Cass. civ. Sez. V, Sent., 14-03-2012, n. 4023

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Svolgimento del processo

La CTR della Liguria, con sentenza n. 60/11/07 depositata il 21.6.2007, confermando la decisione della CTP di Genova, ha annullato l’avviso di accertamento e rettifica relativo alla dichiarazione d’importazione di glifosato proveniente dall’India effettuata dalla S.p.A. Agrimport, ritenendo che: 1) la merce era accompagnata da regolare certificato FORM-A dell’Autorità Indiana, che aveva successivamente confermato tale provenienza; 2) incombeva alla Dogana la prova della falsità di tale documentazione e la provenienza della merce dalla Cina, prova che non era stata assolta, avendo l’Agenzia revocato il beneficio sulla base di una generica comunicazione dell’Autorità Comunitaria.

Per la cassazione di tale sentenza, l’Agenzia delle Dogane ha proposto ricorso, sulla scorta di quattro motivi, successivamente illustrati da memoria. L’intimata ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Va, anzitutto, rilevato che, prima della relazione di cui all’art. 379 c.p.c., è stata depositata istanza di trattazione del ricorso, a firma dell’Avvocato dello Stato, presente in udienza. Tale istanza implica valida manifestazione della persistenza dell’interesse alla trattazione del ricorso ai sensi della L. n. 183 del 2011, art. 26 come modificato dal D.L. n. 212 del 2011, art. 14 secondo il quale, nei procedimenti civili pendenti davanti alla Corte di cassazione aventi ad oggetto ricorsi avverso le pronunce pubblicate, come nella specie, prima del 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, ovvero per quelli pendenti davanti alle Corti d’appello da oltre tre anni: "le impugnazioni si intendono rinunciate se nessuna delle parti, con istanza sottoscritta personalmente dalla parte che ha conferito la procura alle liti e autenticata dal difensore, dichiara la persistenza dell’interesse alla loro trattazione entro il termine perentorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge" (1.1.2012). In base a tale disposizione, le parti devono, dunque, affermare di essere ancora interessate alla decisione di controversie ormai vetuste, e perciò non più rispondenti, in tesi, ad un loro interesse effettivo ed attuale, viceversa presunto per i ricorsi, più recenti, soggetti alla disciplina legislativa di cui alla L. n. 69 del 2009. La norma, come confermato dal suo stesso titolo "Misure straordinarie per la riduzione del contenzioso civile pendente davanti alla Corte di cassazione e alle corti di appello", risulta emessa con finalità deflattive del contenzioso più vecchio, finalità che vengono perseguite mediante la valutazione, in termini di rinuncia, dell’inerzia di entrambe le parti, e la previsione della conseguente estinzione del giudizio, da dichiararsi mediante la spedita forma del "decreto presidenziale". 2. Per evitare tale declaratoria, la disposizione impone il compimento di un atto d’impulso processuale, da attuare secondo modalità formali assimilabili a quelle del conferimento della procura speciale di cui all’art. 83 c.p.c., comma 3, essendo prescritto il coinvolgimento personale della parte, onerata di effettuare una sorta di rinnovo della procura – l’istanza deve essere sottoscritta dalla parte che l’ha rilasciata, che può non coincidere col titolare del diritto controverso e deve essere autenticata, e, così, introdotta un’eccezione alla regola generale posta dall’art. 84 c.p.c., secondo la quale il difensore compie e riceve, nell’interesse della parte, tutti gli atti del processo (salvo, appunto, che non siano ad essa espressamente riservati).

