Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-03-2012, n. 4050 Retribuzione pensionabile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

N.G., operaia agricola a tempo determinato e titolare di pensione di vecchiaia, domandava al Tribunale di Brindisi il riconoscimento del diritto alla riliquidazione della pensione mediante l’utilizzazione delle retribuzioni giornaliere medie per gli operai agricoli a tempo determinato, come fissate per gli anni precedenti il pensionamento con i decreti ministeriali pubblicati nell’anno immediatamente successivo, con gli accessori relativi alle differenze sul trattamento corrisposto dall’INPS. Precisava anche che non doveva farsi applicazione del D.Lgs. n. 146 del 1997, art. 4 sull’utilizzazione per gli anni dal 1998 in poi del salario medio convenzionale del 1996 fino al superamento del medesimo da quello stabilito nelle singole province, per le singole qualifiche, dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative, sostenendo che tale disposizione riguardava solo le prestazioni temporanee. L’istituto di previdenza resisteva alla domanda e il Tribunale la rigettava.

La Corte d’appello di Lecce riformava tale decisione (sentenza 7 gennaio 2008), dichiarando il diritto della N. alla riliquidazione della pensione attraverso l’utilizzo delle retribuzioni medie giornaliere per gli operai agricoli a tempo determinato relative ai cinque anni precedenti il pensionamento, come rilevate, del D.P.R. n. 488 del 1968, ex art. 28 con i decreti ministeriali pubblicati, per ciascuno dei predetti anni, nell’anno immediatamente successivo, e condannava l’INPS al pagamento dei ratei differenziali di pensione, oltre a interessi e rivalutazione nei limiti di cui alla L. n. 412 del 1991, art. 16.

Per la corte territoriale, il sistema di calcolo adottato dall’Istituto (che individuava la retribuzione pensionabile in base al salario medio convenzionale rilevato annualmente nella provincia di Brindisi mediante gli appositi decreti ministeriali, previsti dall’art. 28 cit., relativi agli ultimi cinque anni prima del pensionamento, senza tener conto che in ciascuno di tali decreti si veniva a determinare il salario dell’anno precedente, e non anche di quello in corso) si fondava, erroneamente, sull’applicazione della L. n. 457 del 1972, art. 3 interpretato autenticamente dalla L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 21, facente riferimento alle sole prestazioni temporanee e non anche al trattamento di pensione.

Analogamente detta Corte riteneva il D.Lgs. n. 146 del 1997, art. 4 non applicabile al trattamento pensionistico.

L’INPS propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.

La pensionata ha resistito con controricorso.

Memorie di entrambe le parti.

Motivi della decisione

1. Il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 488 del 1968, artt. 5 e 28 della L. n. 457 del 1972, art. 3 della L:

n. 144 del 1999, art. 45, comma 21, D.Lgs. n. 146 del 1997, art. 4.

Si sostiene che la lettura combinata delle citate disposizioni con la norma di interpretazione autentica di cui alla L. n. 144 del 1999 depone nel senso di una voluntas legis intesa a ridefinire il sistema pensionistico previsto per i lavoratori agricoli discostandosi, in ragione della peculiarità del settore, dai canoni generali, prevedendo, in particolare, un’unica base per contributi e prestazioni, ivi comprese le pensioni (base costituita dai decreti presidenziali dell’anno di riferimento, registranti i salari medi convenzionali dell’anno precedente). L’opposta tesi creerebbe un vulnus alla circolarltà tra prestazioni e contribuzioni e, d’altra parte, la mancanza del requisito della corrispondenza della retribuzione convenzionale utilizzata ai fini previdenziali con il salario reale non è estranea alla disciplina del sistema pensionistico in relazione ai lavoratori agricoli ( D.P.R. n. 488 del 1968, art. 28). Inoltre l’erogazione delle pensioni potrebbe essere tempestiva solo se il calcolo venisse ancorato alle retribuzioni medie dell’anno precedente. Si deduce anche specificamente l’esigenza di rispettare anche ai fini pensionistici il principio di cui al D.Lgs. n. 146 del 1997, art. 4 sulla omogeneità dei criteri di individuazione della retribuzione sia ai fini della contribuzione che delle prestazioni.

