Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-03-2012, n. 4146

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso ex art. 111 Cost., notificato alle altre parti il 31/3/2006 e il 7/4/2006, la Sicem S.r.l. espone:

– che l’A.T.I., raggruppamento d’imprese formato dalla capogruppo Edilizia Ligure ed essa deducente, era rimasta aggiudicataria di un appalto;

che, in pendenza di trattative per dirimere difficoltà insorte tra le parti in ordine alle spese ed alle anticipazioni occorse per la realizzazione dell’opera, la Edilizia Ligure l’aveva convenuta innanzi al tribunale di La Spezia "per accertare e dichiarare che i conti inerenti l’A.T.I. per cui è causa si sono consensualmente conclusi e, in via subordinata, riconoscere il risarcimento del danno in misura da accertare";

– che essa deducente, costituendosi, aveva sollevato eccezioni e proposto domanda riconvenzionale per il pagamento della somma di L. 41.708.956 dovutale in base ai conteggi prodotti;

– che il giudice istruttore aveva disposto consulenza tecnica d’ufficio nominando il rag. R.C. al quale aveva posto i seguenti quesiti 1) "dica, esaminati gli atti di causa ed assunte le informazioni necessarie …, se alla Edilizia Ligure siano derivati maggiori oneri dal complesso di comportamenti addebitati alla Sicem ed in caso affermativo li quantifichi" e 2) "rilevi inoltre rilevanza e compatibilità dei rispettivi costi e partite procedendo quindi ad ipotesi di ripartizione ed attribuzione della somma accertando se Sicem abbia o meno sopportato maggiori spese ed in caso affermativo le quantifichi";

– che il consulente tecnico d’ufficio, depositando la relazione, aveva chiesto che gli fosse riconosciuto un compenso di L. 46.090.000 delle quali L. 3.048.000 per spese e compenso dell’ausiliario;

che il giudice istruttore aveva liquidato L. 35.000.000;

– che, a seguito di reclamo proposto da essa deducente, il collegio, con provvedimento 29.3.01, aveva riliquidato il compenso, D.P.R. n. 352 del 1988, ex art. 2 e L. n. 319 del 1980, ex art. 5, nella minor misura di L. 18.000.000 ed accessori;

– che essa deducente aveva impugnato per Cassazione il provvedimento;

– che R.C. aveva resistito e aveva proposto ricorso incidentale;

– che con sentenza n. 14370/04 questa Corte aveva accolto il ricorso principale e rigettato quello incidentale rinviando, anche per le spese, ad altra sezione del Tribunale di La Spezia;

– che il Tribunale di La Spezia aveva liquidato al R. Euro 7.110,58 a titolo di onorari e spese, compensando per metà le spese del giudizio di Cassazione e ponendo la residua metà a carico del R..

Tanto premesso, La Sicem impugna per Cassazione il detto provvedimento formulando quattro motivi di censura; la ricorrente ha depositato istanza di trattazione.

Il R. e la Edilizia Ligure non svolgono attività difensive.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c. nonchè del D.P.R. n. 352 del 1988, artt. 2 e 5; la ricorrente lamenta che, in violazione dell’obbligo di conformarsi a quanto statuito da questa Corte, il giudice di rinvio:

– non avrebbe applicato la distinzione per la quale la liquidazione ad onorario fisso di cui al citato art. 5 è dovuta per le attività di mero controllo, verifica e riscontro di atti formali già esistenti e di dati già acquisiti ovvero ad attività consistenti in semplici operazioni di contabilizzazione sulla base di dati già acquisiti o di facile acquisizione e la liquidazione ad onorario variabile (a percentuale) di cui al citato art. 2 è dovuta per le attività che prescindano dall’esistenza di atti e dati già acquisiti, id est per attività ricostruttive e valutative da effettuarsi sulla base di complessi accertamenti previa acquisizione degli indispensabili elementi di giudizio; – non avrebbe tenuto in considerazione che questa Corte aveva rilevato come, dalle prospettazioni del ricorrente, sembrava potesse arguirsi "che al consulente tecnico d’ufficio fosse stata demandata la ricostruzione, previe analisi della documentazione relativa all’esecuzione dei lavori ed individuazione in base ad essa dell’impresa che vi avesse effettivamente provveduto, delle partite a debito ed a credito di ciascuna delle parti in relazione alle rispettive percentuali di partecipazione al contratto d’appalto. Incarico siffatto… non rientrerebbe, come per contro asserito dal giudice a quo, nella previsione del D.P.R. n. 352 del 1988, art. 2, …mentre non avrebbe comportato altresì un’attività di verifica e riscontro delle operazioni contabili in funzione anche valutativa della regolarità delle operazioni stesse…";

– non avrebbe considerato che nell’elaborato peritale non esiste traccia di attività valutativa, esclusa anche dal tenore del quesito.