3. Così convenendo, quando parte del giudizio è un’Amministrazione che, come nella specie, si avvale della rappresentanza processuale facoltativa dell’Avvocatura dello Stato, qual è quella stabilita per le Agenzie fiscali nel D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 72 la persistenza dell’interesse alla trattazione della causa non può aver luogo secondo le modalità i prescritte dalla norma, essendo applicabile, anche in tali ipotesi, a norma del R.D. n. 1611 del 1933, art. 45 la disposizione dell’art. 1, comma 1, del R.D. cit., secondo cui gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede senza bisogno di ricevere mandato;

pertanto, non è necessario che l’Agenzia rilasci una specifica procura all’Avvocatura medesima, per ogni giudizio (cfr. in termini, Cass. SU n. 23020 del 2005, nonchè Cass. SU n. 10894 del 2001 e n. 484 del 1999). Ne consegue che il meccanismo formale previsto dalla L. n. 183 del 2011, art. 26 che presuppone l’esistenza di una parte che abbia conferito una singola procura ad litem, da reiterare in sede di presentazione dell’istanza, con la sottoscrizione di detta parte e l’autentica del difensore, non può attuarsi e che l’atto d’impulso processuale, richiesto da detta norma, per confermare l’interesse alla decisione e scongiurare il decreto d’estinzione, deve esser posto in essere dall’avvocato dello Stato, quale difensore, in applicazione della regola generale di cui al citato art 84 epe, cosa che, nella specie, si è, appunto, verificata.

4. Coi primo motivo, la ricorrente deduce che, nel porre a carico dell’autorità doganale la prova della falsità della documentazione e della provenienza della merce dalla Cina, la CTR è incorsa nella violazione e falsa applicazione dell’art. 94 del Reg. CEE n. 2454 del 2/7/1993 (Disp. Att. del Cod. Dog. Com.) nonchè degli artt. 2697, 2699 e 2700 c.c., anche in relazione all’art. 45 del reg. CE 515/97 e dei principi generali in materia di onere della prova, in base ai quali, in ipotesi di ragionevole dubbio circa i requisiti del trattamento preferenziale (autenticità dei documenti, carattere originario dei prodotti) può esser richiesto un controllo a posteriori alle autorità del paese d’esportazione, ed in tal caso, la risposta tardiva o che non consenta di determinare l’autenticità del documento o l’effettiva origine dei prodotti comporta il rifiuto del beneficio delle misure tariffarie preferenziali. Tanto, nella specie, si era verificato, non avendo le Autorità doganali indiane dato tempestiva ed esauriente risposta alle richieste formulate dalla dogana nazionale, in ordine alla veridicità del certificato d’importazione FORM A. Inoltre, prosegue la ricorrente, la CTR non ha tenuto conto che il rapporto ispettivo dell’Ufficio Antifrode Centrale, emesso all’esito delle indagini condotte, ha fede privilegiata e costituisce prova sufficiente per dimostrare la sussistenza dei presupposti per l’emissione dell’avviso di rettifica, e che la prova circa i presupposti per godere del trattamento privilegiato invocato è a carico della debitrice.

5. Col secondo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 43 del 1973, artt. 1 e 2, artt. 4, 201 e 202 del Reg. CEE 2913/1992 (Cod Dog Com); 904 punto e) del Reg. CEE n. 2454 del 1993 e dei principi generali in materia di imposizione fiscale delle importazioni. Sostiene la dogana che la CTR non ha considerato che l’obbligazione doganale sorge, a carico del dichiarante (in proprio, ovvero la persona in nome della quale la dichiarazione è fatta), per il solo fatto dell’attraversamento del confine, anche a seguito d’irregolare introduzione di mercè soggetta a dazi all’importazione, sicchè il regime preferenziale invocato, quale eccezione alla regola dell’imposizione daziaria, presuppone che l’effettiva provenienza della merce sia attestata da valido certificato, l’assenza del quale è sufficiente ad escludere il beneficio, anche in presenza della buona fede del debitore, tenuto conto del principio generale di cui all’art. 904, punto c) del Reg. CEE n. 2454 del 1993, secondo cui non si procede al rimborso o allo sgravio dei dazi all’importazione in presenza di certificati d’origine che, come nella specie, risultino inesatti.

