Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 16-03-2012, n. 4192 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato all’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), F.G. ("30 agosto 1999"), FE.Ce. ("2 novembre 1997"), G.A.G. V. ("30 novembre 2001") e N.N.C. ("1 dicembre 1999"), tutti "dipendenti" fino alla data indicata a fianco di ciascuno – premesso che: (a) l’ENEA (datore di lavoro), "assumendo la qualifica di contraente", aveva stipulato con "l’INA… convenzione assicurativa (n. 52900…) mediante la quale venivano accese polizze individuali intestate a ciascun dipendente in servizio", le quali ("a scadenza") garantivano "ai beneficiari" ("se ancora in vita"), "alla cessazione dal servizio", "un capitale"; (b) "a far data dal primo gennaio 1993 l’Ente… ha sospeso il pagamento dei premi annuali…, rimanendo comunque vigente il contratto di assicurazione, con prosecuzione della capitalizzazione delle riserve matematiche relative alle polizze dei dipendenti e liquidazione del trattamento assicurativo ad essi spettante alla cessazione dal servizio di ciascuno"; (c) "in data 25 ottobre 1996,… ENEA, preso atto del diniego dell’INA alla risoluzione della convenzione" predetta, "deliberava la stipula di una nuova… polizza a garanzia del TFS" (Trattamento di Fine Servizio) "di cui l’Ente stesso risultasse… beneficiario ed avesse diritto alla risoluzione anticipata"; (d) "la scelta di non pagare più i premi dovuti dal 1993… non ha fatto venir meno la vigenza della convenzione e delle obbligazioni gravanti sull’ENEA, quindi sull’APAT, rispetto al beneficiario, prima fra tutte quella di fare da tramite, alla cessazione dal servizio, per la corresponsione del trattamento assicurativo liquidato dall’INA… in aggiunta al TFS dovuto per legge e per il quale aveva stipulato altra polizza a proprio beneficio"; (e) avevano convenuto in giudizio l’Ente innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro chiedendo (e1) di accertare e dichiarare "l’illegittimità e l’illiceità della mancata corresponsione, ad opera dell’ANPA (APAT), del trattamento assicurativo al beneficiario, come risultante dalla polizza individuale…, essendo astrattamente ipotizzabi-le una delle fattispecie di reato di cui all’art. 314 c.p., e/o art. 646 cpv. 1 e 2, e art. 61 c.p., n. 7, a carico dell’Ente" stesso e (e2) di condannare quest’ultimo al pagamento in loro favore "della complessiva somma… risultante dalla ricostruzione della… posizione di polizza individuale" ("come esplicitata nel conteggio" facente "parte integrante del… ricorso") "ovvero come risultante a seguito d’istruttoria ed anche in via equitativa, il tutto anche in via di risarcimento di tutti i danni patrimoniali ed anche morali… subiti" -, in forza di cinque motivi, chiedevano di cassare la sentenza n. 5749/2009 (depositata il 28 dicembre 2009) con cui la Corte di Appello di Roma (sezione lavoro) aveva respinto il loro gravame avverso la decisione del Tribunale della capitale che aveva (2) rigettato "il ricorso" di esso FE. (oltre che di tal " C.M.") "sulla base dell’accoglimento dell’eccezione di giurisdizione sollevata dall’ENEA" e (2) ritenuto "infondata" la domanda degli altri tre.

L’ISPRA instava per la declaratoria di inammissibilità e/o per il rigetto dell’impugnazione.

Motivi della decisione

p.1. La sentenza gravata.

A. Il giudice a quo ha respinto l’appello dei ricorrenti cessati dal servizio prima del 30 giugno 1998 osservando:

– "Il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7, (già D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 45, comma 17), che trasferisce al giudice ordinario le controversie in materia di pubblico impiego privatizzato, fissa il discrimine temporale per il passaggio dalla giurisdizione amministrativa a quella ordinaria, alla data del 30 giugno 1998, con riferimento al momento storico dell’avverarsi dei fatti materiale e delle circostanze, in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta controversia";

– "la norma transitoria" contenuta nel medesimo art. 69, comma 7 (secondo cui "sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice de lavoro, le controversie di cui all’art. 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998", mentre "Ve controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000") "rileva non quale limite alla persistenza (relativamente alle questioni caratterizzate dagli esposti requisiti temporali) della giurisdizione suddetta, ma quale termine di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale, con la conseguente attinenza di ogni questione sul punto ai limiti interni della giurisdizione (Cass., sez. U., n. 7581 del… 2006";

