Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-03-2012, n. 4144 Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La controversia concerne il contratto preliminare di compravendita di un appartamento sito in Villafranca Tirrena, intercorso nel 198 9 tra il promissario acquirente L.S.L. e C.G., il quale veniva dichiarato fallito dal tribunale di Messina con sentenza del 1992.

L.S. invitava il curatore a concludere la compravendita sia nel 1992 che nel 1998; il tribunale di Messina dapprima autorizzava la compravendita, ma il termine essenziale fissato nel provvedimento decorreva inutilmente. Pertanto, con decreto del 22 maggio 1998 il tribunale revocava l’autorizzazione e il curatore dichiarava di volersi sciogliere dal preliminare.

L.S. agiva in giudizio ai sensi dell’art. 2932 c.c., ma la domanda veniva respinta con sentenza del 2003, in quanto il tribunale di Messina dichiarava lo scioglimento del preliminare di vendita e poneva a carico dell’attore il pagamento delle somme corrispondenti al mancato godimento dell’immobile dal dicembre 1989 al maggio 2002, epoca nella quale il fallimento era stato rimesso in possesso del bene.

L.S. interponeva appello, che la Corte messinese nel novembre 2005 accoglieva parzialmente; riduceva infatti da circa Euro 44.000 a 14.000 il corrispettivo per il godimento dell’immobile, limitandolo al periodo successivo alla dichiarazione di scioglimento, ex articolo 72 legge fallimentare.

L’appellante ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 21 gennaio 2000 e sei, svolgendo due motivi.

Il fallimento di C.G., Re Cri Universal srl, Cris Market srl, "Open Gate" resisteva con controricorso illustrato da memoria.

Anche parte ricorrente depositava memoria.

Motivi della decisione

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 2932 e 4812 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Il ricorrente muove dal presupposto, errato, di essere stata condannata al risarcimento dei danni in conseguenza del fatto che la Corte d’appello avrebbe ritenuto addebitabile all’attore la mancata stipula del contratto.

Egli ricorda che le richieste formulate, quale promissario acquirente, al curatore (cancellazione del pignoramento immobiliare trascritto in favore della Sicilcassa; trasferimento del parcheggio condominiale; predisposizione del regolamento di condominio e delle quote millesimali) erano state ritenute ingiustificate dai giudici di appello.

Essi avevano osservato che le richieste non erano state indicate nell’istanza di gennaio 1998,; non erano contemplate nel parere del curatore e non erano state incluse nel provvedimento di autorizzazione.

Il ricorrente deduce che, essendo l’immobile gravato da vincolo del pignoramento, egli poteva legittimante rifiutare la stipula del contratto definitivo. La censura non ha fondamento.

La Corte d’appello ha valutato il comportamento del L.S. ed ha affermato che la mancata stipula del contratto era a lui addebitatale, ma ciò non ha fatto per stabilire la risoluzione del contratto per inadempimento ex art. 1453 c.c. e "conseguentemente" condannare l’inadempiente al risarcimento dei danni.

Un’attenta lettura della sentenza consente infatti di accertare che essa ha sancito che il contratto preliminare era stato sciolto ex art. 7 L. Fall.; inoltre ha condannato il L.S. non al risarcimento dei danni, ma al pagamento, ex artt. 2033 e 2040 c.c. (espressamente richiamati a pag. 8), del corrispettivo del godimento dell’immobile per il periodo successivo alla comunicazione da parte del curatore dello "scioglimento del contratto".

Puntualmente infatti la Corte d’appello, pur assumendo, al fine di calcolare la somma spettante alla curatela, il criterio del valore locativo sulla base della ctu già acquisita in prime cure, ha corrispondentemente ridotto il periodo di riferimento al tempo "della ritardata restituzione".

Il riferimento in sentenza alla addebitabilità della mancata stipula si spiega con la necessità di rispondere al secondo e terzo motivo di appello.

Si legge infatti a pag. 5 della sentenza impugnata che il l.S. aveva censurato la decisione di primo grado per insufficiente motivazione in ordine alla dichiarazione di scioglimento del contratto preliminare di compravendita (2 motivo) e non per non aver accertato il comportamento contrario a buona fede del curatore fallimentare (3 motivo; il 1, irrilevante, atteneva alla competenza).

Detti motivi, riferisce la sentenza, "relativi alla dichiarazione di scioglimento del contratto preliminare erano peraltro "stati svolti al solo fine del regolamento delle spese del giudizio, avendo esso L.S., nel corso del giudizio di primo grado, rilasciato l’immobile".

