Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-03-2012, n. 4258 Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- La sentenza attualmente impugnata – riformando in parte la sentenza del Tribunale di Milano n. 315/05 del 21 gennaio 2005 dispone la parziale compensazione delle spese di primo grado e conferma, per il resto, la sentenza del primo Giudice, la quale in parziale accoglimento del ricorso di P.M., dipendente in qualità di dirigente della ALTAECO s.p.a., ha dichiarato l’ingiustificatezza del licenziamento intimato alla ricorrente in data 19 aprile 2002, condannando la società alla corresponsione dell’indennità supplementare e dell’indennità sostitutiva del preavviso, oltre al pagamento delle spese processuali.

La Corte d’appello di Milano, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il Tribunale ha ritenuto di considerare fondate le giustificazioni offerte dalla P. in merito alla ripetuta utilizzazione di una password altrui effettuata per collegarsi al sistema informatico aziendale;

b) tale statuizione, alla quale il primo Giudice è pervenuto dopo uno scrupoloso esame delle risultanze istruttorie, deve essere confermata;

c) in effetti, è stato accertato che la P. era divenuta responsabile dell’Ufficio Estero della società ALTAECO, dopo una serie di vicende della società datrice di lavoro al termine delle quali è stato introdotto un nuovo sistema informatico aziendale, la cui originaria applicazione ha determinato diversi inconvenienti nel settore di competenza della dirigente, prontamente da questa segnalati alla società;

d) tali inconvenienti risultavano aggravati dal fatto che l’attività di recupero crediti era stata formalmente sottratta alla competenza dell’Ufficio Estero e concentrata nell’Ufficio Amministrativo della sede della società sita in (OMISSIS);

e) la P., rimanendo responsabile dell’Ufficio Estero, al fine di ottenere i dati necessari per selezionare i clienti morosi (onde predisporre il recupero dei crediti sia nazionali sia esteri) era costretta ad avere continui rapporti telefonici con l’Ufficio Amministrativo;

f) conseguentemente, dopo avere invano segnalato le disfunzioni che si erano venute a creare, nel periodo dicembre 2001-marzo 2002, ha utilizzato all’occorrenza la password di accesso al sistema informatico aziendale di una collega dell’Ufficio Amministrativo onde procurarsi direttamente i suddetti dati;

g) tali connessioni sono state individuate dal sistema stesso e rappresentano il comportamento contestato in sede di licenziamento;

h) come rilevato dal Tribunale tale condotta lungi dal rappresentare una indebita intromissione, neppure adombrata, nei dati protetti dalla suddetta password – posti a tutela di brevetti industriali – ovvero una violazione della privacy della titolare è stato necessitato dalle esigenze – inutilmente segnalate all’azienda da parte della dirigente connesse con lo svolgimento del proprio, oltre che dell’altrui, lavoro;

i) conseguentemente la suddetta condotta non si pone in contrasto con l’incarico di responsabile della protezione dei dati sensibili, affidato alla P., ai sensi del regolamento alla L. n. 675 del 1996, visto che il suindicato incarico si sostanziava nell’impedire accessi "indebiti" al sistema, da intendere come accessi del tutto ingiustificati;

l) d’altra parte, è stato anche accertato che il comportamento contestato era conforme ad una prassi aziendale e che neppure esisteva all’epoca un codice di comportamento che vietava la condotta contestata alla dirigente, codice probabilmente introdotto dopo la contestazione disciplinare in oggetto;

m) infine, appaiono inconferentì i richiami effettuati dalla società alla giurisprudenza di legittimità relativa alla concessione della propria password per consentire a terzi connessioni dall’esterno con la rete informatica della società, onde rendere possibile l’accesso ad una grande massa di informazioni attinenti l’attività aziendale, destinate a rimanere riservate;

n) in sintesi, il licenziamento della P. si deve considerare del tutto ingiustificato e la ricerca, da parte della datrice di lavoro, di altre collocazioni per la dipendente da questa rifiutate perchè inadeguate alla professionalità acquisita – dimostra che la stessa azienda non considerava il comportamento addebitato in sede di recesso tale da impedire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto e da determinare il venire meno del vincolo fiduciario con la dirigente, onde il riconoscimento dell’indennità supplementare oltre quella di mancato preavviso.

2- Il ricorso della ALTAECO s.p.a. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, P.M..

La ricorrente deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

1 – Sintesi dei motivi di ricorso.

1.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia: a) in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione dell’art. 2119 cod. civ., della L. n. 604 del 1966, artt. 1, 3 e 5, degli artt. 19, 22 e 23 c.c.n.l. per i dirigenti di aziende industriali del 23 maggio 2000, degli artt. 2104 e 2105 cod. civ., nonchè della L. n. 675 del 1996, art. 15 e del D.P.R. n. 318 del 1999, art. 2; b) in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla giusta causa di licenziamento.

Con il secondo motivo di ricorso si denuncia: a) in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione dell’art. 2119 cod. civ., degli artt. 19 e 22 c.c.n.l. per i dirigenti di aziende industriali del 23 maggio 2000, dell’art. 2105 cod. civ.; b) in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla giustificatezza di licenziamento.