– "non sono fondati i rilievi formulati dall’appellante, il quale ha richiamato la sussistenza di responsabilità extracontrattuale dell’ente ex art. 2043 c.c. per la illiceità della mancata corresponsione… del trattamento assicurativo come risultante dalla polizza" perchè – essendo "necessario… considerare i tratti propri dell’elemento materiale dell’illecito posto a base della pretesa risarcitoria" e non già "la qualificazione formale data in termini di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, ovvero mediante il richiamo di norme di legge" "onde stabilire se sia stata denunciata una condotta dell’amministrazione la cui idoneità lesiva possa esplicarsi, indifferentemente, nei confronti della generalità dei cittadini e nei confronti dei propri dipendenti" ("costituendo in tal caso il rapporto di lavoro mera occasione dell’evento dannoso") "oppure se la condotta lesiva… presenti caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto d’impiego" – nel caso "il pregiudizio patrimoniale subito trova… titolo diretto nel rapporto di pubblico impiego, ricollegandosi ad una condotta dell’ente quale datore di lavoro e posto che l’ingiustizia del danno non è altrimenti configurabile che come conseguenza delle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in cui il medesimo rapporto si articola e si svolge (Cass. sez. Un. 2 luglio 2004 n. 12137…)";

B. Lo stesso giudice, quindi, ha respinto l’appello dei ricorrenti cessati dal servizio dopo il 30 giugno 1998 ritenendo "infondata", in base all’"interpretazione complessiva della polizza", "la tesi… secondo cui i dipendenti dell’ente sarebbero stati costituiti come beneficiari non solo delle somme corrispondenti al trattamento legale di fine rapporto, ma anche delle maggiori somme maturate in funzione dell’andamento del costo della vita e degli investimenti immobiliari dei premi assicurativi versati dall’ente medesimo" perchè "l’art. 1… convenzione chiarisce che la finalità della convenzione stipulata tra la ENEA di INA è… quella di consentire all’ente appellato la costituzione delle disponibilità economiche necessarie per far fronte al trattamento di fine rapporto di lavoro dovuto ai propri dipendenti ai sensi della L. 29 maggio 1982 n. 297":

"pertanto", secondo la corte territoriale, "la causa giustificativa del contratto" ("ossia l’interesse dello stipulante che sta alla base di ogni contratto a favore di terzi ai sensi dell’articolo 1411 c.c.") "va ravvisata nell’interesse dell’ente pubblico ad avere la certezza della disponibilità, a tempo debito ed in corrispondenza delle evenienze legate allo scioglimento del rapporto di lavoro, delle somme dovute, ai sensi della legge… citata, per la corresponsione del trattamento dovuto" atteso che "l’ente, e cosi anche il dipendente in via mediata, vengono esonerati dal rischio di qualsiasi evento atto ad incidere sull’effettiva disponibilità e sufficienza delle somme annualmente accantonate in funzione della quota di trattamento maturata anno per anno dal dipendente stesso".

La "causa del contratto" esaminato, quindi, per il giudice di appello, "è la costituzione di un rapporto di provvista al fine di consentire all’ente pubblico" ("che… si atteggia ad datore di lavoro previdente") "di ottemperare agli obblighi di legge": "la connotazione in termini di rapporto di provvista", per la corte di merito, "è… supportata dalla circostanza che, ai sensi del successivo art. 14, la convenzione non prevede, diversamente dal tipico contratto a favore di terzi, una azione diretta del dipendente nei confronti dell’istituto assicurativo ma stabilisce il passaggio necessario dell’ente datore di lavoro ai fini della liquidazione delle somme agli aventi diritto".

Secondo il giudice a quo, inoltre, "non emerge l’interesse dell’ente a beneficiare il dipendente anche dei maggiori importi rappresentati dal plusvalore maturato rispetto alle somme versate come premio ed aggiornate secondo le percentuali di legge" e "la tesi secondo la quale detto interesse sarebbe ricavabile dall’analisi complessiva della stipulazione contrattuale" è "infondata" perchè (1) "a fronte di una specifica previsione che identifica in modo puntuale nell’interesse dello stipulante nell’acquisizione delle somme necessarie per assolvere agli obblighi legali, non vi sono elementi sufficienti per ritenere esistente una causa contrattuale estranea al testo letterale della polizza in questione" e (2) "la natura pubblica dell’ente… indirizza verso la soluzione interpretativa più in armonia con l’interesse pubblico sul piano dell’equilibrio economico finanziario, evidenziando l’infondatezza della tesi che vorrebbe destinata al dipendente l’arricchimento legato al proficuo investimento di somme da lui non esigibili in quanto rientranti nella disponibilità dell’ente pubblico" ("sotto quest’ultimo profilo non si comprende il motivo per cui l’ente pubblico avrebbe dovuto privarsi anticipatamente delle somme corrispondenti ai premi rinunciando al loro impiego remunerativo e devolvendo ai dipendenti gli introiti legati ai relativi investimenti da parte del assicurativo").

