata del corso di specializzazione possa rientrare nel notorio e si duole che il giudice non abbia eventualmente invitato le parti ad integrare eventuali lacune istruttorie.

6.1.- Anche il secondo motivo è inammissibile, considerato che, a proposito della durata del corso di specializzazione, nella sentenza si legge (pag. 24) che non rientra nelle nozioni dì comune esperienza.

7.- Con il terzo motivo, sotto il profilo della violazione dell’art. 92 cod. proc. civ., comma 2, nel testo anteriore alle modifiche apportatevi dalla L. n. 69 del 2009, i ricorrenti incidentali si dolgono della parziale compensazione delle spese, motivata con il fatto che solo in corso di causa si sarebbe consolidata in senso sfavorevole alle Amministrazioni la giurisprudenza di cassazione.

Assumono l’erroneità della considerazione espressa dal Collegio, salernitano, "che pecca nella misura in cui sembra definire il regime delle spese processuali sulla base di una mera coincidenza temporale" e comunque deducono che, "al momento della pronuncia di secondo grado, l’orientamento del Collegio Supremo (…) si era già abbondantemente e compiutamente consolidato". 7.1.- Il mezzo è assorbito dalla cassazione con rinvio.

8.- Accolto dunque, per quanto di ragione, il terzo motivo del ricorso principale, rigettati gli altri e i primi due del ricorso incidentale, assorbito il terzo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione, con rinvio, anche per le spese, alla Corte di Appello di Salerno in diversa composizione, che farà applicazione dei principi di diritto enunciati sub 3.1., 3.2. e 3.3.

P.Q.M.

la Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie, per quanto di ragione, il terzo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri e i primi due dell’incidentale, assorbito il terzo; cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Salerno in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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