Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con citazione del 18.4.1996 D.P.L. e P.C. ved. D.P., esponendo di essere proprietarie in (OMISSIS) di un immobile il cui terreno di pertinenza confinava ad ovest con altro lotto di terreno nel NCEU f.4 mapp. 121 via (OMISSIS), ove da qualche tempo era insediato un cantiere edile che sin dal 1993 aveva posto in essere costruzioni; che il mappale 121 era destinato a zona di ristrutturazione edilizia e le nuove costruzioni dovevano rispettare la distanza tra fabbricati non inferiore a metri sei e a metri 10 per pareti finestrate -, mentre la costruzione era a metri cinque dal confine ed otto dal fabbricato attoreo; che la concessione era stata rilasciata a C.G. e T.M. con la costituzione di un vincolo di inedificabilità, con successiva alienazione a K.I., convenivano quest’ultima per sentirla condannare all’arretramento dell’immobile ed ai danni.
La convenuta chiedeva il rigetto delle domande e chiamava in causa i venditori che deducevano la conformità alla concessione edilizia del grezzo, l’inammissibilità della domanda di manleva e l’infondatezza della domanda attrice.
Previa ctu i con relativo supplemento, il Tribunale di Venezia, con sentenza 1146/2003, condannava la K. ad arretrare l’immobile sino a dieci metri dal fabbricato attoreo, ai danni in euro 9500 equitativamente, oltre interessi e spese, disponendo con ordinanza per la prosecuzione del processo concernente la garanzia.
Proponevano appelli distinti, poi riuniti, sia la K. che i C. – T.; le appellate svolgevano appello incidentale e la Corte di appello di Venezia, con sentenza 2237/09, respingeva gli appelli, condannando gli appellanti principali alle spese, sul presupposto che l’inderogabile distanza di dieci metri vincola anche i Comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici, avendo carattere assoluto risultante da fonte statuale sovraordinata, donde la corretta disapplicazione della norma di PRG, posto che lo strumento urbanistico può prevedere distanze uguali o maggiori rispetto alla disciplina statale.
Anche la condanna ai danni era corretta, discendendo direttamente dall’art. 872 c.c. ed essendo il danno in re ipsa.
Ricorrono, con distinti atti, C. e T. con sei motivi, illustrati da memoria, e Vi.Al., E., G., R., M., P., A.E., A.E., il primo quale marito e gli altri quali figli della defunta K. I., con sei motivi; resistono le controparti.
Motivi della decisione
Col primo motivo del ricorso dei C. – T. si denunzia violazione degli artt. 872, 873 c.c., D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, comma 1, n. 2, L. n. 765 del 1967, art. 17, in relazione all’art. 63 NTA PRG Venezia e del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, comma 4, in relazione alla L.R. Veneto n. 61 del 1995 e successive modifiche, essendo possibile l’edificazione a m. 8 tra pareti di edifici antistanti di cui una finestrata.
Col secondo motivo si deduce violazione delle stesse fonti normative criticando le ultime righe della sentenza impugnata a pagina 18 circa l’insufficienza di una deroga alle distanze attuata con una semplice schedatura degli edifici.
Col terzo motivo si lamenta violazione; delle stesse fonti, dell’art. 2909 c.c. ed il difetto di giurisdizione per l’erronea applicazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, comma 1, n. 2, comunque, definito uno dei sistemi portanti della legislazione urbanistica.
Col quarto motivo si deduce violazione dell’art. 11 preleggi e delle norme sopra richiamate per essere il fabbricato anteriore al 1965.
Col quinto motivo si lamenta violazione degli artt. 1484, 2909 c.c., art. 329 c.p.c., art. 1491 c.c., omessa motivazione circa l’ammissibilità della domanda di manleva e si deduce che la sentenza ha affermato che la manleva rispetto alla condanna al risarcimento del danno va configurata come domanda ex art. 1489 c.c. e va rigettata, statuizione non impugnata dalla K..
Col sesto motivo si deducono vizi di motivazione in ordine alla rifusione delle spese da parte dei chiamati.
Il primo motivo del ricorso V. è in parte identico al primo del ricorso sopra indicato ed in più lamenta la violazione dell’art. 2909 c.c., ed il difetto di giurisdizione; il secondo genericamente denunzia violazione degli artt. 872, 873 c.c. e vizi di motivazione, il terzo delle stesse norme, del D.M. n. 1444 del 1968, della L. n. 765 del 1967, art. 17 e dell’art. 63 NTA PRG, il quarto delle stesse norme del cc in relazione alla variante al PRG, il quinto delle stesse norme del cc e vizi di motivazione ed il sesto riguarda le spese.
Tutte le doglianze relative ai primi quattro motivi del ricorso C. – T. ed ai primi cinque motivi del ricorso V. ripropongono le tesi già affrontate e delibate dalla sentenza impugnata circa l’assoluta inderogabilità delle distanze previste dalla normativa statuale che può essere integrata dagli strumenti urbanistici prevedendo distanze maggiori; nè può essere sottaciuto che l’azione è stata incoata rispetto a costruzione assentita con concessione del 1993, per cui ogni tentativo di introdurre argomenti diversi ratione temporis appare improponibile, tanto più che la sentenza, a pagina venticinque, deduce che già nel 1990 il Comune fosse obbligato a conformarsi alla norma statuale in sede di approvazione di una variante del previgente PRG e ricorda che il TAR Veneto, con sentenza n. 2291 del 30.7.2001, confermata dal Consiglio di Stato con decisione n. 3931 del 12.7.2002, annullò la norma delle NTA della variante per la terraferma perchè contrastante con la disciplina sovraordinata del D.M. n. 1444 del 1968.
I fatti rimangono cristallizzati agli accertamenti operati in sentenza, senza possibilità di applicare deroghe.
La decisione impugnata, con ampia ed articolata motivazione, ha esaminato tutti i motivi di gravame degli odierni ricorrenti, qui sostanzialmente riproposti, confermando che l’inderogabile distanza di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i Comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici, donde la corretta disapplicazione della norma di PRG da parte del Tribunale, potendo lo strumento urbanistico prevedere soltanto distanze uguali o maggiori rispetto a quelle fissate inderogabilmente dalla sovraordinata disciplina statale.
La quinta doglianza del ricorso C. – T. non chiarisce l’interesse concreto ed attuale alla censura, stante anche il dedotto giudicato su un capo della sentenza.
La decisione impugnata, a pagina ventotto, ha già rilevato l’inammissibilità in rito, sotto il profilo della carenza di interesse, prima ancora dell’infondatezza nel merito delle censure, perchè la sentenza di primo grado aveva condannato al risarcimento del danno ed alla rifusione delle spese soltanto la convenuta K. e non già i terzi chiamati in manie va C. e T., mentre la domanda che la convenuta aveva azionato nei loro confronti era stata rigettata nel merito, quanto al risarcimento del danno, ed ammessa soltanto per la parte riconducibile alla responsabilità per evizione discendente dalla condanna all’arretramento del fabbricato, rettamente qualificata come domanda di garanzia ex art. 1484 c.c. (salva la successiva quantificazione in prosieguo di lite), dovuta al compratore a prescindere dalla colpa del venditore, che non poteva, comunque, ignorare le cogenti disposizioni di legge in materia.
Il sesto motivo di entrambi i ricorsi riguarda le spese che seguono la soccombenza.
In definitiva i ricorsi vanno rigettati, con condanna alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido alle spese, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre accessori.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.