Cass. civ. Sez. III, Sent., 16-03-2012, n. 4249 Eccezioni nuove

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. M.G. impugna per cassazione, sulla base di un unico motivo, la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro, depositata il 10 dicembre 2009, che, riformando quella di primo grado in ordine al quantum debeatur, ha affermato: a) che il danno dentario non era eziologicamente riconducibile al sinistro in esame per difetto di prova, all’esito della rinnovazione della c.t.u. in appello e degli approfondimenti richiesti all’esperto a seguito delle deduzioni del M., che, comunque, avevano unicamente consentito di appurare l’impossibilità di ascrivere con certezza detto danno al sinistro: l’insufficienza del contesto probatorio andava posto in danno dell’odierno ricorrente, con l’esclusione dai postumi permanenti della voce relativa al danno dentario.

2. Il ricorrente formula nel ricorso il seguente motivo: "violazione dell’art. 345 c.p.c., commi 2 e 3, nonchè violazione e falsa applicazione dello stesso art. 345 c.p.c., perchè la Corte territoriale avrebbe esaminato ed accolto il secondo motivo di appello proposto dalla società Assitalia, omettendo di dichiararlo inammissibile per violazione della predetta disposizione.

2.1. In primo luogo, sostiene che, come già evidenziato nel giudizio di primo grado, la compagnia si era limitata a contestare la domanda essenzialmente sotto il profilo dell’an debeatur, senza opporre eccezioni inerenti da natura delle lesioni o al nesso di causalità tra il danno lamentato e l’evento; mentre in relazione al quantum debeatur, in risposta alla copiosa documentazione medica allegata, aveva assunto un atteggiamento di tacita acquiescenza, mediante blanda impugnativa espressa con formule di stile, di contenuto ampio e indefinito: il deposito della prima CTU, a firma del dott. V., avvenne l’08.06.1999; alla successiva udienza del 04.02.2000, i difensore dell’Assitalia chiese ed ottenne termine per "esaminare e controdedurre alla CTU medica": all’udienza del 14.04.2000 il procuratore della convenuta si limitò a porre a verbale quanto segue: "contesta la relazione peritale del tutto generica e lacunosa e così precisa le conclusioni per il terzo chiamato Assitalia Spa: …"; nè nella precisazione delle conclusioni dall’Assitalia, nè in quella dal Comune di Scalea, si rinviene un solo rigo o accenno alla contestazione del quantum debeatur e alla valutazione del danno espressa dal CTU. la quale non veniva adeguatamente contestata neppure negli scritti successivi (comparsa conclusionale e memorie di replica). Sostiene, quindi, che mai prima dell’appello l’Assitalia aveva contestato il nesso causale tra le lesioni allegate e l’evento, aveva espresso controdeduzioni alla CTU depositata dal dott. V., rilevandone contraddizioni imprecisioni o illogicità; nè aveva invocato l’opportunità di una rinnovazione o di semplici chiarimenti; anche nei precedenti atti e verbali di causa, le convenute non avevano mai espresso una valida contestazione del quantum, nè avevano impugnato la documentazione medica e clinica ab origine allegata dall’attore, sicchè, secondo il ricorrente, vi fu una sostanziale non contestazione che determinò in concreto un restringimento del thema probandum a carico dell’attore.

Nel verbale d’udienza del 14.04.2000, la convenuta Assitalia Spa si limitava infatti ad apporre la formula di stile "contesta la relazione peritale del tutto generica e lacunosa" per affrettarsi a precisare le conclusioni deducendo unicamente in merito all’an debeatur. Aggiunge che non tutti i fatti rilevanti hanno bisogno di prova e per la concreta determinazione del thema probandum, occorre fare riferimento al principio di non contestazione, d’importanza essenziale per evitare il compimento di attività inutili e realizzare esigenze di semplificazione e di economia processuale.