La "fattispecie in parola", "quindi", per la Corte di appello, "assume una caratterizzazione mista, avendo riguardo, da un lato, all’interesse dello stipulante a precostituirsi la provvista necessaria per ottemperare agli obblighi di legge; dall’altro all’interesse dell’ente medesimo a trarre l’utile economico nel caso di maturazione di un plusvalore dagli investimenti rispetto alle somme versate come premi": "pertanto, il contratto … ha le caratteristiche sia del contratto a favore di terzi volto ad assicurare al dipendente le somme dovute per legge a titolo di trattamento di fine rapporto; sia del contratto funzionale all’interesse proprio dell’ente a perseguire una gestione efficiente del remunerativa del proprio patrimonio"; "tale essendo la causa sottostante l’operazione in esame, acquisiscono un significato preciso le singole previsioni contrattuali (in particolare gli artt. 3, 6, 9, 11 e 14) che elevano il dipendente al rango di beneficiario delle prestazioni garantite dalla polizza": "considerato, infatti, che la giustificazione causale di una pattuizione implica la correlata limitazione contenutistica delle prestazioni contrattuali, si deve ritenere che le prestazioni garantite non comprendendo (recte: comprendono) tutte le utilità maturate per effetto del pagamento dei premi ma esclusivamente le disponibilità corrispondenti al trattamento di fine rapporto dovuto ai sensi di legge in forza del citato articolo uno della pattuizione"; "una differente interpretazione porterebbe infatti ad una discrasia tra l’interesse dell’ente che le somme dovute a terzi dal promittente, privando di giustificazione il pagamento ai dipendenti del plusvalore e implicando la nullità in parte qua della rispettiva previsione".

Secondo il giudice di appello, ancora, "non assume… valore decisivo la circostanza che in epoca successiva l’ENEA abbia modificato la polizza nel senso della identificazione come beneficiari dello stesso ente" perchè tale "modifica si spiega con la necessità di risolvere i dubbi interpretativi accesi dalla pregressa formulazione più che nel senso del riconoscimento della precedente pattuizione come volta a beneficiare i dipendenti oltre l’importo loro dovuto ai sensi di legge (…conforme, Consiglio di Stato… n. 1465/05)". La corte romana infine (1) considera "assorbito" dalla ritenuta legittimità dell’"operato dell’ente appellato" il "profilo relativo alla richiesta di risarcimento del danno morale e patrimoniale" ("domanda…, comunque,… del tutto generica anche in considerazione anche con riferimento all’entità dei presunti danni subiti") e (2) afferma "la superfluità", "alla luce di quanto… esposto", delle "istanze istruttorie formulate dai ricorrenti". p.2. Il ricorso.

I ricorrenti impugnano la decisione per cinque motivi.

A. Con il primo il F. (cessato dal servizio prima del 30 giugno 1998) denunzia "violazione dell’art. 1 c.p.c., ovvero del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 1, e art. 69, comma 7", sintetizzata nella richiesta di affermare (1) il seguente (non necessario) "principio giuridico in materia di riparto della giurisdizione":

– "in tema di azione per il risarcimento del danno subito in relazione ad un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di una pubblica amministrazione, il riparto di giurisdizione è strettamente subordinato all’accertamento della natura giuridica dell’azione di responsabilità… proposta, in quanto;

se si tratta di azione contrattuale, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (allorchè la questione abbia per oggetto una questione relativa ad un periodo del rapporto di lavoro antecedente al 30 giugno 1998);

se si tratta invece di azione extracontrattuale, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario.

Alfine di tale accertamento, si deve ritenere proposta la seconda tutte le volte che non emerge una precisa scelta del danneggiato in favore dell’azione contrattuale, e quindi, allorchè, per esempio, il danneggiato invochi la responsabilità aquiliana, ovvero chieda genericamente il risarcimento dei danni senza dedurre una specifica obbligazione contrattuale, e dovendosi, invece, ritenere proposta l’azione di responsabilità contrattuale quando la domanda di risarcimento sia espressamente fondata sull’inosservanza, da parte del datore di lavoro, degli obblighi inerenti al rapporto di impiego";

(2) "in alternativa", il principio secondo cui "in tema di pubblico impiego privatizzato, alfine del riparto di giurisdizione sulla base del discrimine temporale fissato del D.Lgs. 31 marzo 1988, n. 80, art. 45, comma 17, (ora D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7), qualora la lesione del diritto del lavoratore abbia origine da un comportamento illecito permanente del datore di lavoro, si deve fare riferimento al momento di realizzazione del fatto dannoso e, quindi, al momento della cessazione della permanenza, con la conseguenza che va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario allorchè tale cessazione sia successiva al 30 giugno 1998".

