Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-03-2012, n. 4140 Distanze legali tra costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 27 aprile 2003 il Tribunale di Venezia respinse le contrapposte reciproche domande – di usucapione e di riduzione in pristino – proposte rispettivamente da N.I., N. P., N.R., N.C. e B.G. e da S.L..

Impugnata in via principale dall’una parte e incidentalmente dall’altra, la decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Venezia, che con sentenza del 22 novembre 2007, respingendo il primo gravame e accogliendo il secondo, ha confermato il rigetto della domanda di usucapione di N.I., N. P., N.R., N.C. e B.G. e li ha condannati ad arretrare un loro fabbricato ad uso di autorimessa fino a cinque metri dal confine con l’adiacente fondo di S.L., nonchè a rimuovere una recinzione e una vasca biologica installate sulla proprietà della stessa S. L..

N.I., N.P., N.R., N. C. e B.G. hanno proposto ricorso per cassazione, in base a quattro motivi. S.L. si è costituita con controricorso. I ricorrenti hanno presentato una memoria.

Motivi della decisione

La resistente ha contestato pregiudizialmente l’ammissibilità del ricorso, osservando che nei motivi addotti a suo sostegno non sono precisati con chiarezza nè i fatti controversi cui si riferiscono i lamentati vizi di motivazione, nè i quesiti di diritto su cui questa Corte viene chiamata a pronunciare.

L’eccezione va disattesa, poichè in realtà l’atto di impugnazione non è privo dei requisiti richiesti dall’art. 366-bis c.p.c., ora abrogato ma applicabile nella specie ratione temporis: le questioni sia di fatto sia di diritto, sollevate da N.I., N. P., N.R., N.C. e B.G. nel giudizio di legittimità, sono prospettate adeguatamente, le une mediante l’indicazione delle circostanze asseritamente valutate in modo erroneo dal giudice a quo, le altre mediante la formulazione di interrogativi attinenti alla fattispecie oggetto della lite e rilevanti ai fini della decisione della causa.

Con il primo motivo i ricorrenti si dolgono del mancato accoglimento della loro domanda dì usucapione, sostenendo che il suo rigetto è conseguito all’avere la Corte d’appello trascurato o travisato alcuni dati (come l’installazione di una fossa biologica sull’area in questione e l’estensione di una sua recinzione) riferite da un testimone, sulle cui dichiarazioni si sono fatte ingiustificatamente prevalere le deposizioni di altri, mentre si sarebbe dovuto disporre tra loro un confronto.

La censura non può essere accolta.

Si verte in tema di accertamenti e apprezzamenti eminentemente di merito, sindacabili da parte di questa Corte soltanto sotto il profilo dell’omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione. Ma da questi vizi la sentenza impugnata è del tutto immune, poichè il giudice di secondo grado ha dato conto in maniera esauriente e logicamente coerente delle ragioni della decisione, prendendo in considerazione e argomentatamente vagliando – con esito negativo – le tesi degli appellanti principali, che vengono ora negli stessi termini riproposte, in sostanza richiedendosi un giudizio di terzo grado, che esorbita dai limiti della funzione di legittimità.

Nè il mancato esercizio della facoltà di disporre il confronto tra testimoni, attribuita al giudice dall’art. 254 c.p.c., può essere censurato in questa sede, stante il suo carattere prettamente discrezionale (v., tra le altre, Cass. 22 giugno 2009 n. 14538).

Con il secondo motivo di ricorso N.I., N.P., N.R., N.C. e B.G. lamentano che la Corte d’appello ha erroneamente disconosciuto il carattere indeterminato della domanda di riduzione in pristino proposta da S.L., la quale aveva chiesto in via riconvenzionale la condanna della parte attrice all’arretramento di vari imprecisati manufatti, mentre soltanto uno, secondo il consulente tecnico di ufficio, era stato edificato a distanza inferiore a quella legale.

La doglianza è infondata.

Nella sentenza impugnata si è osservato, sul punto, che nel costituirsi in giudizio la convenuta – contrariamente a quanto affermavano gli appellanti principali – aveva indicato con esattezza cinque costruzioni, realizzate a suo dire in violazione delle distanze, dal che correttamente si è inferito che la domanda riconvenzionale le aveva quindi una pluralità di oggetti precisi e determinati, anche se per alcuni non poteva essere accolta, trattandosi di fabbricati prospicienti le proprietà di terzi estranei al giudizio.

Con il terzo motivo di ricorso N.I., N.P., N.R., N.C. e B.G. deducono che non è stata acquisita la prova dell’effettivo contenuto del regolamento comunale, non essendo stato dimostrato da S. L., la quale vi era tenuta, che esso realmente stabilisca una distanza di cinque metri dal confine, come aveva asserito il consulente tecnico di ufficio, senza peraltro allegare alla relazione peritale una copia dello strumento urbanistico; occorreva pertanto avere riguardo all’art. 873 c.c., il quale non era stato violato, poichè impone il rispetto di un distacco non dal confine, ma tra costruzioni.

Neppure questa censura è fondata.

Le disposizioni locali in materia di distanze, stante la loro natura di norme giuridiche, possono e debbono essere individuate di ufficio dal giudice, per il principio iura novit curia, sicchè nessun onere probatorio grava in proposito sulle parti (v., da ultimo, Cass. 15 giugno 2010 n. 14446). Correttamente quindi la Corte d’appello ha fatto applicazione del regolamento di cui si tratta, avendone avuto comunque conoscenza.

Con il quarto motivo di ricorso N.I., N.P., N.R., N.C. e B.G. sostengono che avrebbero potuto essere condannati, in ipotesi, al risarcimento del danno, ma non alla riduzione in pristino, la quale è prevista dall’art. 872 c.c. soltanto per il caso dì violazione delle distanze tra costruzioni e non dal confine.

L’assunto non è condivisibile.

La giurisprudenza di legittimità – dalla quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, nè del resto i ricorrenti ne hanno prospettato alcuna – è univocamente orientata nel senso che le norme locali che prescrivono l’osservanza di una determinata distanza assoluta dal confine, indipendentemente dall’essere il fondo limitrofo edificato, sono da considerare integrative di quelle dettate dagli artt. 873 ss. c.c., sicchè chi ne subisce la violazione ha diritto di ottenere, per il disposto dell’art. 872 c.c., non solo il risarcimento in forma generica, ma anche la riduzione in pristino (v., per tutte, Cass. 27 maggio 2003 n. 8420).

Il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti – in solido, stante il comune loro interesse nella causa – a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 3.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 3.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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