Detto principio comporta che nei processi relativi a diritti disponibili i fatti non contestati sono posti fuori dal thema probandum, e quindi non necessitano di prova, dovendo essere considerati come esistenti dal giudice. La non contestazione, consistendo in un comportamento omissivo, deve essere attentamente individuata dal giudice di volta in volta. Quindi, se, come nella specie il convenuto si sia limitato ad una generica impugnativa della valutazione del c.t.u., abbia concentrato ogni deduzione difensiva sull’an debeatur, omettendo doverose puntualizzazioni e persino ogni cenno o parola rispetto alla quantificazione dei danni operata dal CTU, tale strategia difensiva complessiva concreterebbe la non contestazione del fatto costitutivo emerso in giudizio (valutazione della sussistenza del nesso di causalità, natura ed entità delle lesioni subite dall’attore in conseguenza del sinistro per cui è causa). Dall’analisi del processo di primo grado emergerebbe con chiarezza che nessuno dei convenuti ha preso posizione sulle osservazioni poste dal CTU dott. V.a fondamento delle sue conclusioni, ma entrambi si limitarono a contestare la responsabilità dell’Amministrazione comunale per l’evento occorso.

La contestazione tardiva (vale a dire la contestazione successiva di un fatto originariamente incontestato), in quanto comportamento che può provenire esclusivamente dalla parte (che inizialmente non aveva contestato), deve essere assimilata all’eccezione in senso stretto:

conseguentemente, in considerazione di quanto previsto dagli art. 345 c.p.c., comma 2, e art. 437 c.p.c., comma 2, la contestazione successiva di fatti rimasti incontestati nel giudizio di primo grado deve ritenersi inammissibile in appello, sia nel processo del lavoro che nel rito ordinario (salve, ovviamente, le ipotesi di rimessione in termini ex art. 184 bis c.p.c.). La Compagnia non poteva quindi introdurre in appello ragioni di indagine diverse da quelle esaminate in primo grado quali erano le eccezioni in senso stretto, che soggiacciono in quanto tali al divieto di cui all’art. 345 c.p.c..

2.2. Assume, quindi che analoga valutazione di inammissibilità si porrebbe con riguardo all’art. 345 c.p.c., u.c..

La consulenza tecnica d’ufficio è costantemente qualificata dalla giurisprudenza (Cass. 29.11.1995 n. 12416) e dalla dottrina (cfr.

Castaldi-Scarafoni. il consulente tecnico nel processo civile) come un mezzo istruttorio. allorchè comporti la valutazione tecnica dei soli fatti già provati dalle parti. Qualora invece il fatto che la parte onerata deve provare può essere percepito unicamente tramite una valutazione tecnica (per cui nessun mezzo di prova potrebbe ottenere il medesimo risultato), essendo palese la indispensabilità dell’iniziativa istruttoria, la c.t.u. deve ritenersi, ai sensi dell’art. 345 c.p.c. un vero "mezzo di prova", con ogni conseguente preclusione in grado di appello. Nel caso di specie, l’Assitalia, al fine di provare la pretesa esclusione del nesso causale per alcune delle lesioni osservate sul M. (avulsioni dentarie), non aveva altro strumento se non la consulenza medica d’ufficio.

Conseguentemente, era tenuta a contestare circostanziatamente l’elaborato depositato in primo grado, e ad invocarne immediatamente la rinnovazione o quanto meno opportuni chiarimenti dell’autore. E’ evidente infatti che detto elaborato, per sua natura e in riferimento alla fattispecie concreta, andava qualificato come mezzo di prova, soggiacendo alle preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c., u.c..