B. Nel secondo motivo il medesimo ricorrente – operata (a mò di "piccola chiosa") la "ricostruzione interpretativa che ha regolamentato la fase transitoria della privatizzazione del pubblico impiego" – denunziano "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, in relazione agli artt. 3, 10, 111 e 117 Cost., artt. 20, 21 e 47 Carta Diritti Fondamentali dell’unione Europea, artt. 8, 13, 14, 11 e 18 Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (CEDU)" affermando (pag. 60 del ricorso) che "nel caso…, l’aver ritenuto estinti per decadenza i diritti dei dipendenti ENEA cessati dal servizio anteriormente alla data del 30 giugno 1998, in quanto non azionati entro il 15 settembre 2000, è una patente violazione del… diritto all’effettivo ricorso, tanto più grave quanto è per il richiamo al diritto vivente (sempre il medesimo datore di lavoro è anche colui che amministra la giurisdizione)… all’evidente e decisivo scopo di non far ricadere sui tribunali ordinari tutto il contenzioso riguardante il pubblico impiego…" e formulando il seguente "guesito":

– "Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, deve essere interpretato ed applicato in modo conforme ai principi generali dell’ ordinamento Europeo ed in particolare agli artt. 13 CEDU e 47 della Carta di Nizza, in forza dei quali ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto ad un ricorso effettivo dinanzi a un giudice ed ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente da un giudice indipendente e imparziale";

– "la medesima norma transitoria interna deve applicarsi in stretta aderenza con gli art. 3 Cost., 14 CEDU e 21 Carta di Nizza, in modo da non comportare ingiustificati ed irragionevoli trattamenti discriminatori fondati sull’età degli aventi diritto, in relazione a quanto previsto dal contratto assicurativo per la scadenza delle polizze individuali, di modo che non si precluda a coloro che sono cessati dal servivo prima del 30 giugno 1998 l’effettiva possibilità di agire giudizialmente, proponendo la propria domanda all’autorità giudiziaria ordinaria laddove, anche per fatti imputabili a terzi, sia decorso il termine per adire il giudice amministrativo".

C. Con il terzo motivo gli altri tre ricorrenti (il cui rapporto è cessato dopo il 30 giugno 1998) denunziano "violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e ss., in relazione agli artt. 1325 e 1411 c.c., ed al R.D.L. n. 5 del 1942, art. 4" sostenendo che ("quesiti"):

– "nella ricerca della comune intenzione delle parti contraenti al momento della conclusione del contratto, il primo e principale strumento dell’operazione interpretativa è costituito dalle parole ed espressioni del contratto, il cui rilievo deve essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, restando escluso, ove esse indichino un contenuto sufficientemente preciso, che l’interprete possa ricercare un significato diverso da quello letterale in base ad altri criteri ermeneutici, il ricorso ai quali presuppone la rigorosa dimostrazione dell’insufficienza del mero dato letterale ad evidenziare in modo soddisfacente la volontà contrattuale" ; – "è espressamente prevista dall’ordinamento la stipulazione di contratti di capitalizzazione che assicurino la corresponsione ai dipendenti di somme non inferiori (quindi anche superiori) a quelle loro dovute per l’indennità di fine rapporto, in forza del principio di libertà contrattuale sancito dalla titolo 1322 del c.c. e della norma di cui all’art. 2123 c.c. che prevede espressamente che il datore di lavoro possa compiere atti di previdenza per coprire, in tutto o in parte, quanto da lui dovuto a norma dell’art. 2120 c.c.. Tali contratti, mancando del carattere aleatorio, possono denominarsi, in sintonia con il R.D.L. 8 gennaio 1942, n. 5, convertito nella L. 2 ottobre 1942, n. 1251, come contratti di capitalizzazione. Tale riconoscimento da parte dell’ordinamento è stato mantenuto anche successivamente alla riforma del trattamento di fine rapporto operato dalla legge 297/82, il cui art. 2 non ha abrogato l’art. 4, R.D.L. n. 5 del 1942 che prevede e tipizza detti contratti. Quanto alla causa che sorregge l’erogazione del di più rispetto all’indennità di fine lavoro e risultante dalla capitalizzazione degli accantonamenti, essa è quella propria dei contratti tipizzati dal R.D.L. n. 5 del 1942, art. 4, la cui finalità è di garantire ai dipendenti un trattamento di fine rapporto non inferiore a quello dovuto per legge; per cui, essendo espressamente prevista dalla legge la conclusione di contratti per l’erogazione ai dipendenti della intera capitalizzazione finanziaria degli accantonamenti dell’indennità di fine rapporto, in misura che può anche risultare superiore a quello che sarebbe dovuto che quest’ultimo titolo, deve ritenersi che contratti del genere non abbiano certamente una causa di liberalità, adempiendo anche alla funzione di liberare il datore di lavoro dalla gestione dell’accantonamento. La compatibilità di tali contratti anche con la natura pubblica dell’ente contraente (che si priva del frutto degli accantonamenti) e da fondarsi, giuridicamente, proprio sulle citate norme di cui all’art. 2123 c.c., ed al R.D.L. n. 5 del 1942, art. 4, e quindi sulla possibilità che qualunque datore di lavoro possa compiere atti di previdenza per coprire, in tutto o in parte, quanto da lui dovuto a norma dell’art. 2120 c.c.; possibilità riconfermata anche dalla L. n. 297 del 1982, che l’ha mantenuta per i datori di lavoro, compresi gli enti pubblici, con riguardo alla stipula di contratti di assicurazione di capitalizzazione estesi alla totalità degli impiegati e aventi come beneficiari gli impiegati stessi o i loro aventi causa, che garantiscano a ciascun impiegato prestazioni per la risoluzione del rapporto di impiego in misura non inferiore a quella loro spettante per la risoluzione del rapporto di impiego";