2. Il ricorso merita accoglimento..

Come ricorda anche il ricorrente, questa Corte ha rimeditato il precedente orientamento espresso con la sentenza n. 2377 del 5 febbraio 2007, affermando, nella sue più recenti decisioni (Cass. 30 gennaio 2009 n. 2531; Cass. 3 febbraio 2009 n. 2596; Cass. 23 febbraio 2009 n. 4355), il seguente principio di diritto "In tema di pensione di vecchiaia degli operai agricoli a tempo determinato, la retribuzione pensionabile per gli ultimi anni di lavoro va calcolata applicando il D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 28 e, dunque, in forza della determinazione operata anno per anno dai D.M. sulla media delle retribuzioni fissate dalla contrattazione provinciale nell’anno precedente, ciò trovando conferma – oltre che nella impossibilità di rinvenire un diverso e più funzionale sistema di calcolo, che non pregiudichi l’equilibrio stesso della gestione previdenziale di settore – anche nella disposizione di cui alla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 45, comma 21, che, nell’interpretare autenticamente la L. 8 agosto 1972, n. 457, art. 3 concernente le prestazioni temporanee in favore dei lavoratori agricoli, ha inteso estendere ai lavoratori agricoli a tempo determinato l’applicazione della media della retribuzione prevista dai contratti collettivi provinciali vigenti al 30 ottobre dell’anno precedente prevista per i salariati fissi, così da ricondurre l’intero sistema ad uniformità, facendo operare, ai fini del calcolo di tutte le prestazioni, le retribuzioni dell’anno precedente". 3. Il significato di quest’ultima disposizione, così come ricostruito dalla giurisprudenza sopra richiamata, è il medesimo esplicitato dallo ius superveniens costituito dalla norma – dichiaratamente di interpretazione autentica – contenuta nella L. n. 191 del 2009, art. 2, comma 5 (Finanziaria 2010), del seguente tenore "La L. 8 agosto 1972, n. 457, art. 3, comma 3 si interpreta nel senso che il termine ivi previsto del 30 ottobre per la rilevazione della media tra le retribuzioni per le diverse qualifiche previste dai contratti collettivi provinciali di lavoro ai fini della determinazione della retribuzione media convenzionale da porre a base per le prestazioni pensionistiche e per il calcolo della contribuzione degli operai agricoli a tempo determinato è il medesimo di quello previsto alla citata L. n. 457 del 1972, art. 3,.

Comma 2 per gli operai a tempo indeterminato". 4. Investita da varie censure di illegittimità costituzionale, la norma interpretativa è stata oggetto della recente sentenza n. 257 del 2011 della Corte costituzionale, che le ha ritenute non fondate (in particolare con riferimento agli artt. 111 e 117 Cost., il contrasto con i quali era stato denunciato in relazione alla portata precettiva degli artt. 6 e 14 CEDU, come interpretati dalla Corte di Strasburgo) premettendo come, di fronte a una norma che si dichiari di interpretazione autentica, non sia decisivo verificare la stessa abbia carattere effettivamente interpretativo ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva (dovendosene solo verificare la ragionevolezza e la non contrarietà con altri valori e interessi costituzionalmente protetti) ed osservando, quindi, con specifico riferimento alla norma censurata, che non ne appare irragionevole la finalità, in quanto diretta a ricondurre il sistema ad una disciplina uniforme per gli operai agricoli a tempo determinato e per quelli a tempo indeterminato, utilizzando come parametro, ai fini del calcolo di tutte le prestazioni, siano esse di carattere temporaneo ovvero di durata, la media salariale convenzionale riferita all’anno precedente rispetto a quello di effettivo svolgimento dell’attività lavorativa.

5. Deve rilevarsi infine l’infondatezza della tesi sostenuta con la domanda introduttiva e recepita dal giudice di appello, della inapplicabilità con riferimento alla determinazione della retribuzione pensionabile della norma di cui al D.Lgs. n. 146 del 1997, art. 4 (ora trasfusa nella L. n. 151 del 2001, art. 63, comma 6, sulla tutela della maternità e della paternità nei rapporti di lavoro). Al riguardo deve rilevarsi che, nel quadro degli esposti criteri interpretativi – improntati alla esigenza di salvaguardare la complessiva coerenza del sistema – della disciplina di determinazione della retribuzione rilevante ai fini della contribuzione e dei vari tipi di prestazione nell’ambito del settore del lavoro agricolo, risulta evidentemente contingente e non determinante il riferimento specifico, nella disposizione in questione, alle prestazioni temporanee, oltre che alla contribuzione. Tale criterio interpretativo, del resto, ha trovato espressa conferma nella disposizione di interpretazione autentica di cui alla L. n. 191 del 2009, art. 1, comma 153, secondo cui "L’art. 63, comma 6, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità , di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, si interpreta nel senso che il valore del salario medio convenzionale, da definire secondo le modalità stabilite nello stesso comma, ai fini della contribuzione, è il medesimo di quello che deve essere utilizzato per la determinazione della retribuzione pensionabile ai fini del calcolo delle prestazioni previdenziali".

Può peraltro anche rilevarsi, al riguardo, che l’efficacia della norma transitoria in questione con riferimento ad ogni tipo di prestazione è desumibile anche dal fatto che in realtà si tratta di norma diretta a garantire lavoratori, rimandando l’applicabilità del riferimento a retribuzioni differenziate a seconda della qualifiche al momento in cui la contrattazione collettiva avesse portato la retribuzione della singola qualifica a un livello almeno pari a quella della retribuzione convenzionale media precedentemente applicabile.

6. La tesi interpretativa proposta nella memoria della controricorrente (riferimento alla maggiore retribuzione eventualmente stabilita dai contratti collettivi vigenti al 30 ottobre di ciascun anno con decorrenza dal 1 gennaio successivo) risulta palesemente incompatibile con l’esposto quadro normativo e interpretativo.

7. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il rigetto della domanda (basata su contestazioni infondate ai criteri di liquidazione della pensione seguiti dall’Inps).

8. Giustifica la compensazione fra le parti delle spese dell’intero giudizio ( art. 92 c.p.c.) la problematicità delle questioni dibattute, tali da aver determinato gli interventi legislativi e costituzionali di cui ai provvedimenti sopra richiamati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda. Compensa fra le parti le spese dell’intero processo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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