2. Il motivo è totalmente infondato.

Non sussiste la violazione dell’obbligo del giudice del rinvio di conformarsi alla statuizione di questa Corte perchè il Tribunale, richiamando il criterio distintivo individuato da questa Corte per la liquidazione a onorario fisso dell’art. 5 o a onorario variabile dell’art. 2, ha, appunto, rilevato che il CTU aveva svolto una disamina critico-valutativa dei costi, valutandone la compatibilità e ricostruendo il numero delle ore lavorate, tanto da doversi avvalere dell’ausilio di un geometra ed anzi aveva proprio dovuto svolgere una attività di ricostruzione delle varie voci di costo esposte dalla SICEM, posto che questa non aveva fornito documentazione al riguardo. Appare dunque evidente che il giudice del rinvio ha applicato correttamente il criterio distintivo indicato da questa Corte.

Gli ulteriori profili di censura riguardano il contenuto dell’incarico conferito con riferimento alle indicazioni ritraibili dalla sentenza che ha cassato il primo provvedimento e con riferimento alla formulazione dei quesiti che la ricorrente trascrive nell’odierno ricorso.

Anche questi ulteriori profili sono del tutto infondati.

La Corte non ha stabilito che l’incarico non fosse di tipo valutativo, ma ha semplicemente osservato che, sulla base delle prospettazioni della ricorrente poteva arguirsi che con l’incarico non sarebbe stata richiesta un’attività di verifica e riscontro delle operazioni contabili in funzione anche valutativa della regolarità delle operazioni stesse.

Si deve tuttavia osservare che il giudice di rinvio, ovviamente, non era tenuto a riferirsi alla "prospettazioni della ricorrente", ma doveva valutare, in concreto, quale fosse stato il contenuto dell’incarico che ha, seppure implicitamente, ritenuto non limitato ad una mera ricostruzione contabile, tanto più che una mera ricostruzione contabile, mancando i dati che la SICEM non aveva forniti (e di ciò si da atto nell’ordinanza impugnata), non ne avrebbe consentito l’espletamento.

Nè può sostenersi, dall’esame dei quesiti, come riprodotti in ricorso, che il quesito su rilevanza e compatibilità dei costi richieda una mera attività di contabilizzazione di dati già acquisiti.

3. Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo la violazione dell’obbligo di motivare e il vizio di motivazione con riferimento all’applicazione del D.P.R. n. 352 del 1988, artt. 2 e 5 e all’applicazione dell’aumento degli onorari di cui alla L. n. 319 del 1980, art. 5 lamenta, in sintesi:

a) che la motivazione del Tribunale sarebbe solo apparente avendo preso in considerazione l’elaborato peritale piuttosto che i quesiti posti dal giudice così che avrebbe operato una liquidazione al CTU sulla base dell’attività ritenuta svolta (peraltro erroneamente), invece che sulla base dell’incarico conferito;

b) che la motivazione sarebbe insufficiente e contraddittoria perchè non adeguatamente motivata circa l’ambito dell’incarico conferito e non congrua nel riferimento alla mancata produzione, da parte di SICEM, della documentazione richiesta perchè la richiesta del CTU di produzione di ulteriore documentazione era illegittima per violazione delle preclusioni dell’art. 184 c.p.c. in quanto la documentazione era già stata prodotta ai sensi della citata norma; infine, il riferimento alla sentenza conclusiva del giudizio, non esibita dalle parti non avrebbe dovuto essere inserito in motivazione; costituisce argomento ad colorandum che incide sul fondamento della motivazione;

c) che senza motivazione e comunque con motivazione insufficiente sarebbe stato applicato l’aumento di 1/5 degli onorari per la difficoltà del quesìto formulato che il riferimento alla mole dei documenti esaminati doveva invece confermare che l’attività non prescìndeva dall’esistenza di atti e documenti già acquisiti.