– "poichè nel contratto regolato dall’art. 1411 c.c., il diritto del terzo deve trovare fondamento esclusivo nel contratto stesso, il conferimento del beneficio, riferito alla prestazione che il promittente si obbliga ad eseguire, riguarda l’intera prestazione come determinata esclusivamente dalla regolamentazione contrattuale e non è consentita alcuna interpretazione da cui consegua la limitazione del beneficio a diritti di cui il terzo è già titolare in forza di distinte norme di legge o della contrattazione collettiva, soprattutto se tale interpretazione è fondata su elementi extratestuali rispetto al contratto stesso".

D. Nella quarta doglianza i medesimi ricorrenti di cui al punto precedente lamentano "violazione o falsa interpretazione dell’art. 421 c.p.c., comma 2, e art. 437 c.p.c., comma 2", in ordine alla "mancata acquisizione, da parte della corte d’appello, del certificato assicurativo che rappresenta la polizza individuale di ciascun ricorrente", sintetizzandola con il "guesito" "è caratteristica precipua del rito del lavoro il contemperamento del principio dispositivo con le esigenze della ricerca della verità reale di guisa che, allorquando le risultanze di causa offrono significativi dati di indagine, il giudice, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondato sull’onere della prova, ma ha il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenza in danno delle parti.

L’esercizio del potere d’ufficio del giudice, pur in presenza di già verificatesi preclusioni o decadenze e pur in assenza di una esplicita richiesta delle parti in causa, non è quindi meramente discrezionale, ma presentandosi con un potere-dovere, richiede che il giudice del lavoro non possa limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondato sull’onere della prova, avendo – in ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 c.p.c., ed al disposto di cui art. 111 Cost., comma 1, sul "giusto processo regolato dalla legge" – di esplicitare le ragioni per le quali reputi di fare ricorso all’uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta delle parti, ritenga, invece di non farvi ricorso".

E. Nel quinto (ultimo) motivo gli stessi ricorrenti del punto C – assunto che "il giudicante ha omesso totalmente la considerazione dei fatti e documenti decisivi proposti alla sua attenzione" – denunziano "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia" indicando il "fatto controverso" nella "diversa interpretazione della convenzione 52900…, posto che i ricorrenti affermano l’assenza di limitazioni a loro beneficio, quindi la titolarità anche dei rendimenti dei premi versati, mentre l’ENEA deduce che tale diritto debba intendersi riferito al solo trattamento di fine rapporto previsto dalla L. n. 297 del 1982, per cui dica la suprema corte di cassazione se la corte di appello…, nell’indicare nel solo art. 1 della convenzione la clausola in base alla quale si debbano definire la determinazione e la misura del diritto alla prestazione assicurativa attribuita dal contraente ENEA al dipendente beneficiario, affermandosi per le restanti clausole, o un contenuto diverso da quello che realtà hanno, ovvero la loro irrilevanza ai fini del interpretativi, omettendo, pertanto l’analisi integrale e coordinata sia del contratto assicurativo, che di quei fatti e di quei documenti che i ricorrenti hanno più e più volte indicato come essenziali alla decisione della causa, quindi decidendo per il rigetto dell’appello in quanto è stata ritenuta accertata la limitazione del beneficio attribuito a i ricorrenti al solo TFR maturato ai sensi della L. n. 297 del 1982, non abbia reso una motivazione carente, insufficiente contraddittorìe su un fatto costitutivo della domanda dispiegata e dirimente ai fini del giudizio". p.3. Il ricorso incidentale condizionato dell’ISPRA. "Per l’ipotesi che il ricorso avversario debba trovare accoglimento", l’ISPRA impugna la medesima decisione per due motivi: con questi denunzia "nullità" della sentenza di appello "per assenza di motivazione ex art. 132 c.p.c., n. 4" ("in quanto priva dell’indicazione delle ragioni di diritto") (1) sull’"eccezione di prescrizione" da esso sollevata e (2) sull’eccepito suo "difetto di legittimazione" ("essendo le domande fondate su fatti anteriori al 28 gennaio 1994", "decorrenza" dell’APAT "istituita dalla L. n. 61 del 1994"). p.4. Le ragioni della decisione.

