Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-03-2012, n. 4088 Coniuge superstite Divisione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – R.L. convenne in giudizio, avanti al Tribunale di Belluno, la propria madre, G.I., e – premesso che entrambe erano eredi del de cuius R.A. (padre dell’attrice e marito della convenuta) per successione legittima – chiese che, ricostruito l’asse ereditario con identificazione dei beni e rendiconto di redditi e spese, fosse disposto lo scioglimento della comunione, con formazione di lotti in parti eguali e con ordine alla convenuta di rilasciare quanto attribuito all’attrice.

Si costituì la convenuta, invocando preliminarmente il diritto di abitazione ex art. 540 cod. civ., comma 2, sulla casa adibita a residenza familiare, costituita dall’intero edificio sito in Via (OMISSIS), e precisando che l’asse ereditario comprendeva altro fabbricato, sito in località (OMISSIS), nonchè un terreno boschivo.

Con sentenza non definitiva depositata il 24 maggio 2002, il Tribunale di Belluno dichiarava il diritto di abitazione della convenuta sul solo appartamento al piano rialzato dell’immobile sito in Via (OMISSIS) (giacchè dalle prove testimoniali era emerso che fino alla morte di R.A. la famiglia aveva occupato solo tale piano rialzato e non anche il primo piano) e rigettava la domanda di rendiconto proposta dall’attrice. Con sentenza in data 17 maggio 2004 il Tribunale disponeva lo scioglimento della comunione secondo il progetto divisionale della relazione peritale; e – premesso che l’edificio di Via (OMISSIS) era comodamente divisibile (avendo l’ausiliario accertato che lo stesso, di fatto, era già suddiviso in tre unità abitative autonome anche per accessi e servizi e già accatastate in via separata) – assegnava alla G. gli appartamenti siti al piano seminterrato e a quello rialzato, e alla R. l’appartamento al primo piano (con soffitta e posto auto) e l’ulteriore compendio di Via (OMISSIS).

2. – La Corte d’appello di Venezia, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 26 gennaio 2010, ha respinto il gravame della G. avverso entrambe le sentenze, non definitiva e definitiva; mentre, in accoglimento dell’impugnazione incidentale della R., ha posto a carico della G. le spese della causa di divisione di primo grado.

2.1. – La Corte d’appello ha rilevato:

– che il diritto di abitazione del coniuge superstite è stato giustamente riconosciuto per quella sola porzione di immobile nella quale il nucleo familiare, composto dal de cuius, dalla moglie G. I. e dalla figlia L., aveva vissuto fino alla scomparsa del capostipite, avvenuta nel 1977, quando L. non aveva ancora 5 anni;

– che, anche secondo quanto risulta dalla c.t.u., l’edificio oggetto della perizia è facilmente divisibile e di fatto già diviso in tre unità abitative, "con la possibilità di mantenere autonomi gli appartamenti e di ridurre la promiscuità nei limiti di qualsiasi edificio condominiale". 3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la G. ha proposto ricorso, con atto notificato il 22 luglio 2010, sulla base di tre motivi.

L’intimata ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza la ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo (violazione dell’art. 540 cod. civ., comma 2, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio) ci si duole che la Corte d’appello abbia limitato il diritto di abitazione al solo piano rialzato, senza tenere presente che la ratio dell’art. 540 cod. civ., comma 2, mira a conservare al coniuge superstite una riserva qualitativa a difesa di interessi di natura non patrimoniale. L’aspro conflitto tra la madre e la figlia, qualora costei intendesse abitare la parte non attribuita alla madre od anche locarla a terzi, "degraderebbe in maniera significativa lo stato esistenziale della G.". La Corte territoriale non avrebbe valutato correttamente nè la dichiarazione di R.L. (che aveva riconosciuto che "solo dopo la morte del de cuius vi erano state situazioni varie quanto ad abitazione") nè le deposizioni dei testi (in particolare del teste F.A., il quale aveva riferito che la famiglia abitava al primo piano, cioè al piano sovrastante il piano terra).

Secondo la ricorrente, la prova che tutto il compendio abitativo fosse a disposizione della famiglia può essere data per presunzioni od in base alla notorietà del fatto che chi ha una casa di campagna e non ha inquilini, l’ha tutta nella sua disponibilità abitativa, in quanto il vivere in campagna, diversamente dalla città, richiede, anche per abitudini sociologiche e di vita, spazi diversi.