Dunque già nel grado di appello non vi era materia per giudicare sulla risoluzione del contratto per inadempimento, ma solo per stabilire se, pacifico lo scioglimento, vi fosse stato comportamento contrario a buona fede del curatore, con le conseguenze in ordine alla condanna al pagamento dei "canoni locativi" (4 motivo di appello, stando alla sentenza messinese), fissata in primo grado con decorrenza dal dicembre 1989 al rilascio del maggio 2002 e integralmente contesta dal L.S.. Irrilevanti sono allora le odierne doglianze in ordine all’applicazione dell’art. 1453 c.c., giacchè non è stato posto in dubbio in sede di appello che lo scioglimento del contratto fosse legittimo, tanto che il L.S. vi ha ottemperato, sia pur tardivamente, prima di instaurare il giudizio di secondo grado. Quanto alla rilevanza della condotta del curatore, va osservato che la sentenza impugnata ha largamente accolto le ragioni dell’appellante, poichè ha ridimensionato i suoi obblighi nei limiti fissati da Cass. 6018/03 (così massimata: "la domanda risarcitoria per ritardata restituzione di un immobile, proposta dalla curatela fallimentare che, nell’esercizio della facoltà riconosciuta dall’art. 72 legge fall., abbia optato per lo scioglimento di un contratto preliminare di compravendita per effetto del quale il fallito, promittente venditore, abbia già trasferito il possesso del bene al promissario acquirente, si fonda sul regime normativo segnato dagli artt. 2033 e 2040 c.c., in forza dei quali l’obbligo di riconsegna di un bene è adempiuto compiutamente se risulti contestualmente soddisfatto anche il diritto al risarcimento del danno maturato per l’eventuale, ingiustificato ritardo; pertanto, dovendosi far risalire alla determinazione del curatore (e non alla sentenza che lo pronunci) gli effetti dello scioglimento del vincolo contrattuale, l’obbligo restitutorio non può che coincidere, quoad tempus con quella, nessuna incidenza avendo, al riguardo, la pronuncia del giudice (della quale va, pertanto, esclusa la natura costitutiva), non essendo in alcun modo assimilabile la facoltà di scioglimento ex art. 72 cit. agli istituti della risoluzione e del recesso contrattuale").

La Corte d’appello ha infatti escluso che la facoltà di scioglimento ex art. 72 sia assimilabile agli istituti della risoluzione e del recesso contrattuale. Ha dunque ritenuto che la detenzione dell’immobile da parte del ricorrente per il periodo 1989 – 1998 fosse legittima, sebbene sin dagli inizi del 1992 (sentenza trib.

Messina n. 44/92) fosse stato dichiarato il fallimento.

Con il secondo motivo di ricorso, il L.S. denuncia "erronea e falsa applicazione dell’art. 72 L. Fall., degli artt. 2041, 1458 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Il ricorrente su duole della condanna al risarcimento dei danni, ancorchè limitata dal tribunale al periodo successivo al 1998. Il ricorso sostiene che già nel 1992 egli aveva invitato il curatore e il giudice delegato a concludere la compravendita e che quindi le loro omissioni avrebbero ingenerato nel compratore "aspettative rimaste frustrate" per colpa della curatela, restando escluso ogni obbligo di risarcimento a proprio carico. La censura è infondata.

Si è già detto che la sentenza della Corte d’appello va intesa nel senso che la condanna del L.S. è stata confermata in forza del titolo palesato dalla sentenza di legittimità espressamente richiamata dai giudici di appello e non a titolo di risarcimento danni per inadempimento.

Va chiarito che, fallito il tentativo bilaterale di addivenire al trasferimento definitivo del bene (iniziale istanza del promissario acquirente e fissazione di un termine per la stipula da parte del tribunale) e sancito lo scioglimento del contratto, il L.S. doveva adeguarsi, restituendo l’immobile alla curatela, ovvero poteva opporsi giudizialmente negando la revocabilità della decisione del curatore di subentrare nel contratto.

Tale questione viene discussa nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c., depositata in vista dell’odierna udienza, ma è rimasta estranea all’appello ed è invano accennata in ricorso.

In sede di appello, come si è detto, le questioni concernenti il comportamento contrattuale delle parti erano state svolte "al solo fine del regolamento delle spese del giudizio"; è vero che esse sono state a questo fine apparentemente disattese, ma l’accoglimento dell’appello quanto ai limiti del dovuto ha cagionato comunque l’integrale compensazione delle spese di lite, profilo non investito da impugnazione in questa sede.

Alla luce di siffatta ricostruzione della vicenda, si comprende come siano incongrue le argomentazioni, svolte nel secondo motivo (pag.

10), incentrate sulla insussistenza di responsabilità del L.S. e di un suo inadempimento.

La ratio decidendi della condanna è infatti la mancata restituzione dell’immobile per il periodo 1998 – 2002.

Rispetto a questa evenienza contrattuale, dipendente da un potere riconosciuto ex lege al curatore, resta privo di rilievo il fatto – argomentato in memoria – che nel 1992 il promissario acquirente avesse sollecitato la stipula.

Tale comportamento ha concorso ad escludere la condanna del promissario a risarcire la curatela per la detenzione nel segmento temporale 1992-1998, ma non poteva escludere la mora nella riconsegna dell’immobile per il periodo successivo alla dichiarazione di scioglimento del contratto, fatto sopravvenuto, riconosciuto idoneo a configurare ex nunc il suo obbligo di riconsegna, senza che sia stato tempestivamente contestato, a quanto consta, l’esercizio del potere di scioglimento ex art. 72. L’ultimo profilo del secondo motivo concerne la mancanza di prova dei danni derivati dal ritardato rilascio, che, secondo il ricorso, non sussisterebbero, perchè scopo della curatela sarebbe vendere gli immobile e non locarli.

La tesi è infondata: è incontroverso che il L.S. trattenne per sè la disponibilità dell’immobile che avrebbe dovuto restituire sin dal 1998, continuando ad occuparlo senza averne più titolo. Va quindi ricordato che "in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il pregiudizio subito dall’avente titolo è "in re ipsa", discendendo dalla perdita della disponibilità del bene e dalla mancata percezione di un reddito immobiliare". (Cass. 24100/11).

Consegue da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 2.000 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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