2.- Con entrambi i motivi si contesta – con argomentazioni analoghe – la statuizione della Corte d’appello, conforme a quella del Tribunale, secondo cui sono da considerare fondate le giustificazioni offerte dalla P. in merito alla ripetuta utilizzazione di una password altrui effettuata per collegarsi al sistema informatico aziendale, essendo emerso con chiarezza che tale comportamento – all’epoca conforme ad una prassi aziendale e non vietato da alcun codice di comportamento – lungi dal rappresentare una indebita intromissione, neppure adombrata, nei dati protetti dalla suddetta password – posti a tutela di brevetti industriali – ovvero una violazione della privacy della titolare è stato necessitato dalle esigenze – inutilmente segnalate all’azienda da parte della dirigente – connesse con lo svolgimento del proprio oltre che dell’altrui lavoro, essendo finalizzato, in particolare ad ottenere i dati necessari per selezionare i clienti morosi, onde procedere al recupero dei crediti sia nazionali sia esteri.

In base alla suddetta statuizione il licenziamento della dirigente è stato considerato del tutto ingiustificato e si è sottolineato che la ricerca, da parte della datrice di lavoro, di altre collocazioni per la dipendente – da questa rifiutate perchè inadeguate alla professionalità acquisita – dimostra che la stessa azienda non considerava il comportamento addebitato in sede di recesso tale da impedire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto e da determinare il venire meno del vincolo fiduciario con la dirigente, onde il riconoscimento dell’indennità supplementare oltre quella di mancato preavviso.

La ricorrente, in entrambi i motivi, attraverso un riepilogo del quadro probatorio (documentale e testimoniale), sostiene che la valutazione del comportamento della P. effettuata dalla Corte milanese non terrebbe conto della contrarietà dello stesso a direttive aziendali scritte nonchè alle disposizioni legislative contenenti misure di sicurezza per il trattamento dei dati personali inseriti in un sistema informatico (prevedenti sanzioni, anche penali, per l’uso indebito della password e l’accesso non autorizzato ad una parte del sistema informatico protetta).

La ricorrente aggiunge che la Corte d’appello non avrebbe considerato neppure che dalla testimonianza di un’altra dipendente ( G. K.) sarebbe emerso, peraltro solo successivamente al licenziamento, che la P. consentiva l’accesso ai propri dati – con la propria password anche ad altri lavoratori.

2 – Esame delle censure.

3.- I motivi di ricorso – da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione – sono inammissibili per molteplici ragioni.

3.1.- Il primo motivo risulta inammissibile, atteso che – come risulta anche dai quesiti formulati a corredo del motivo, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (applicabile nella specie ratione temporis) – con esso la ricorrente fa riferimento ad elementi e situazioni che non risultano in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – coerenti con quanto affermato dalla società nella originaria contestazione degli addebiti.

In particolare, la censura lamenta l’asseritamente omesso esame, da parte della Corte d’appello, di mancanze (accesso a cartelle riservate e altri fatti successivi alla originaria contestazione) addebitate alla P. soltanto in corso di causa e sulla base della rivalutazione delle risultanze processuali, la cui deduzione – oltre che porsi in contrasto con il principio dell’immutabilità della contestazione dell’addebito disciplinare mosso al lavoratore ai sensi dell’art. 7 dello statuto lavoratori, applicabile anche ai dirigenti non apicali (vedi, per tutte: Cass. SU 30 marzo 2007, n. 7880; Cass. 17 gennaio 2011, n. 897) – dal punto di vista processuale, corrisponde ad un inammissibile allargamento dell’originario thema decidendum, che nel rito del lavoro consegue alla primitiva prospettazione dei fatti di causa, contenuta negli atti introduttivi del giudizio (vedi, per tutte: Cass. 20 novembre 1993, n. 11469;

Cass. 12 novembre 2003, n. 17058).

3.2.- Quanto al secondo motivo, si deve rilevare che l’esame del merito delle relative censure non è possibile in questa sede in quanto – nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nelle intestazione del motivo stesso in realtà tutte le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti.

Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, non essendo consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante Cass. 18 ottobre 2001, n. 21486; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e l’iter logico- argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.

Nè va omesso di considerare che la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice dei merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (vedi, per tutte: Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412;

Cass. 24 luglio 2007, n. 16346).

Va, altresì, sottolineato, che anche con il secondo motivo si richiamano, inammissibilmente, comportamenti della P. (violazione della privacy) ed altre circostanze di fatto (esistenza di un codice comportamentale al momento in cui è stata posta in essere la condotta addebitata alla dirigente), senza che ne sia dimostrata la sussistenza e soprattutto la rituale, tempestiva allegazione. Nel contempo, si critica l’affermazione della Corte d’appello in ordine alla ingiustificatezza del licenziamento, ma non si contestano le effettuate proposte, da parte della società, di collaborazioni alla P. intervenute in epoca successiva al licenziamento, dalle quali la Corte territoriale ha tratto la conclusione che la stessa azienda non considerava il comportamento addebitato in sede di recesso tale da impedire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto e da determinare il venire meno del vincolo fiduciario con la dirigente (onde il riconoscimento dell’indennità supplementare oltre quella di mancato preavviso).

A fronte di questa situazione, le doglianze mosse dalla ricorrente si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse prove e delle stesse circostanze di fatto già valutate dal Giudice di merito in senso contrario alle aspettative della medesima ricorrente e si traducono nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio, del tutto inammissibile in sede di legittimità. 3 – Conclusioni.

4.- In base alle suesposte considerazioni il ricorso va dichiarato inammissibile. Conseguentemente, la società ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione, liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 70,00 per esborsi, Euro 4.000,00 (quattromila,00) per onorari di avvocato, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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