Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 21-09-2011) 11-10-2011, n. 36539

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p.1. Con sentenza del 8/11/2010, la Corte di Appello di Lecce, confermava la sentenza pronunciata in data 3/7/2008 dal Tribunale di Lecce – sezione distaccata di Gallipoli – con la quale P. N. era stato ritenuto responsabile dei seguenti delitti:

A) del reato previsto dall’art. 640 c.p., comma 2, n. 1), perchè, in qualità di amministratore unico della "Chiara s.r.l." di (OMISSIS), aveva dichiarato falsamente, nelle denunzie contributive mensili inviate all’INPS, di avere corrisposto alla dipendente B. L. l’importo complessivo di 4.577 Euro dall’ottobre del 2005 al marzo del 2006 per indennità di maternità, mentre le aveva corrisposto soltanto 2.129 Euro;

B) del reato previsto dall’art. 640 bis c.p., perchè, nella suddetta qualità, aveva dichiarato falsamente di avere sospeso l’attività ed anticipato per conto dell’INPS il trattamento di cassa integrazione guadagni per 13 dipendenti dal 4/4 al 217/2005 e dal 3/10 al 31/12/2005, mentre, invece, quei dipendenti avevano proseguito normalmente il loro lavoro;

C) del reato previsto dagli artt. 56 e 640 bis c.p., perchè, nella suddetta qualità, aveva inviato il 26/4/2006 una dichiarazione analoga a quella del capo B) per il periodo dall’I/3 al 4/5/2406, mentre, invece, il 27/4/2006 gli ispettori dell’INPS avevano trovato al lavoro tutti i dipendenti e si era accertato che essi avevano lavorato normalmente anche nel periodo precedente, sulla base dei fogli di paga in possesso di B.L., degli accertamenti compiuti dal funzionario di vigilanza dell’INPS M.F. e da lui riferiti al dibattimento e delle testimonianze di alcune lavoratrici.

La Corte territoriale, sulla base della sentenza n. 16568/2007 delle SSUU, ha ritenuto la configurabilità di tutti i reati contestati, osservando che: "nel fatto contestato al capo A), pur se l’odierno appellante ha versato contributi previdenziali in misura inferiore a quella dovuta semplicemente esponendo nelle denunzie mensili di avere pagato alla lavoratrice somme maggiori di quelle effettive, egli non ha indicato falsamente nelle denunzie i presupposti della sua obbligazione contributiva come previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 37, ma ha attuato un diverso artificio specifico il quale è consistito nel dedurre in compensazione somme maggiori di quelle che gli spettavano; il fatto, pertanto, costituisce senz’altro truffa aggravata, non essendo previsto da alcuna norma sussidiaria. I fatti contestati ai capi B) e C) rientrano nell’art. 640 bis c.p., perchè il trattamento di cassa integrazione guadagni non poteva essere effettivamente concesso in base alla sola dichiarazione del datore di lavoro ed infatti l’odierno appellante, sia per il 2005 che per il 2006, aveva allegato a tale dichiarazione un verbale di consultazione sindacale che costituiva mi imponente artificio". p.2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione degli artt. 640 – 640 bis c.p., atteso che, quanto al reato di cui al capo sub a), la deduzione in compensazione di somme maggiori di quelle spettanti costituiva, al più, il profitto della condotta ma non l’artificio.

Per quanto riguarda, invece, i rimanenti reati di cui ai capi d’imputazione sub b – c, il ricorrente osserva che "nel caso di specie, affermare che il verbale di consultazione sindacale costituisce l’artificio presupposto alla truffa significa riconoscere che tutte le parti indicate nel predetto verbale, lavoratrici, sindacato ecc. fossero consapevoli protagonisti della predisposta simulazione. Al contrario, nel caso de quo, sembra ravvisarsi una condotta del datore lavoro e dei dipendenti preordinata alla richiesta di CIG attraverso il citato verbale, richiesta poi effettivamente avanzata. Successivamente, però, le dipendenti proseguivano nell’attività lavorativa anche durante i periodi interessati dalla CIG. Nessuna delle dipendenti, esaminata quale teste, ha mai affermato che, al momento della redazione del verbale di consultazione sindacale fosse diffusa consapevolezza che non si dovesse ricorrere alla CIG. In realtà è emerso che successivamente alla richiesta l’azienda prosegui nella produzione non avendo, evidentemente, più necessità della richiesta CIG. Conseguentemente il P. avrebbe dovuto rinunciarvi, cosa che non fece, avvantaggiandosi, in quella fase, delle dichiarazioni non veritiere.