Il ricorso – al quale non si applica il disposto dell’art. 366 bis c.p.c. (inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, a far data dal 2 marzo 2006) perchè la sentenza impugnata è stata depositata il 28 dicembre 2009, quindi successivamente all’abrogazione di tale norma, disposta (a decorrere dal 4 luglio 2009) dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. art. 47, comma 1, lett. d), – deve essere respinto. p.4.1. La decisione dei primi due motivi di ricorso, interessanti solo FE.Ce. (cessato dal servizio prima del 30 giugno 1998).

A. Specificamente in ordine alla domanda, avanzata dagli ex dipendenti dell’ENEA cessati dal servizio in epoca anteriore al 30 giugno 1998, di "corresponsione", come richiesto dagli odierni ricorrenti (o loro danti causa) in siffatta situazione temporale, "del trattamento assicurativo al beneficiario… risultante dalla polizza individuale" a suo tempo stipulata dal datore di lavoro, invero, queste sezioni unite (sentenze 14 aprile 2010 nn. 8831 e 8834; 12 ottobre 2009 nn. 21554-21555) hanno già rettamente affermata la giurisdizione del giudice amministrativo, escludendo che la prestazione abbia "natura previdenziale":

si è, infatti, ivi evidenziato (excerpta dalle decisioni del 2009) che "ai fini della giurisdizione non è sufficiente la natura latamente previdenziale della prestazione richiesta, ma occorre altresì che tale prestazione sia dovuta da un ente preposto alla previdenza obbligatoria nell’ambito di un rapporto (previdenziale, appunto) che trovi fonte esclusiva nella legge e abbia causa, soggetti e contenuto diversi rispetto al rapporto di lavoro, il quale a sua volta si ponga rispetto al rapporto previdenziale come mero presupposto di fatto e non come momento genetico del diritto alla prestazione; ove sussistano questi requisiti, vi è la giurisdizione del giudice ordinario anche quando il lavoratore sia un pubblico impiegato, salvo beninteso il caso di giurisdizione della Corte dei Conti. Ben diverso è il caso in esame in cui – come queste Sezioni unite hanno precisato in analoghe controversie – la prestazione di contenuto genericamente previdenziale sia dovuta al lavoratore come prestazione del datore di lavoro nell’ambito di una forma di previdenza interna a carattere aziendale, anche se il fondo all’uopo costituito sia alimentato dai contributi a carico anche dei lavoratori; ed infatti le somme in tal modo raccolte appartengono ai soggetti del rapporto di lavoro e costituiscono l’accantonamento di una parte della retribuzione a fini previdenziali (così realizzandosi, ma per il tramite della retribuzione, la funzione previdenziale di cui all’art. 38 Cost.), ed hanno perciò natura del tutto diversa da quella assunta dai contributi previdenziali obbligatori (cfr. Cass., sez. un., n. 21554 del 2009)".

"La stretta inerenza sostanziale al rapporto di impiego" ("tale che la contribuzione non è altro che una parte della prestazione retributiva"), infatti (si è precisato), "si riflette sulla determinazione della giurisdizione, nel senso che le relative controversie sono devolute al giudice del rapporto, e quindi al giudice amministrativo, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, ove si deducano" (come anche nel caso) "situazioni giuridiche soggettive maturate anteriormente alla data del 30 giugno 1998 (cfr. Cass., sez. un., n. 21554 del 2009, eh; id, n. 10464 del 2008; id, n. 23236 del 2005; id, n. 1252 del 2000)".

Queste sezioni unite (Cass., un. 27 gennaio 2011 n. 1875, che richiama "Cass. 2008/18623, 2009/5468 e 2009/15849"), inoltre, "hanno già da tempo stabilito" pure:

(1) "che ai fini della individuazione del giudice destinato a conoscere le cause di risarcimento danni da lesioni patite dal pubblico dipendente prima del 30 giugno 1998, occorre verificare se il fatto illecito ascritto all’Amministrazione costituisca espressione di responsabilità contrattuale od extracontrattuale, ovverosia se sia (in tesi) dipeso dalla violazione degli obblighi propri del datore lavoro oppure dalla violazione del generale divieto dei neminem leadere";

(2) "che a tal fine è irrilevante la qualificazione data dal danneggiato all’azione, perchè quello che conta sono i tratti propri dell’elemento materiale dell’illecito nel senso che" (a) "deve affermarsi la giurisdizione del giudice ordinario qualora sia stata addebitata all’Amministrazione una condotta la cui capacità lesiva possa indifferentemente esplicarsi sia nei confronti dei dipendenti che degli estranei, mentre" (b) "deve essere affermata la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso in sia stata denunciata una condotta tale da escluderne qualsiasi rilevanza nei confronti dei soggetti non legati all’Amministrazione da un rapporto di pubblico impiego".