4. La censura sub a)(mancata considerazione dei quesiti rivolti al CTU) è infondata in quanto muove da un assunto indimostrato, ossia che il CTU abbia travalicato i limiti dell’indagine richiesta, mentre, dall’esame dei quesiti formulati dal giudice, come riportati nell’odierno ricorso si evince, come già riferito al punto 2, che era stata proprio richiesta una valutazione critica dei dati raccolti e da raccogliere così che, in mancanza di argomenti contrari a quelli desumibili dal contenuto del quesito la censura inammissibile per difetto di rilevanza. La censura sub b) è infondata per quanto attiene la dedotta mancanza di motivazione sull’ambito dell’incarico conferito per il motivi già esposti al precedente punto 2 (il Tribunale ha in concreto valutato quale fosse il contenuto dell’incarico); la censura è altresì inammissibile in quanto non risulta che sia mai stata dedotta, nel giudizio di merito, l’esorbitanza dell’indagine rispetto ai quesiti formulati. Per quanto riguarda la dedotta incongruità del riferimento alla mancata produzione, da parte di SICEM, della documentazione richiesta, la censura sembra alludere al principio già affermato da questa Corte (v., in motivazione, Cass. 2/10/2010 n. 24549) secondo il quale il fatto che il CTU nell’esercizio della sua attività valutativa, possa acquisire aliunde elementi necessari per la risposta ai quesiti non significa che egli possa sopperire a carenze probatorie imputabili alla parte, eludendo termini di decadenza propri della fase istruttoria; tuttavia trattasi di censura completamente "fuori tema" perchè nell’ordinanza impugnata non si discute sull’ammissibilità di nuove produzioni, ma sulla necessità, per il CTU, di ricostruire voci di costo. Il riferimento alla sentenza conclusiva del processo è privo di rilievo in quanto non incide sul fondamento della motivazione.

La censura sub c) (relativa all’aumento di 1/5 degli onorari per la difficoltà del quesito formulato) è infondata in quanto il giudice ha espresso e motivato il proprio convincimento sulla base di un criterio, quello relativo alla difficoltà del quesito formulato che non è stato contestato quanto alla sussistenza o meno della dedotta difficoltà e con riferimento alla mole dei documenti (in ciò essendo implicito il riferimento al particolare impegno).

5. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c. e della L. n. 319 del 1980, art. 7 (attualmente la materia è regolata dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 56 che nulla innova per quanto attiene la necessità di preventiva autorizzazione) lamentando che il giudice del rinvio ha ritenuto, sull’erroneo assunto che si fosse formato un giudicato, di liquidare il compenso all’ausiliario del CTU pur riconoscendo che di una liquidazione non v’era traccia in atti e malgrado questa Corte, essendo stata censurata in ricorso la liquidazione con riferimento alla violazione della L. n. 319 del 1980, art. 3, comma 7, avesse statuito che era erronea la liquidazione della spesa per l’ausiliario in quanto non risultava la prescritta e preventiva autorizzazione.

6. Il motivo è infondato.

Questa Corte, con la sentenza di annullamento con rinvio, si era espressa nei seguenti testuali termini: "Erronea è, infine, la liquidazione da parte del Giudice a quo della spesa per l’utilizzazione d’un ausiliare, dacchè tale spesa, della L. n. 319 del 1980, ex art. 7, può essere riconosciuta solo ove il ricorso all’ausiliare sia stato espressamente autorizzato dal giudice per lo svolgimento d’attività motivatamente ritenute necessarie e strumentali, rispetto a quella del consulente tecnico d’ufficio, ai fini della risposta ai quesiti posti con l’incarico, autorizzazione alla quale nell’impugnato provvedimento non è fatto riferimento alcuno".

Nell’ordinanza pronunciata dal giudice di rinvio e qui impugnata si fa riferimento all’autorizzazione affermandosi:

– che nella CTU "si fa esplicito riferimento a tale provvedimento giudiziale" del quale, peraltro, non v’ è traccia in atti;

– che la mancanza di autorizzazione non era indicata tra i motivi di impugnazione del provvedimento e pertanto si sarebbe formato il giudicato.

