Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 08-07-2011) 10-10-2011, n. 36513 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 .-. Il difensore di C.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale, in data 5-1-11, il Tribunale di Reggio Calabria, adito ex art. 309 c.p.p., ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere disposta nei confronti del predetto dal GIP di Reggio Calabria per i reati di cui all’art. 416 bis c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Il ricorrente deduce in primo luogo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di gravi indizi a carico del C. di partecipazione ad una associazione dedita al narcotraffico. A suo avviso, i risultati delle intercettazioni avrebbero al più dimostrato un episodio di coltivazione di sostanze stupefacenti, ma nulla proverebbero in ordine alla partecipazione del C. alla associazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

In secondo luogo denuncia gli stessi vizi in riferimento alla partecipazione del C. ad una associazione mafiosa, in riferimento alla quale vi sarebbe un’assoluta mancanza, anche grafica, della motivazione.

Alla odierna udienza camerale, la difesa del C. ha depositato una memoria, con la quale insiste per l’accoglimento del ricorso, hi particolare, in detta memoria si rileva che il Tribunale non si sarebbe minimamente occupato di illustrare almeno una lata consapevolezza da parte dell’indagato di contribuire al sodalizio mafioso.

2 .-. Il ricorso è inammissibile per genericità e per manifesta infondatezza. Tutte le odierne censure sono già state esaminate e respinte, con congrua motivazione, dal Tribunale di Reggio Calabria, che ha desunto la appartenenza del C. alla associazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 dalle intercettazioni effettuate (analiticamente riportate nel provvedimento impugnato), dalle quali era risultato che l’indagato era pienamente dedito, insieme al fratello, alla attività di coltivazione di sostanze stupefacenti, coltivazione non riconducibile ad una condotta isolata dei singoli, ma eseguita e gestita in modo organizzato dal sodalizio di riferimento (cd. cosca della Lamia, articolazione della cosca madre dei Commisso), dotato di stabile organizzazione dedita alla coltivazione a livello "industriale" della marijuana, con divisione di compiti, con destinatari prestabiliti e con rilevantissime rendite economiche. In particolare, dalle conversazioni intercettate era chiaramente emerso che chiunque intendeva coltivare droga nella zona doveva darne conto alla cosca competente per territorio, che aveva un controllo totale sulla attività, come accertato anche dai servizi effettuati dalla P.G..

Tanto appariva sufficiente, in sede cautelare, per ritenere sussistente un grave quadro indiziario di appartenenza del C. non solo alla associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti ma anche alla cellula ‘ndranghetistica di riferimento, e cioè quella attiva in contrada Lamia di Sidereo, che curava sistematicamente e professionalmente le coltivazioni di droga.

In definitiva, il tessuto motivazionale dell’ordinanza censurata non presenta affatto quella carenza, contraddittorietà o macroscopica illogicità del ragionamento del giudice di merito che, alla stregua dei principi affermati da questa Corte, può indurre a ritenere sussistente il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), nel quale sostanzialmente si risolvono le censure proposte con il ricorso. La difesa del ricorrente si è limitata a proporre letture alternative delle conversazioni intercettate, ma, a fronte di una interpretazione delle stesse operata dal Tribunale che non può certamente dirsi palesemente illogica e contraddittoria, questa Corte non può certamente dirsi palesemente illogica o contraddittoria, questa Corte non può che ribadire la inammissibilità di censure proposte nei termini di cui sopra.

3 .-. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro mille, non ravvisandosi ragioni per escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità. La Cancelleria provvederà agli incombenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di mille Euro in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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