Cass. civ. Sez. I, Sent., 16-03-2012, n. 4203 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso alla Corte d’appello di L’Aquila G.D. proponeva domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 per violazione dell’arto della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio civile instaurato dinanzi al Tribunale di Ancona nel giugno 1999, definito in primo grado nell’ottobre 2006 e pendente in appello al momento della proposizione della domanda di equa riparazione. La Corte d’appello, ritenuta irragionevole la durata di circa sette anni e mezzo del giudizio, ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale, della somma di Euro 1.750,00 oltre spese di lite liquidate in Euro 300,00.

Avverso tale decreto, depositato il 9 gennaio 2008, G.D. ha, con atto notificato il 18 dicembre 2008, proposto ricorso a questa Corte basato su undici motivi. Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese.

Motivi della decisione

1. Con i primi cinque motivi, la ricorrente censura le statuizioni concernenti la determinazione della durata irragionevole del giudizio presupposto: denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6.1 della C.E.D.U. nonchè la insufficienza e contraddittorietà della motivazione, deducendo che la corte territoriale, con una motivazione del tutto insufficiente ed oscura, oltre che contraddittoria, sembra aver determinato in soli anni uno e mesi nove la durata irragionevole del giudizio presupposto, in violazione degli standard elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

2. Tali doglianze sono fondate. La determinazione della durata ragionevole del giudizio presupposto, onde accertare la violazione del diritto azionato, costituisce oggetto di una valutazione che il giudice di merito deve compiere caso per caso tenendo presenti gli elementi indicati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, anche alla luce dei criteri di determinazione normalmente applicati dalla Corte Europea e da questa Corte, secondo i quali la durata ragionevole del processo non eccede in linea di massima il periodo di tre anni per il primo grado, salvi scostamenti ragionevoli che le particolarità del caso concreto possono giustificare, sempre che di esse il giudice dia conto. Nel caso in esame il provvedimento impugnato si limita a precisare di ritenere irragionevole una durata complessiva di sette anni e mezzo, per poi determinare in soli anni uno e mesi nove il ritardo ascrivibile all’Amministrazione, calcolando immotivatamente tale periodo dal 6 giugno 2004 (con il che sembrerebbe far riferimento ad una durata ragionevole di cinque anni per il solo primo grado) al 3 marzo 2006, data che non risulta corrispondere ad alcun atto rilevante ai fini della suddetta determinazione. In tal modo, il giudice di merito si è illegittimamente discostato notevolmente dal criterio standard di tre anni, senza dar conto delle ragioni che giustifichino tale scostamento. L’accoglimento del ricorso si impone dunque, assorbiti gli altri motivi.

3. Il provvedimento impugnato è pertanto cassato, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito a norma dell’art. 384 cod. proc. civ..

Tenendo ferma la durata di sette anni e mezzo, stabilita nel decreto e non contestata in ricorso, e determinata in tre anni la durata ragionevole, l’indennizzo per l’ulteriore protrazione irragionevole del giudizio di primo grado deve commisurarsi ad anni quattro e mesi sei. Ai fini della liquidazione, va fatta applicazione della giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840), a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere di Euro 750 per anno per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole, in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto superamento, mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere richiamato il parametro di Euro 1.000 per ciascun anno di ritardo.

Il Ministero della giustizia deve pertanto essere condannato al pagamento di Euro 3.800 a titolo di equo indennizzo, oltre agli interessi legali dalla data della domanda, in conformità ai parametri ormai consolidati ai quali questa Corte si attiene nell’operare siffatte liquidazioni.

Le spese di entrambi i gradi – liquidate come da dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 3.800,00 oltre agli interessi legali dalla domanda; condanna inoltre il Ministero al pagamento delle spese del giudizio di merito – che determina in Euro 50,00 per esborsi, 310,00 per diritti e 500,00 per onorari oltre spese generali e accessori di legge – e di quelle di questo giudizio di legittimità, che determina in Euro 1000,00 per onorari e Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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