2.3. Aggiunge, ancora, che, nel formulare il secondo motivo di appello, l’Assitalia veniva meno al principio di autosufficienza, in quanto nel rilevare erronea valutazione della CTU, o l’acritica adesione alla consulenza, le censure mosse alla sentenza dovevano possedere, in osservanza del principio di autosufficienza, un grado di specificità tale da consentire alla Corte di apprezzarne la decisività direttamente in base all’atto di appello. Così, l’appellante che rilevi la erronea o mancata valutazione della consulenza, è tenuto a riportare per esteso le pertinenti parti della stessa ritenute erroneamente disattese, svolgendo concrete e puntuali critiche alla contestata valutazione. Parimenti, in caso di acritica adesione alla c.i.u.. la giurisprudenza prevalente ha enucleato l’onere di trascrivere "i passaggi salienti e non condivisi della predetta consulenza, e di riportare il contenuto delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamenti ed alle conclusioni del consulente di ufficio". Critiche che l’Assitalia non aveva mai espresso. Inoltre, sin dalla comparsa di risposta del 20.12.2002. in relazione alla richiesta di rinnovazione della CTU medica, la difesa dell’odierno ricorrente aveva dedotto che "chiedere il rinnovamento di una CTU mai prima d’ora contestata appare espediente inutile ed infondato oltrechè tecnicamente difficoltoso, dato il decorso di oltre 10 anni dall’evento" (cfr. pag. 8).

3. Il Comune di Scalea non svolge attività difensiva neanche in questa sede; mentre la Compagnia assicuratrice resiste con controricorso – nel quale reputa inammissibile e, comunque, infondato il ricorso principale, imperniato su censure di merito alla determinazione del quantum, ed assume di aver contestato la c.t.u., che rappresenta in ogni caso attività nella disponibilità del giudice al fine di accertare la verità – e propone ricorso incidentale per vizio di motivazione in ordine alla condanna alle spese di secondo grado, perchè sarebbe stato violato il principio della soccombenza, senza un minimo di motivazione che giustificasse detta decisione. La Compagnia ha prodotto memoria ex art. 378 c.p.c..

4. La pronuncia riguarda i ricorsi riuniti, in quanto proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

5. La censura di cui al ricorso principale è priva di pregio sotto ogni profilo. Invero, la "non contestazione" viene invocata rispetto ad un fatto – quale la riportabilità del danno dentario al sinistro in lite – che non ha formato oggetto di specifica deduzione da parte del danneggiato nell’atto introduttivo. Inoltre, viene eccepita la novità dell’appello sul punto del difetto di detto nesso di causalità ed il mancato rilievo dell’inammissibilità dello stesso, senza tenere conto che si rivela, invece, inammissibile la deduzione della violazione del principio di non contestazione, in quanto proposta solo in questa sede, dopo che nelle fasi di merito è stata ampiamente espletata l’istruttoria in ordine alla sussistenza dei postumi permanenti (peraltro, senza adeguatamente dedurre, nè dimostrare, di avere tempestivamente eccepito nei gradi di merito la violazione dell’indicato principio).

5.1. Quanto al primo aspetto, la Corte rileva che la non contestazione può essere legittimamente invocata soltanto rispetto ad uno specifico fatto. Nella specie, invece, come emerge dalla premessa in fatto della sentenza impugnata (che riproduce, a sua volta, quella della pronuncia di primo grado), nell’atto introduttivo veniva riportata esclusivamente la diagnosi di pronto soccorso, avvenuto al presidio di (OMISSIS) (trauma cranico con frattura osso zigomatico destro, ferita lacero contusa alla regione sopracciliare destra contusione escoriata avambraccio destro e sinistro, escoriazioni multiple ed emoseno mascellare destro) e si lamentavano lesioni personali concretanti, tra l’altro, "una permanente di cospicua entità, che sarà individuata da CTU".

Pertanto, nella specie, non può fondatamente sostenersi che "vi fu una sostanziale non contestazione che determinò in concreto un restringimento del thema probandum a carico dell’attorè". Invece, fu la stessa parte attrice a chiedere espressamente che gli esiti permanenti fossero accertati a mezzo di CTU. Nè può addursi che la non contestazione del nesso eziologico tra incidente e danno dentario dovesse desumersi dalla generica contestazione delle risultanze della CTU condotta in primo grado, posto che le parti convenute hanno continuato a contestare l’an debeatur, così persistendo in un contegno processuale incompatibile con la volontà di non contestare gli esiti permanenti dell’evento lesivo.