Il verbale, però, come artificio e per costituire artificio, sarebbe dovuto essere sin dalla sua redazione, preordinato alla truffa, mentre nel caso di specie appare più una decisione successiva alla presentazione della domanda quella del P. di usufruire ugualmente della CIG, circostanza che, pertanto, integrerebbe le fattispecie criminose indicate dalla difesa e non la truffa che presuppone una particolare intensità dell’elemento psicologico e particolare preordinazione".

Motivi della decisione

p.1. In ordine al reato di cui al capo d’imputazione sub a), la questione di diritto consiste, sostanzialmente, nell’appurare se e in che termini il comportamento tenuto dall’imputato, sia riconducibile nell’ipotesi criminosa di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 37, ovvero in quella della truffa. La suddetta questione è stata ampiamente esaminata da questa Corte la quale, in particolare nella sentenza 11184/2007 Rv. 236131 ha chiarito che "la L. n. 689 del 1981, art. 37, nel punire il datore di lavoro che, al fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, omette una o più registrazioni o denunce obbligatorie, ovvero esegue una o più denunce obbligatorie in tutto o in parte non conformi al vero, richiede nel soggetto agente la sola finalizzazione della condotta all’evasione, ossia esige che il fatto sia commesso con il dolo specifico consistente nel fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza ed assistenza obbligatoria. Diversa è l’ipotesi in cui il soggetto abbia agito non con il fine di non versare i contributi di legge, bensì con quello di conseguire, attraverso il mezzo fraudolento consistente nell’esporre nelle denunce suddette fatti non corrispondenti al vero, l’ingiusto profitto rappresentato dalle somme indicate come corrisposte, ottenuto mediante il conguaglio di dette somme, in realtà non corrisposte, con i contributi effettivamente dovuti all’ente. La diversa finalizzazione dell’azione costituisce l’elemento discretivo fra le condotte descritte nella L. n. 689 del 1981, art. 37, e nell’ art. 640 c.p., ed il mendacio contenuto nei modelli M/10 costituisce l’artificio attraverso cui il soggetto, mediante la fittizia esposizione di somme come corrisposte al lavoratore, induce in errore l’Istituto previdenziale sul diritto al conguaglio di dette somme, mai corrisposte, con i contributi effettivamente dovuti. In tal modo il soggetto agente realizza non già una semplice evasione contributiva, ma un ingiusto profitto consistente nel suddetto indebito conguaglio di somme (Cass. Sez. 2^, 9.1.2003, n. 11757; Cass. Sez. 2^, 18.1.2002, n. 15600; Cass. Sez. 3^, 19.10.2000, n. 12169)".

Pertanto, alla stregua della suddetta giurisprudenza, che qui va ribadita, poichè sono configurabili tutti i requisiti del reato di truffa (dolo; artificio e raggiro; ingiusto profitto), corretta deve ritenersi la conclusione alla quale è pervenuta la Corte territoriale. p.2. Ad uguale conclusione deve pervenirsi anche per le ipotesi di cui ai capi d’imputazione sub b) e e), in relazione ai quali, la Corte territoriale, ha ritenuto che l’artificio fosse ravvisabile nel fatto che "l’odierno appellante, sia per il 2005 che per il 2006, aveva allegato a tale dichiarazione un verbale di consultazione sindacale che costituiva un imponente artificio".

Come correttamente rilevato dalla Corte territoriale l’allegazione del verbale di consultazione sindacale dal quale risultava la richiesta di CIG, va ritenuto un preciso artificio in quanto il suddetto documento costituisce, indubbiamente, un quid pluris rispetto alla semplice falsa dichiarazione di aver sospeso l’attività e, quindi, idoneo a "circuire" l’Inps.

La tesi difensiva del ricorrente non è condivisibile perchè si basa su elementi fattuali non scrutinabili in questa sede e, comunque privi di ogni riscontro probatorio (ossia che il verbale, quando fu redatto, era veritiero) tant’è che lo stesso ricorrente si limita solo ad ipotizzare che la redazione del verbale "appare più una decisione successiva alla presentazione della domanda quella del P. di usufruire ugualmente della CIG". p.3. In conclusione, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

RIGETTA il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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