6. Col terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 199 del Reg. CEE n. 2454 del 1993, secondo cui incombe all’importatore di assicurarsi che le condizioni necessarie per il conferimento dell’origine preferenziale ad una merce siano state realizzate effettivamente, essendo responsabile delle dichiarazioni fornite e della veridicità dei documenti allegati, e, dunque, anche della dichiarata origine preferenziale della merce.

7. I motivi – tutti muniti di idoneo quesito – che, per la loro connessione, vanno congiuntamente esaminati, sono fondati. A norma dell’art. 201 del Reg. n. 2913 del 1992 l’obbligazione doganale all’importazione sorge, per quanto qui interessa, in seguito all’immissione in libera pratica di una merce soggetta a dazi all’importazione, al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana. Il debitore è il dichiarante, ed, in caso di rappresentanza indiretta è parimenti debitrice la persona per conto della quale è presentata la dichiarazione in dogana. L’art. 202 ribadisce, tra l’altro, che l’obbligazione doganale sorge in seguito all’irregolare introduzione nel territorio doganale della Comunità di una mercè soggetta a dazi all’importazione. I trattamenti agevolativi, che, esentando in tutto od in parte dal pagamento del dazio, si pongono come eccezione rispetto alla regola della generale imponibilità (cfr. Cass. n. 5007 del 2007), possono, quindi, esser riconosciuti solo in quanto soddisfino le condizioni di forma e di sostanza previste dalla legge (cfr. Cass. n. 4771 del 2009; 4797 del 2009; n. 13680 del 2009).

8. In base al sistema delle preferenze generalizzate, concesse dalla Comunità per taluni prodotti originari di paesi in via di sviluppo (art. 67 e segg. del Reg. n. 2454 del 1993) e nel cui ambito si inquadra la fattispecie in esame, la prova dell’origine "preferenziale" della merce deve esser fornita alla dogana d’importazione mediante l’esibizione di apposito certificato FORM A emesso – su richiesta scritta compilata dell’esportatore o del suo rappresentante autorizzato – dalle autorità competenti del Paese di origine del prodotto (art. 80 Reg. cit.). Nel contesto delle misure di cooperazione amministrativa, le autorità del paese di esportazione effettuano un controllo a posteriori dei predetti certificati (oltre che per sondaggio) "quando le autorità doganali della Comunità abbiano ragionevole motivo di dubitare dell’autenticità dei documenti, del carattere originario dei prodotti o dell’osservanza degli altri requisiti". Se entro sei mesi le autorità richieste non rispondono, o rispondono in modo insufficiente, va loro inviata "una seconda comunicazione", decorsi quattro mesi dalla quale, il beneficio delle misure tariffarie preferenziali è rifiutato se "i risultati del controllo non sono comunicati alle autorità richiedenti ovvero essi non consentono di determinare l’autenticità del documento in questione o l’effettiva origine dei prodotti" (art. 94 Reg. n. 2454 del 1993).

