Cass. civ. Sez. III, Sent., 16-03-2012, n. 4250

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. M.G., titolare della ditta Galvanometal, dopo il prelievo delle acque di scarico dall’impianto di lavorazione effettuato da due vigili sanitari ( P. e V. nel maggio del 1985) si era visto revocare l’autorizzazione allo scarico nella fognatura comunale e subiva un processo penale (nel quale veniva condannato in primo grado e assolto nel secondo). Il M. conveniva in giudizio i due vigili e la USL (OMISSIS), della quale gli stessi erano dipendenti, per sentirli condannare in solido ai danni conseguenti al fermo dell’attività produttiva. La domanda veniva accolta dal Tribunale di Firenze e i convenuti condannati al pagamento di Euro 20.000,00.

La Corte di appello di Firenze, accogliendo le impugnazioni, respingeva la domanda di M. e lo condannava alla restituzione alla Usl di quanto ricevuto (sentenza del 15 dicembre 2009).

2. Avverso la suddetta sentenza, M. propone ricorso per cassazione, con due motivi, esplicati da memoria.

Tutti gli intimati resistono con controricorso.

Il difensore del ricorrente ha depositato controdeduzioni scritte dopo le conclusioni del P.M. in udienza.

Motivi della decisione

1. Il collegio ha disposto l’adozione di una motivazione semplificata.

2. La Corte di merito, precisato che è pacifico che i vigili sanitari effettuarono il prelievo del campione all’uscita della vasca di lavaggio e non all’uscita delle vasche di decantazione, ha fondato il rigetto della domanda di danni su due argomentazioni autonome.

Da un lato, ha ritenuto che i vigili sanitari avevano effettuato il prelievo correttamente, perchè al momento dell’accesso l’impianto scaricava direttamente nella fognatura comunale e ciò avveniva, non perchè la vasca di risciacquo non fosse ancora piena, ma perchè era stata operata la scelta, consentita dalle caratteristiche dell’impianto, dì scaricare direttamente nella fognatura.

Dall’altro ha ritenuto che, stante la facoltà di scelta, rimessa all’operatore, di scaricare senza passare nelle vasche di decantazione, l’impianto non poteva restare in funzione (come espressamente precisato nella lettera 3 settembre 1985 della USL);

con conseguente ininfluenza della condotta dei due vigili ai fini della revoca dell’autorizzazione.

3. Con i due motivi di ricorso, si deduce omessa o insufficiente motivazione ( art. 360 cod. proc. civ., n. 5).

Più precisamente: a) si denuncia insufficienza di motivazione per avere la sentenza affermato che il passaggio delle acque era diretto dalla vasca lavaggio alla fognatura, mentre nella relazione del consulente tecnico risultava chiaramente che le acque passavano, comunque, dalle vasche di decantazione; b) si lamenta la mancata risposta alle osservazioni svolte nel corso del processo dal danneggiato; c) si censura la parte della sentenza che richiama, sempre per tale passaggio diretto, quanto affermato dal titolare in sede di sopralluogo, denunciando l’insufficienza della motivazione perchè tale dichiarazione non era univoca; d) si denuncia l’insufficienza motivazionale per non aver il giudice di merito considerato che le vasche di decantazione non erano piene, nonostante il tempo trascorso dall’inizio della lavorazione, perchè poteva non essere iniziata ancora la fase di risciacquo.

4. Il ricorso è inammissibile per difetto di interesse.

In tale direzione rileva la totale mancanza di censure alla seconda ratio decidendi, ritenuta dal giudice, secondo la quale il prelievo dei due vigili era ininfluente rispetto alla revoca dell’autorizzazione allo scarico, risultando dalla missiva della USL, del settembre 1985, che la revoca si collegava alla presenza nell’impianto della facoltà, rimessa alla scelta dell’operatore, di scaricare nella fognatura senza decantazione delle acque. Pertanto, la decisione impugnata sopravviverebbe anche se, in ipotesi, i motivi di ricorso fossero accolti.

Infatti, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Corte, quello secondo cui "Quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fondi su distinte ed autonome rationes decidendi, ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perchè possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite rationes, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Ne consegue che, se è impugnata (come nella specie), una sola ratio il ricorso è inammissibile; rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle argomentazioni a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta" (Cass. 24 maggio 2006, n. 12372; Sez. Un. 8 agosto 2005 n. 16602, costantemente confermato).

5. Le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, ciascuno, in favore di V.A. e della Gestione Liquidatoria della ex USL (OMISSIS) B;

in Euro 2.800,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, in favore di P.G..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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