1.1. – Il motivo è infondato.

Il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite (art. 540 cod. civ., comma 2), ha ad oggetto la casa coniugale, ossia l’immobile che in concreto era adibito a residenza familiare (Cass., Sez. 2^, 27 febbraio 1998, n. 2159).

Poichè, dunque, l’oggetto del diritto di abitazione mortis causa coincide con la casa adibita a residenza familiare, esso si identifica con l’immobile in cui i coniugi – secondo la loro determinazione convenzionale, assunta in base alle esigenze di entrambi – vivevano insieme stabilmente, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare.

E benchè l’immobile costituente la dimora abituale del nucleo familiare comprenda (con i mobili che l’arredano, oggetto di un diritto d’uso) le relative pertinenze, è da escludere che l’ambito del diritto di abitazione che spetta al coniuge superstite si estenda fino al punto di includere l’appartamento autonomo, posto nello stesso edificio, ma non utilizzato per le esigenze abitative della comunità familiare.

A tale principio si è attenuta la Corte territoriale, la quale, nel confermare la sentenza di primo grado, ha accertato che il fabbricato di Via (OMISSIS) era costituito, all’epoca della successione, da due appartamenti autonomi, e che il nucleo familiare, costituito dal de culus R.A., dalla moglie G.I. e dalla figlia Lucia, abitava nel solo appartamento al piano rialzato, e non nell’intero fabbricato.

Questo accertamento è il frutto di un apprezzamento logico e motivato delle risultanze probatorie. In particolare la Corte del merito ha rilevato che la presenza nell’edificio di due unità abitative autonome è stata confermata dalle stesse dichiarazioni rese nel giudizio di primo grado dalla convenuta in sede di interrogatorio libero; e che i testi F.A. e G. N., indicati rispettivamente dall’attrice e dalla convenuta, hanno concordemente riferito che i coniugi avevano adibito a residenza familiare soltanto uno degli appartamenti di cui si componeva il fabbricato.

Correttamente, pertanto, la Corte del merito è giunta alla conclusione di individuare nel solo appartamento in concreto adibito a residenza familiare l’oggetto del diritto di abitazione del coniuge superstite, a nulla rilevando che detto appartamento sia ricompreso in un fabbricato più ampio, contenente un altro appartamento.

Il motivo di ricorso, anche là dove denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, si risolve nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito.

2. – Il secondo mezzo – proposto in via subordinata – denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 720-727 e 718 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3. Avrebbe errato la Corte d’appello a ritenere la comoda divisibilità dell’immobile di Via (OMISSIS), sia perchè non possono considerarsi vani abitabili quelli ricavati nello scantinato (avendo un’altezza di appena m.

2,10), sia perchè l’impiantistica (idrotermica, elettrica e fognaria) del compendio è unica. L’intero immobile avrebbe dovuto essere assegnato alla G., per salvaguardare la sua posizione di prevalenza meritevole di tutela in relazione all’autonomia di godimento, con eventuale conguaglio a favore della figlia: ciò in applicazione del principio secondo cui quando nel patrimonio comune vi sono più immobili da dividere, il giudice del merito deve accertare se il diritto del condividente sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole unità immobiliari oppure attraverso l’assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo conguaglio.

2.1. – Anche questa censura è infondata.

In tema di divisione giudiziale, la non comoda divisibilità di un immobile, integrando un’eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura, può ritenersi legittimamente predicabile solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti dalla irrealizzabilità del frazionamento dell’immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento, o dalla impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessivi (Cass., Sez. 2^, 16 febbraio 2007, n. 3635;

Cass., Sez. 2^, 28 maggio 2007, n. 12406; Cass., Sez. 2^, 29 maggio 2007, n. 12498; Cass., Sez. 2^, 29 novembre 2011, n. 25332).

La Corte di Venezia ha fatto applicazione di questo principio, avendo rilevato, sulla scorta della espletata c.t.u., che il fabbricato di Via (OMISSIS) risulta già in natura materialmente e strutturalmente diviso in diverse unità abitative, tra l’altro separatamente accatastate, e che la loro ricomprensione nelle quote dei due coeredi, oltre ad essere il linea con il diritto di ciascuno di conseguire in natura la parte dei beni spettante con le modalità stabilite negli artt. 726 e 727 cod. civ., non comporta alcun deprezzamento del valore delle singole quote, rapportate proporzionalmente al valore dell’intero.