9. Si legge nel ricorso, ed è incontroverso, che la richiesta di controllo a posteriori del certificato d’importazione oggetto della rettifica, è avvenuta a seguito dell’informazione pervenuta dall’Ufficio Antifrode Centrale, relativa ad altra importazione, in ambito comunitario (Portogallo) di glifosato dichiarato India "preferenziale", che non poteva beneficiare di tale regime, per l’assenza di trasporto diretto. Nel rapporto ispettivo si evidenziava che "i grandi produttori della zona rimangono l’Indonesia e la Cina" e che la Società esportatrice – la stessa che ha esportato la merce importata dalla controricorrente – "potrebbe far transitare il glifosato cinese attraverso il porto di Bombay …". La ricorrente riferisce, inoltre, per quanto interessa, che i risultati del controllo sono stati comunicati alla dogana richiedente ben oltre la scadenza del termine dei complessivi dieci mesi prevista dall’art. 94 Reg. n. 2454 del 1993. 10. A tale stregua, nell’ annullare la rettifica e nel porre a carico dell’Autorità doganale l’onere di provare che l’origine dichiarata era inesatta, i giudici d’appello, anzitutto, non hanno tenuto conto del dato testuale dell’art. 94 Reg. n. 2454 del 1993, secondo cui il trattamento preferenziale va rifiutato nel caso, qui ricorrente, in cui "i risultati del controllo non sono comunicati alle autorità richiedenti" entro quattro mesi dalla seconda richiesta, e non si sono, inoltre, attenuti alla condivisibile giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 23985 del 2008 ed ord. 4997 del 2009), in base alla quale gli accertamenti compiuti e le risultanze degli atti ispettivi degli organismi antifrode comunitari (mission report) hanno piena valenza probatoria e sono idonei ad esser posti a fondamento dell’avviso di accertamento per il recupero dei dazi sui quali siano state riconosciute esenzioni, spettando al debitore, che contesti il fondamento di tale pretesa, fornire la prova della sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime agevolativo che invoca, e, cioè, della regolarità formale e sostanziale del certificato di origine. Tale indagine non implica, come, invece, opinato dalla controricorrente, il necessario accertamento della falsità, materiale o ideologica del certificato, dato che anche un certificato di origine "ignota", perchè carente della necessaria documentazione, autorizza il recupero a posteriori per indebita concessione del regime preferenziale.

11. Nè è sufficiente, ai fini di escludere il recupero a posteriori, la "buona fede" dell’importatore, che non ha valore esimente "in re ipsa" (cfr. Cass. n. 13680 del 2009, n 7837 del 2010), e ciò in quanto: a) per effetto dell’art. 904, lett. e), del Reg. n. 2454/93, non può procedersi a sgravi o rimborsi all’importazione a seguito della presentazione, anche in buona fede, di certificati falsi, falsificati o irregolari; b) la presentazione in un ufficio doganale di una dichiarazione firmata dal dichiarante o dal suo rappresentante è impegnativa, ai sensi dell’art. 199 del Reg. CE n. 2454 del 1993, per quanto riguarda l’esattezza delle indicazioni riportate nella dichiarazione, l’autenticità dei documenti acclusi e l’osservanza di tutti gli obblighi inerenti al regime considerato; c) vige il principio secondo cui la Comunità non è tenuta a sopportare le conseguenze pregiudizievoli dei comportamenti scorretti dei fornitori degli importatori (sent.

9.3.2006 C – 293/04 Beemsterboer, punto 43; Cass. n. 19195/2006).

12. Il quarto motivo, col quale la ricorrente denuncia vizio di motivazione in relazione alla valutazione comparativa degli elementi probatori offerti dalle parti in ordine all’origine preferenziale della merce ed alle condizioni per l’adozione degli atti impositivi, è inammissibile, non avendo la ricorrente corredato del momento di sintesi il prospettato, plurimo, vizio motivazionale dedotto. Questa Corte, alla stregua della stessa formulazione letterale dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, ha, costantemente, affermato che la censura con cui si deduce il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 deve comprendere, a pena d’inammissibilità, un’illustrazione, che, pur libera da rigidità formali, indichi in modo chiaro e sintetico il fatto controverso, in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende la motivazione inidonea a giustificare la decisione.

13. L’accoglimento dei primi tre motivi comporta la cassazione della sentenza, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, col rigetto del ricorso della debitrice.

14. In considerazione del criterio legale della soccombenza, le spese del giudizio vanno poste a carico della controricorrente ed in favore dell’Agenzia ricorrente, e si liquidano in Euro 400,00 per il primo grado, in Euro 650,00, per il giudizio d’appello ed in Euro 1.500,00, per il presente giudizio di legittimità, oltre a spese prenotate a debito.

P.Q.M.

La Corte, accoglie i motivi primo, secondo e terzo del ricorso, inammissibile il quarto, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio; condanna la resistente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 400,00, per il primo grado, in Euro 650,00, per il giudizio d’appello, ed in Euro 1.500,00, per il presente giudizio di legittimità, oltre a spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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