Cass. civ. Sez. I, Sent., 16-03-2012, n. 4208 Successione a titolo universale e particolare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 14 dicembre 1994 la Banca di Roma s.p.a. conveniva dinanzi al Tribunale di Benevento l’avv. M.E. per sentirlo condannare al pagamento della somma di lire 215.498.892 in forza di fideiussione da lui prestata a fronte del finanziamento ottenuto dall’associazione sportiva calcio Benevento, resasi poi inadempiente.

Costituitosi ritualmente, il convenuto eccepiva l’infondatezza della domanda e svolgeva domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni da comportamento illecito della banca.

Nel corso dell’istruttoria, il giudizio veniva interrotto per la morte di altro convenuto; e poi dichiarato estinto con ordinanza 14 giugno 2005 del g.o.a. della sezione-stralcio, per omessa riassunzione nel termine di legge.

Il successivo gravame di Capitalia Service joint-venture s.r.l., quale mandataria di Capitalia s.p.a (già Banca di Roma s.p.a.), a sua volta mandataria della Trevi Finance 2 s.p.a., cessionaria del credito verso il M., era accolto dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza 29 gennaio 2010, che annullava l’ordinanza, rimettendo la causa al Tribunale di Benevento; con condanna dell’avv. M. alla rifusione delle spese del secondo grado di giudizio.

Avverso la sentenza, non notificata, l’avv. M. proponeva ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, notificato l’11 giugno 2011 ed ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

Resisteva con controricorso l’Unicredit Credit Management Bank S.p.A., quale mandataria dell’Unicredit spa, a sua volta avente causa di Capitalia s.p.a., mandataria della Trevi Finance 2 s.p.a..

All’udienza del 19 gennaio 2012 il Procuratore generale e i difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente deduce la carenza di motivazione in ordine all’accertamento della cessione del credito, nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione, dalla Banca di Roma alla Trevi Finance 2 s.p.a., divenuta, per l’effetto, attrice sostanziale nella fase di riassunzione del processo interrotto.

Il motivo è infondato.

La contestazione della successione nel rapporto litigioso attiene alla questione della titolarità del diritto da parte del soggetto che interviene per la condanna al pagamento: questione di merito, da esaminare in sede decisoria della fondatezza della domanda, e non anticipatamente, in corso d’istruzione, in funzione preclusiva di atti d’impulso volti a riattivare l’iter processuale interrotto. Non integra, pertanto, un’eccezione di carenza di legittimazione attiva (come pure, spesso, empiricamente definita), da verificare d’ufficio in ogni stato e grado sulla base della sola prospettazione – e cioè, dell’allegazione della posizione giuridica in astratto idonea a giustificare l’edictio actionis, escludendo ogni forma non consentita di sostituzione processuale (art. 81 cod. proc. civ.) – nè, tanto meno, un’eccezione di carenza di legitimatio ad processum.

Ne consegue che il giudice istruttore di primo grado doveva dare seguito all’istanza di riassunzione del processo interrotto proposta da Capitalia Service j.v., per conto (tramite il medio di due mandati interposti) della società che si affermava successore a titolo particolare dell’originaria parte processuale estinta:

impregiudicato, naturalmente, l’accertamento dell’effettiva spettanza del credito, all’esito della valutazione della prova dell’allegata cessione.

Alla luce dei predetti rilievi, perdono di rilevanza le ulteriori censure inerenti alla forma speciale di notifica della cessione a mezzo pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale – del tutto estranee, del resto, al motivo in esame, perchè influenti, in ipotesi, solo sul carattere liberatorio dell’eventuale pagamento in buona fede del debitore ceduto all’originario creditore, pacificamente non avvenuto (art. 1264 cod. civ.) – e, a fortiori, in ordine alla legittimità di tale notificazione richiesta dalla Trevi Finance 2 ai sensi dell’art. 58 Testo unico bancario.

Le residue doglianze concernono, sotto profili diversi, il tema della legitimatio ad processum e possono quindi essere esaminate congiuntamente.

Manifestamente infondata è quella relativa al mancato accoglimento dell’eccezione di inammissibilità della produzione di documenti in grado d’appello, ex art. 345 cod. proc. civ..

Innanzitutto, per la ragione correttamente addotta in sentenza che l’accertamento di un presupposto della regolare costituzione del rapporto processuale non soffre preclusioni e può essere quindi compiuto d’ufficio – salvo il limite dell’eventuale formazione del giudicato interno (che, nella specie, non sussiste) – anche in sede di legittimità, con possibilità di diretta valutazione degli atti attributivi del potere rappresentativo (Cass., sez. lav., 20 giugno 2002 n. 8996; Cass., sez. lav., 25 marzo 2000 n. 3612). E sul punto, non v’è motivo di distinguere, ratione materiae, tra la disciplina codicistica generale e quella propria del processo di lavoro.

Oltre a ciò, il presente processo, promosso con atto di citazione notificato il 14 Dicembre 1994, trovava ancora la sua disciplina, in parte qua, nel testo previgente dell’art. 345 cod. proc. civ., che al comma 2 consentiva la produzione, senza limiti, di nuovi documenti.

Pure infondata è la censura relativa all’insussistenza del potere processuale della parte intervenuta, ex artt. 267 e 298 cod. proc. civ., nello stato di sospensione del processo.

A prescindere dal rilievo che non di sospensione si trattava, bensì di interruzione, si osserva come la Trevi Finance 2 abbia esercitato (tramite la propria mandataria) proprio la facoltà di riassumere il processo che sicuramente le competeva, quale successore nel diritto controverso, ex art. 111 c.p.c., comma 3. Per il resto, ogni contestazione sull’effettiva presenza in atti della procura per atto notaio Acconcia e di quella per atto Zappone (quest’ultima già citata nel ricorso di Capitalia j.v. ex art. 303 cod. proc. civ.) è smentito dalla loro inclusione nell’indice riportato nel fascicolo di parte e siglato dal cancelliere: come questa Corte può rilevare, quale giudice del fatto in tema di error in procedendo.

Il ricorso è dunque infondato e va respinto, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese processuali, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e dei numero e complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per onorari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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