La Corte del merito ha anzi sottolineato che la stessa possibilità di considerare, all’interno del fabbricato di Via (OMISSIS), due appartamenti, oltre allo scantinato, "ne aumenta la possibilità di utilizzazione, consentendone anche la locazione di una parte soltanto, come in effetti è avvenuto in passato e avviene tuttora". 3. – Il terzo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 345, 343, 166, 91 e 92 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, in materia di spese. La pronuncia della Corte d’appello, per quanto riguarda le spese di primo grado, violerebbe l’art. 112 cod. proc. civ., giacchè le conclusioni di primo grado della parte attrice sostanzialmente si concretizzavano in una richiesta di suddivisione dell’onere in egual misura quanto alla fase propriamente divisionale, pur chiedendosi la rifusione per la parte contenziosa. La richiesta di condanna alle spese di primo grado, avanzata con la comparsa di risposta in appello, rappresenterebbe una domanda nuova, in violazione dell’art. 345 cod. proc. civ.. L’inammissibilità discenderebbe anche dal fatto che non sarebbero stati rispettati i termini di cui agli artt. 343 e 166 cod. proc. civ., per la proposizione dell’appello incidentale. In ogni caso, la condanna alle spese, non solo di primo grado, ma anche di appello, sarebbe in contrasto con gli artt. 91 e 92 cod. proc. civ..

3.1. – Il motivo è fondato, nei termini di seguito indicati.

In materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice di appello che rigetti il gravame nei suoi aspetti di merito, confermando la sentenza di primo grado, può modificare il contenuto della statuizione sulle spese processuali assunta dal primo giudice soltanto in presenza di uno specifico motivo di impugnazione, giacchè, altrimenti, la relativa decisione si tradurrebbe in una violazione del giudicato (tra le tante, Cass., Sez. 3^, 19 novembre 2009, n. 24422; Cass., Sez. 2^, 3 maggio 2010, n. 10622; Cass., Sez. lav., 12 luglio 2010, n. 16308).

Nella specie l’appellato ha si impugnato la decisione di compensazione emessa dal giudice di primo grado, ma l’appello incidentale contenente detto motivo è stato proposto tardivamente, non avendo la R. rispettato, per il deposito della comparsa di risposta, il termine, derivante dal combinato disposto degli artt. 343 e 166 cod. proc. civ., di venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione (Cass., Sez. 2^, 20 settembre 2002, n. 13746; Cass., Sez. 2^, 24 gennaio 2011, n. 1567).

Risulta infatti per tabulas che l’atto di appello principale indicava come data dell’udienza di comparizione il 24 gennaio 2005 e che la costituzione dell’appellato con la comparsa di costituzione è avvenuta soltanto all’udienza del 24 gennaio 2005.

La Corte territoriale, pertanto, ha errato a riformare la sentenza di primo grado nel capo relativo alla compensazione delle spese, essendo questo passato in cosa giudicata.

4. – La sentenza impugnata è cassata in relazione al capo relativo alle spese processuali.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito: ferme le altre statuizioni, escludendo la riforma della pronuncia di compensazione delle spese disposta, per il giudizio di primo grado, dal Tribunale; e ponendo a carico di G. I. i 2/3 delle spese del giudizio di appello (liquidate, per l’intero, nella misura indicata nella sentenza impugnata), tenuto conto del maggior grado di soccombenza dell’appellante principale, ma considerando anche la proposizione, da parte dell’appellata, di un gravame incidentale inammissibile perchè tardivo.

5. – Le spese del giudizio di cassazione – liquidate come da dispositivo – vanno poste a carico della ricorrente per i 2/3, avuto riguardo all’esito del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi del ricorso, accoglie il terzo;

cassa la sentenza impugnata relativamente e limitatamente al capo concernente le spese, del giudizio di primo grado e di appello, e, per l’effetto, ferma la compensazione disposta dal Tribunale, condanna G.I. a rifondere a R.L. i 2/3 delle spese del giudizio di appello, compensando la restante parte, spese liquidate, per l’intero, in Euro 6.700,00 di cui Euro 5.000,00 per onorari, Euro 1.500,00 per diritti ed Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Pone a carico della ricorrente i 2/3 delle spese del giudizio di cassazione, compensando la restante parte, spese liquidate, nell’intero, in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2012

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