La motivazione pertanto si conforma alla statuizione di questa Corte in quanto affronta il tema della presenza o della mancanza dell’autorizzazione per affermare che nella stessa CTU è fatto espresso riferimento all’autorizzazione, peraltro non reperita in atti (al mancato reperimento deve intendersi riferita l’affermazione secondo la quale dell’autorizzazione non v’ è traccia in atti perchè fa seguito al riconoscimento che nella consulenza si fa esplicito riferimento all’autorizzazione) e conclude per l’irrilevanza del mancato reperimento dell’autorizzazione perchè si è formato un giudicato sull’esistenza dell’autorizzazione in quanto mai era stata contestata l’esistenza dell’autorizzazione, neppure con il ricorso per cassazione; in sostanza, il giudice del rinvio ha tenuto conto del "decisum" della Cassazione e ha motivato sulla base di elementi logico-inferenziali. In conclusione, non sussiste la denunciata violazione di legge e neppure è denunciato un vizio di motivazione. Occorre aggiungere, per completezza di motivazione, che il provvedimento impugnato è stato pubblicato il 28/1/2006 e pertanto al ricorso per cassazione avverso il provvedimento, ai sensi del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2, non si applica la modifica apportata dal suddetto decreto all’art. 360 c.p.c., per effetto della quale è stato reso possibile proporre ricorso per cassazione contro provvedimenti diversi dalle sentenze anche per denunciare inadeguatezza, insufficienza o contraddittorietà della motivazione; tale possibilità, secondo la normativa applicabile, ratione temporis, anche a questo ricorso, era ammessa solo per carenza assoluta o assoluta illogicità o incomprensibilità della motivazione (cfr. Cass. S.U. 16/5/1992 n. 5888, Cass. 28/8/2006 n. 18627; Cass. 22/5/2006 n. 11938) in quanto integrante la violazione dell’obbligo di motivazione del provvedimento, ma, per le ragioni già esposte, tale violazione non sussiste.

7. Con il quarto motivo, così formalmente rubricato "violazione e falsa applicazione dell’art. 385 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3", la ricorrente deduce che questa Corte non avrebbe rimesso al giudice del merito la facoltà di compensare o meno le spese del giudizio di Cassazione e del giudizio di rinvio, ma semplicemente di valutare le diverse voci tariffarie; il giudice del merito avrebbe, quindi, errato nel compensare, seppure parzialmente le spese che, invece, avrebbero dovuto essere poste totalmente a carico di parte avversa.

8. Il motivo è infondato in quanto presuppone che la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione e del giudizio di rinvio debbano essere liquidate sulla base del risultato del giudizio di Cassazione e del giudizio di rinvio; invece questa Corte ha già ripetutamente affermato il principio, che qui si condivide, per il quale "nell’ipotesi di cassazione della sentenza, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, deve attenersi al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio e al loro risultato, con la conseguenza che la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione e tuttavia soccombente in rapporto all’esito finale della lite, può essere legittimamente condannata al rimborso delle spese in favore dell’altra parte anche per il grado di cassazione" (Cass. 7/2/2007 n. 2634; Cass. 17/6/2010 n. 1469).

Nella fattispecie, la ricorrente è risultata soccombente con riferimento all’individuazione del criterio di liquidazione applicabile, al compenso all’ausiliario del CTU e, in parte, quanto alla maggiorazione per la difficoltà dell’incarico; sulla base di questa parziale soccombenza il giudice del rinvio ha legittimamente ritenuto (in conformità al principio per il quale nella liquidazione delle spese occorre avere riguardo all’esito globale del processo) di compensare per il 50% le spese del giudizio di Cassazione e quelle del giudizio di rinvio ponendo il restante 50% a carico della parte ritenuta prevalentemente soccombente (tenuto conto del ridimensionamento dell’importo originariamente liquidato per onorari e spese).

9. In conclusione il ricorso deve essere rigettato; le spese di questo giudizio di cassazione restano a carico della ricorrente in quanto soccombente; gli intimati non si sono costituiti e quindi non vi sono spese da liquidare in loro favore.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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