Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-03-2012, n. 4264 Mansioni e funzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Milano, confermando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di M.C., proposta nei confronti dell’INPDAP, di cui era dipendente con inquadramento nell’Area B/3, avente ad oggetto la condanna di controparte al pagamento di differenze retributive in ragione delle superiori mansioni svolte, per le pratiche di liquidazione di pensioni, corrispondenti all’Area C/1.

La predetta Corte, rilevato preliminarmente che l’inquadramento dei lavoratori in area B era caratterizzato dallo svolgimento di fasi o fasce di attività, mentre quello in area C era demarcate) dall’adibizione all’intera fase del procedimento, accertava che il M. seguiva l’intera fase del procedimento fino al documento emesso dalla gestione informatizzata in maniera del tutto uguale a quanto effettuato rispetto ai procedimenti seguiti da altri colleghi inquadrati in C/1.

Avverso questa sentenza l’INPDAP ricorre in cassazione sulla base di due censure, precisate da memoria.

Resiste con controricorso la parte intimata che deposita memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso l’INPDAP, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., e segg., con riferimento all’allegato A del CCNL 1998-2001 Enti Pubblici non economici ed all’allegato B1 profili professionali nel sistema di organizzazione dell’INPDAP CCIE INPDAP 1999-2001 nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 e art. 111 Cost. ed in particolare comma 1 ed art. 6 CEDU, afferma che erroneamente la Corte di Appello ha ritenuto che il M. avesse svolto mansioni inerenti l’intera fase del procedimento.

La censura non è fondata.

In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge, infatti, consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud.); viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. La differenza tra l’una e l’altra ipotesi violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnata, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 22 febbraio 2007 n. 4178).

Nella specie ricorre,appunto, quest’ultima ipotesi in quanto l’Istituto, con la censura in esame,attraverso la denuncia di una violazione di legge e di CCNL contesta, assumendo che il M. era addetto solo ad una o più fasi del procedimento, sostanzialmente l’accertamento di fatto condotto dal giudice del merito secondo il quale, invece, M. svolgeva la propria attività con riferimento all’intera fase del procedimento.

Non prospetta, pertanto, l’INPDAP un problema interpretativo della norma, ma una non corretta ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa.

Nè, e vale la pena di sottolinearlo, l’Istituto, in violazione del princìpio di autosufficienza, trascrive nel ricorso il testo integrale di tutti i documenti richiamati a supporto del motivo (V., per tutte Cass. 6 febbraio 2007 n. 2560, cui acide, Cass. 18 novembre 2005 n. 24461).

Con la seconda censura l’Istituto, allegando omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione alla violazione dei principi di cui all’art. 111 Cost. ed in particolare del comma 6 dell’art. 6 CEDU, denuncia vizio di motivazione in ordine alla ammissione della prova testimoniale e al rigetto delle conclusioni rese dalla parte.

La censura è infondata.

E’ pur vero che l’Istituto ricorrente allega al ricorso, quanto ai capitoli di prova, copia fotostatica di stralci del ricorso di primo grado del M. e della propria memoria difensiva, ma è altrettanto vero che i relativi capitoli di prova fanno riferimento a documenti vari, – tra cui ordini di servizio e disposizioni operative – ai quali lo stesso Istituto attribuisce fondamentale decisività ai fini della dimostrazione dell’assunto diverso assetto organizzativo, che, in violazione del richiamato principio di autosufficienza, non risultano in alcun modo trascritti nel ricorso. Conseguentemente rimane impedito a questa Corte qualsiasi controllo di legittimità circa la decisività della prova non ammessa.

Nè l’Istituto ricorrente nel dedurre la mancata motivazione in ordine al rigetto delle conclusioni rese dalla parte specifica la decisività di siffatta omissione, sicchè la relativa censura essendo generica non permette a questa corte alcun sindacato di legittimità al riguardo.

Il ricorso in conclusione va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 50,00 per esborsi, oltre Euro 3000,00 per onorario ed oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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