5.2. In ordine al secondo aspetto, la censura si rivela inammissibile, dovendosi ribadire che, ove il giudice, anche tacitamente, abbia manifestato la propria interpretazione in senso contrario alla sussistenza della "non contestazione" e, in assenza di ogni deduzione su di essa, abbia proceduto all’espletamento di un mezzo istruttorio in ordine all’accertamento del fatto, la successiva deduzione di parte in ordine all’altrui pregressa "non contestazione" diventa inammissibile (Cass. n. 10098/2007). Poichè l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della domanda del ricorrerne (e della difesa del resistente) costituisce una valutazione del giudice di merito (Cass. 16 dicembre 2005 n. 27833), la sussistenza o l’insussistenza d’una contestazione, quale contenuto della posizione processuale della parte, passa attraverso il filtro dell’interpretazione data dal giudicante, restando una sua funzione (come tale, sindacabile solo per vizio di motivazione). Ed il giudice può dare la propria interpretazione (come negazione della sussistenza d’una non contestazione) anche in forma tacita, attraverso l’ammissione e l’espletamento del mezzo istruttorio diretto ad accertare il fatto. Quale esercizio di tale potere interpretativo, l’ammissione ed il conseguente espletamento dell’istruttoria diretta ad accertare il fatto costitutivo della domanda presuppongono pertanto che il giudice abbia ritenuto, anche senza espressamente affermarlo, che il fatto sia stato contestato. Se la mancata contestazione non sia stata espressamente dedotta (e, nella specie, il ricorrente si limita a dedurre genericamente di averlo fatto in primo grado. senza puntualizzare tale deduzione) e si ammetta e si espleti il mezzo istruttorio diretto all’accertamento del fatto, emerge una realtà processuale costituita non solo dalla posizione assunta delle parti, bensì dalla tacita presupposta interpretazione che di questa posizione il giudice abbia dato (ritenendo sussistente oggettivamente la contestazione del fatto) e che le parti non hanno tempestivamente e puntualmente contestato: la sussistenza della contestazione del fatto e l’"affidamento" della specifica materia (accertamento del fatto costitutivo della domanda) al giudice. A seguito dell’espletamento del mezzo istruttorio, la successiva deduzione (che una parte effettui) dell’altrui pregressa non contestazione diventa inammissibile. Fondamento di questo principio è, da un lato, l’interpretazione della posizione processuale della parte (quale insussistenza della non contestazione) operata dal giudice (di per sè sola peraltro insufficiente, poichè, ove tempestivamente censurata, vizierebbe pur sempre l’istruttoria poi eventualmente svolta), e, d’altro canto, in modo determinante, la pur tacita condivisione (che le parti danno) di questa interpretazione (non reagendo idoneamente nei confronti della stessa). Ciò preclude una tardiva impugnazione, e conferisce (irreversibile) legittimità all’atto istruttorio. Ne deriva che la parte, la quale intenda far valere l’avversa non contestazione, ha l’onere, in presenza d’una difforme interpretazione che il giudice abbia dato (ad esempio, ammettendo il mezzo istruttorio diretto ad accertare la sussistenza del fatto), di tanto tempestivamente dedurre. E la deduzione (della non contestazione del fatto costitutivo della domanda), formulata solo dopo che in primo grado sia stata espletata c.t.u. diretta all’accertamento di tale fatto, si rivela inammissibile, con ciò restando assorbita ogni decisione rispetto agli altri profili della censura.

6. Anche il ricorso incidentale non coglie nel segno A parte l’assoluta genericità della doglianza, non vi è stata lesione del principio della soccombenza in appello, avuto riguardo, come necessario, all’esito globale della controversia unitariamente considerata. Invero, la soccombenza, ai fini della liquidazione delle spese, deve essere stabilita in base ad un criterio unitario e globale (Cass. n. 15483/2008; 4052/2009, in motivazione; 17523/2011).

7. Ne deriva il rigetto di entrambi i ricorsi. Vanno compensate le spese del presente giudizio tra le parti costituite, tenuto conto della reciproca soccombenza. Nulla per le spese nei confronti del Comune, non avendo detto intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi. Compensa le spese tra il ricorrente e la compagnia assicuratrice.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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