Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-06-2011) 11-10-2011, n. 36595 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza del 4 giugno 2010, la Corte d’appello di Reggio Calabria, pronunciandosi nel giudizio di rinvio scaturito dalla sentenza di questa Corte del 19 giugno 2009, ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta dal ricorrente per la custodia cautelare patita per associazione a delinquere e altri reati, per i quali era stato assolto, per non aver commesso il fatto.

La Corte d’appello ha ritenuto che il ricorrente abbia dato causa con colpa grave all’emissione del provvedimento cautelare sulla scorta dei seguenti elementi desunti dagli atti di causa: a) il ricorrente, soggetto pregiudicato, era stato sottoposto a misura cautelare sulla base delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, secondo cui egli era un boss, mandante di numerosi delitti contro il patrimonio e controllava le attività illecite nella area di Grotteria; dichiarazioni in relazione alle quali il collaboratore di giustizia si era avvalso in dibattimento della facoltà di non rispondere; b) egli si accompagnava abitualmente a tale collaboratore e ad altro soggetto indicato dallo stesso collaboratore come correo.

2. – Avverso tale provvedimento, l’interessato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, lamentando la violazione di legge e la carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, sul rilievo che la Corte d’appello non avrebbe fornito elementi sufficientemente specifici a sostegno della decisione.

Evidenzia, in particolare che: 1) la semplice frequentazione dei coimputati non potrebbe essere considerata indice di colpa grave ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1; 2) la Corte d’appello non avrebbe chiarito come tale frequentazione abbia ingenerato nel giudice della cautela l’erroneo convincimento della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’imputato.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

3.1. – Deve preliminarmente rilevarsi che – secondo l’orientamento di questa Corte – in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione. Condotte rilevanti in tal senso possono essere quelle di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (falso alibi, autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione. A tal fine va anche apprezzata la condotta che si sia sostanziata nella consapevolezza dell’attività criminale altrui e, nondimeno, nel porre in essere una attività che si presti sul piano logico ad essere percepita come contigua a quella criminale (explurimis, Sez. un. 15 ottobre 2001, n. 34559; Sez. 4, 25 novembre 2010, n. 45418;

Sez. 4, 26 gennaio 2011, n. 7153).

Con particolare riferimento alla custodia cautelare subita a seguito di dichiarazioni accusatorie non confermate nella fase dibattimentale, questa Corte ha, peraltro, già chiarito – nella pronuncia che ha dato origine al giudizio di rinvio nel presente procedimento (Sez. 4, 19 giugno 2009) – che, in sede di giudizio di riparazione per l’ingiusta detenzione, la corte d’appello deve rapportarsi alla stessa situazione esistente nel momento in cui il provvedimento cautelare è stato adottato, utilizzando lo stesso materiale avuto a disposizione dal giudice della cautela. Deve pertanto farsi riferimento anche i risultati di una prova, quali le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, che nella successiva fase dibattimentale è risultata inutilizzabile. L’inutilizzabilità, infatti, non può essere estesa come sanzione processuale anche alla fase delle indagini preliminari, e di conseguenza al giudizio sulla riparazione; e ciò perchè essa non riguarda il fatto come rappresentazione della realtà, ma il mezzo attraverso il quale il fatto viene documentato.

3.2. – L’ordinanza impugnata fa puntuale applicazione di tale ultimo principio – al quale, correttamente, si ritiene vincolata – e ne fa conseguire la valutazione del comportamento dell’interessato come gravemente colpevole, ai fini e per gli effetti dell’esclusione del diritto alla riparazione. Evidenzia, infatti, che: a) il ricorrente era un pregiudicato che frequentava assiduamente i coimputati; b) tale circostanza risultava dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia.

A fronte di tali analitici e coerenti rilievi, il ricorrente solleva questioni inidonee a scalfire l’apparato motivazionale posto a fondamento dell’ordinanza impugnata.

Deve rilevarsi, infatti, che la Corte d’appello ha seguito un iter logico chiaro e coerente, perchè ha preso le mosse dal principio di diritto enunciato da questa Corte per ritenere che la frequentazione dei coimputati da parte del ricorrente, unitamente alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia e alla dettagliata natura delle stesse in relazione al ruolo di primo piano svolto dal ricorrente, abbiano ingenerato nel giudice della cautela il convincimento della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’imputato.

4. – Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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