Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-03-2012, n. 4058 Pensione di inabilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’INPS proponeva appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale del lavoro di Crotone il 28.2.2006 con la quale era stato dichiarato il diritto degli eredi di Sc.An. a percepire i ratei della pensione di inabilità dal 1.1.1994 al 20.6.1996; proponevano appello incidentale anche i detti eredi chiedendo il riconoscimento del diritto a percepire i ratei spettanti al de cuius della pensione di inabilità e dell’indennità di accompagnamento anche per il periodo successivo a quello riconosciuto in prime cure. La Corte di appello rigettava l’appello incidentale ed accoglieva quello dell’INPS in quanto accertava che non era stata proposta domanda per la pensione di inabilità, e che non risultava offerta la prova della sussistenza del requisito reddituale. Circa il chiesto riconoscimento dei ratei relativi all’indennità di accompagnamento per il periodo successivo al 20.6.1996 e sino al decesso la Corte territoriale rilavava che mancava ogni documentazione sanitaria per verificare lo stato patologico successivo al Giugno 1996 e che il CTU aveva, sia pure con motivazione sintetica, confermato il giudizio espresso a suo tempo dalla Commissione medica anche per il periodo successivo alla visita.

Ricorrono gli eredi dello S. con tre motivi, resiste l’INPS con controricorso; le parti hanno presentato memorie difensive.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si allega la violazione della L. n. 118 del 1971, art. 12 e della L. n. 18 del 1980, art. 1. La domanda relativa alla pensione di inabilità deve intendersi come implicitamente compresa in quella per la concessione dell’indennità di accompagnamento, posto che la L. n. 18 del 1980, art. 1 rinvia alla L. n. 118 del 1971, art. 12.

Il motivo è palesemente infondato posto che le due indennità hanno differenti finalità e diversi presupposti per cui non si vede come la domanda per ottenere l’indennità possa assorbire anche quella per la pensione di inabilità. Deve anche osservarsi che la Corte di appello ha rigettato la seconda domanda per difetto di documentazione in ordine al requisito reddituale, ragione in sè autonoma e sufficiente al rigetto della domanda e come tale non impugnata.

Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge e la carenza motivazionale della sentenza impugnata in quanto nel ricorso introduttivo si era comunque chiesto il riconoscimento dell’invalidità pari al 100% e il Giudice aveva disposto CTU su tale elemento, senza eccezioni da parte dell’INPS. Il motivo è infondato non solo perchè dalla stessa esposizione del motivo non emerge che sia mai stata proposta una domanda per il riconoscimento della pensione, ma anche perchè, come già detto, emerge dalla sentenza impugnata, che non è stato dimostrato il requisito reddituale, presupposto per l’attribuzione del diritto in parola. Circa la possibilità di una autorizzazione alla modifica della domanda, neppure parte ricorrente deduce di averla richiesta al Giudice. Con il terzo motivo si deduce la violazione di legge e la carenza motivazionale della sentenza impugnata in ordine al rigetto delle richieste per il periodo successivo al Giugno 2006; le malattie accertate erano quelle già riscontrate dalla Commissione medica e riscontrate anche dal CTU per cui non potevano essere negate per il periodo successivo alla visita effettuata presso la Commissione.

Anche quest’ultimo motivo appare infondato per genericità non offrendo alcuna dimostrazione con richiami agli accertamenti medici espletati per dimostrare che le malattie sofferte dal ricorrente siano perdurate anche dopo il Giugno del 2006, circostanza esclusa dal CTU e dalla Corte di appello anche sulla base della carenza assoluta di documentazione medica riguardante il periodo dal giugno 2006 sino al decesso. Si tratta di censure di merito, inammissibili in questa sede e prive di qualsiasi riferimento concreto agli atti di causa.

Si deve pertanto rigettare il ricorso; le spese di lite del giudizio di legittimità seguono la soccombenza in quanto la dichiarazione per ottenere l’esenzione dalla spese (il ricorso introduttivo è del 2004) non è firmata dai ricorrenti, cosi come non era firmata quella del ricorso di primo grado.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’INPS liquidate in Euro 20 per esborsi ed in Euro 1.350,00 per onorari da avvocato oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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