Nella fattispecie posta dagli odierni ricorrenti a fondamento della rispettiva domanda è evidente che la "condotta… lesiva" da essi addebitata all’ente ("scelta di non pagare più i premi dovuti dal 1993 in poi") può "esplicarsi" soltanto nei confronti "dei dipendenti" e mai di "soggetti non legati alìAmministrazione da un rapporto di pubblico impiego".

Con l’ordinanza (ex art. 375 c.p.c.) n. 6599 depositata il 23 marzo 2011, ancora ed infine, le sezioni unite hanno anche opportunamente chiarito (in controversia identica, avendo anche quella ad oggetto la individuazione del giudice avente giurisdizione sulla "domanda proposta da… ex dipendenti ENEA per la declaratoria del loro diritto, quali assicurati e beneficiari della polizza collettiva (OMISSIS) stipulata dall’ente con l’INA, a percepire il relativo trattamento assicurativo… o, in subordine, i rendimenti conseguenti alla predetta polizza") che:

(a) "non può rilevare… la proposizione di una specifica domanda di risarcimento, anche in relazione al danno morale conseguente al comportamento denunciato, perchè per le controversie devolute alla sua giurisdizione il giudice amministrativo, ai sensi della L. n. 205 del 2000, art. 35, dispone anche con riguardo al risarcimento del danno ingiusto cagionato dalla pubblica amministrazione (cfr. Cass., sez. un., n. 5468 del 2009; n. 15849 del 2009)";

(b) "per gli aspetti risarcitori non si profila alcuna permanenza dell’illecito oltre la data di cessazione del rapporto lavorativo, con la quale coincide l’asserito inadempimento dell’ente datore di lavoro", "non essendo stati… prospettati" (anche in questa controversia come in quella) "successivi comportamenti datoriali rilevanti" ai fini di apprezzate la asserita "permanenza dell’illecito oltre la data di cessazione del rapporto lavorativo".

B. Il secondo motivo di doglianza è inammissibile.

Considerato il "costante" (così definito da Cass., 3^, 10 settembre 2010 n. 19282, da cui i brani che seguono) "orientamento" di questa Corte, invero, si deve ribadire il principio secondo cui "il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme r egolatria della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione".

La "la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata", infatti (Cass., 3^, 12 ottobre 2010 n. 21013), è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso (o, anche, di un suo motivo), rilevabile anche d’ufficio (ex multis, Cass. 07/11/2005, n. 21490; Cass. 24/02/2004, n. 3612; Cass. 23/05/2001, n. 7046), atteso che l’inconferenza del motivo comporta che l’eventuale accoglimento della censura risulta comunque privo di rilevanza nella fattispecie, in quanto inidoneo a risolvere la questione decisa con la sentenza impugnata (Cass. Sez. Unite, 12/05/2008, n. 11650).

Nel caso, dall’esame degli atti la cui cognizione è consentita in questa fase, non si evince (nè i ricorrenti lo indicano) quale sia il punto della decisione impugnata nel quale il giudice a quo – che si è limitato a ribadire la carenza di giurisdizione dichiarata dal tribunale ordinario ed a confermare quella amministrativa indicata dal primo giudice – abbia, sia pure per implicito, affermato e/o ritenuto "estinti per decadenza i diritti dei dipendenti ENEA cessati dal servizio anteriormente alla data del 30 giugno 1998, in quanto non azionati entro il 15 settembre 2000": il motivo in esame, quindi, non è in alcun modo "idoneo a risolvere" (peraltro in senso favorevole ai ricorrenti) "la questione" del riparto della giurisdizione, unica "decisa con la sentenza impugnata".

C. In definitiva, essendo risultata corretta la individuazione, operata dai giudici di merito, del giudice amministrativo quale organo avente giurisdizione sulla domanda proposta dai ricorrenti nei confronti dell’ENEA, le parti – in applicazione del principio affermato da queste sezioni unite nella sentenza 22 febbraio 2007 n. 4109 (ribadito da Cass., un., 4 giugno 2007 n. 13048) secondo cui, ricavandosi dalla "chiara enunciazione della norma dell’art. 382 c.p.c., comma 3, univocamente che la pronuncia di cassazione senza rinvio non deve avvenire in tutte le ipotesi in cui questo giudice di legittimità stabilisce che la sentenza impugnata è stata emessa da un giudice sfornito di giurisdizione, ma solo in quei casi in cui, affermando che nè il giudice che detta sentenza ha emesso nè alcun altro giudice è fornito di giurisdizione" (quindi, in "ipotesi di improponibilità assoluta della domanda sia innanzi al giudice ordinario che al giudice speciale"), "è stato dato ingresso nell’ordinamento processuale al principio della traslatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale, e viceversa, in caso di pronuncia sulla giurisdizione" – vanno rimesse, per lo svolgimento del giudizio di merito, innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale competente. p.4.2. La decisione degli ulteriori tre motivi di ricorso, interessanti F.G., G.A.G.V. e N.N.C. (cessati da) servizio dopo il 30 giugno 1998).

