Cass. civ. Sez. III, Sent., 13-03-2012, n. 3952

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel gennaio del 1994, la Banca di Roma (in seguito Banca Antonveneta, ed infine Elipso Finance) convenne in giudizio, dinanzi al tribunale di Roma, i coniugi S.F. e C.D., per sentir dichiarare l’inefficacia, ex art. 2901 c.c., dell’atto con il quale, in regime di separazione dei beni, il primo – fideiussore di una società della quale la banca istante era creditrice – aveva donato alla seconda una quota pari ad un quarto della nuda proprietà di un immobile.

Costituitasi in giudizio nella contumacia del marito, la C. chiese, in via principale, il rigetto della domanda e, in via subordinata – agendo dichiaratamente in surrogatoria dei diritti del predetto – la declaratoria della nullità, annullabilità, inefficacia della fideiussione. Il giudice di primo grado accolse la domanda, dichiarando inefficace l’atto di donazione.

La corte di appello di Roma, investita del gravame proposto da C.D., lo dichiarò inammissibile. Sulla (/corretta) premessa secondo la quale la domanda formulata dal creditore ai sensi dell’art. 2901 c.c. genera un rapporto processuale di tipo litisconsortile necessario tra il terzo beneficiario dell’atto e il debitore (con conseguente inscindibilità delle cause in fase di impugnazione), il giudice territoriale rileverà come un primo ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti di S.F., con contestuale fissazione di un termine perentorio per la relativa notifica, fosse stato impartito dal giudice dell’appello alla prima udienza, senza che l’appellante vi avesse ottemperato, compiendo un primo tentativo di notificazione presso un indirizzo ove lo S. era risultato del tutto sconosciuto, senza peraltro dedurre situazioni oggettive di forza maggiore impeditive dell’osservanza del termine, la cui natura perentoria non ne consentiva la proroga o rinnovazione (erroneamente concessa in istruttoria).

La sentenza è stata impugnata dall’appellante con ricorso per cassazione articolato in un unico, complesso motivo di doglianza.

Resiste con controricorso la Elipso Finace.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con il primo ed unico motivo, si denuncia erronea e falsa applicazione dell’art. 331 c.p.c. in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo – privo di pregio – si conclude con il seguente quesito di diritto:

Dato atto dell’indirizzo di codesta Suprema Corte volto a salvaguardare la posizione processuale delle parti che non abbiano conseguito un tempestivo perfezionamento della notificazione per cause ad esse non imputabili, in forza del quale deve ritenersi legittima e tempestiva la rinnovazione, effettuata anche oltre il termine perentorio, della notificazione che non abbia avuto esito positivo per cause non imputabili alla parte; considerata l’oggettiva difficoltà del procedimento di notificazione nei confronti di un soggetto contumace che abbia dichiarato un indirizzo di residenza non veritiero, e la cui residenza, peraltro, da indagini anagrafiche, risulti ancora ignota; tenuto altresì conto che, quando la notificazione di un atto di integrazione del contraddittorio è eseguita nel termine stabilito e però in modo nullo, la dichiarazione di tale nullità non impedisce che alla parte sia assegnato un nuovo termine per rinnovarlo (ss.uu. ord. 15.11.1997, n. 1018); visti i principi di uguaglianza e di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantiti, si chiede se sia legittima la concessione di un nuovo termine per la rinnovazione della notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio, tempestivamente notificato entro il termine all’uopo concesso ai sensi dell’art. 331 c.p.c. e il cui esito negativo non sia dipeso da fatto del richiedente.

La doglianza è destinata ad infrangersi sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto che il termine concesso per la notificazione dell’atto di appello al litisconsorte pretermesso avesse carattere perentorio, e, in quanto, tale non potesse essere prorogato (come erroneamente disposto alla prima udienza di quel giudizio), così ponendo rimedio all’error iuris compiuto in fase istruttoria.

Le ulteriori e nuove circostanze di fatto addotte in questa sede – predicative di una pretesa impossibilità di fatto e di una declamata incolpevolezza di condotta della ricorrente – per altro verso, non possono in alcun modo trovare ingresso e formare oggetto di valutazione da parte del giudice di legittimità, non essendo mai state dedotte in sede di merito dinanzi alla corte capitolina, che, di converso, ha fondato la propria declaratoria di inammissibilità (anche) sulla inesistenza di dedotte situazioni di forza maggiore che oggettivamente si fossero, in ipotesi, poste in termini assolutamente impeditivi dell’osservanza dell’ordine di integrazione.

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue – giusta il principio della soccombenza – come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 2700, di cui Euro 200 per spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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