A. La prima delle tre doglianze in esame ("violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e ss., in relazione agli artt. 1325 e 1411 c.c., ed al R.D.L. n. 5 del 1942, art. 4") è insussistente.

Il vizio di "violazione o falsa applicazione di norme di diritto" ( art. 360 c.p.c., n. 3), infatti, "come assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice" (così Cass., un., 5 maggio 2006 n. 10313), consiste unicamente "nella deduzione di una erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre la allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna alla esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione": "il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi (violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata, valutazione delle risultanze di causa".

Nel caso il giudice di appello non ha affatto negato, neppure per implicito, che (giusta la sintesi della doglianza contenuta nel non necessario quesito di diritto formulato in proposito):

(1) ""nella ricerca della comune intenzione delle parti contraenti al momento della conclusione del contratto, il primo e principale strumento dell’operazione interpretativa è costituito dalle parole ed espressioni del contratto": la corte romana, infatti, ha espressamente dichiarato di fondare la sua decisione proprio sulla "interpretazione complessiva della polizza") il controllo sulla concreta osservanza di tale affermazione di principio, naturalmente, investe la concreta interpretazione adottata dal giudice e, perciò, è denunziabile innanzi a questa corte unicamente nelle e per le specifiche ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., n. 5;

(2) sia "prevista dall’ordinamento la stipulazione di contratti di capitalizzazione che assicurino la corresponsione ai dipendenti di somme non inferiori (quindi anche superiori) a quelle loro dovute per l’indennità di fine rapporto, in forza del principio di libertà contrattuale sancito dalla titolo 1322 del c.c. e della norma di cui all’art. 2123 c.c." (la quale, secondo i ricorrenti, "prevede espressamente che il datore di lavoro possa compiere atti di previdenza per coprire, in tutto o in parte, quanto da lui dovuto a norma dell’art. 2120 c.c."): il giudice del merito ha solo escluso, in fatto, che la "polizza" contenesse un contratto di capitalizzazione in favore dei dipendenti dell’ente datore di lavoro;

sulla questione va, quindi, ribadito quanto osservato da queste sezioni unite (sentenze 12 ottobre 2009 n. 21553, da cui gli excerpta che seguono, e 22 giugno 2011 n. 13638), ovverosia, che:

(a) pur se, "secondo le previsioni della… L. n. 297 del 1982", "non sono impedite, in generale, indennità corrisposte alla cessazione del rapporto aventi natura e funzioni diverse da quelle dell’indennità di anzianità, di fine lavoro, di buonuscita, comunque denominate" ("poichè, in effetti, il legislatore ha inteso precisare che gli aspetti inderogabili della disciplina sono attinenti solo al titolo del trattamento di fine rapporto, sussistendo la possibilità, per il datore di lavoro, di corrispondere al lavoratore, in occasione della cessazione del rapporto, erogazioni aggiuntive, a titolo diverso e distinto da quello del detto trattamento, rispetto al quale si collocano a latere"), "tuttavia, la previsione di tali somme si ricollega pur sempre al contratto di lavoro, nel quale deve trovare una giustificazione causale che sia idonea ad escludere una disposizione derogatoria della disciplina legale": "a questa ipotesi si riconducono, per esempio, le previsioni contrattuali di mensilità aggiuntive al momento della cessazione del rapporto, riguardanti l’incentivazione all’esodo anticipato del lavoratore a tutela anche di un interesse del datore di lavoro e idonee, pertanto, a configurare un emolumento concettualmente distinto dal trattamento di fine rapporto";

(b) anche ivi "l’interpretazione del giudice di merito, condotta alla luce della comune volontà delle parti risultante dalle clausole della… medesima convenzione, ha escluso che somme aggiuntive possano trovare causa nel rapporto di lavoro, in riferimento ad incentivazioni all’esodo, ovvero ad altre causali, ed ha invece ricollegato il frutto dell’investimento alla gestione e alle finalità proprie dell’ente, così identificando con precisione la natura e la funzione della polizza stipulata con l’INA": "non s’è trattato", perciò, "di ricondurre nell’area del trattamento di fine rapporto emolumenti di dubbia natura, ma… di escludere in maniera specìfica, anche in ragione della struttura della provvista e delle modalità di erogazione degli importi derivanti dalla polizza, che la previsione di utilità economiche ulteriori rispetto alle somme a garanzia del t.f.r. fosse diretta ai dipendenti".

(3) "nel contratto regolato dall’art. 1411 c.c. il diritto del terzo deve trovare fondamento esclusivo nel contratto stesso", di tal che "il conferimento del beneficio, riferito alla prestazione che il promittente si obbliga ad eseguire, riguarda l’intera prestazione come determinata esclusivamente dalla regolamentazione contrattuale":

la corte di appello si è limitata a constatare che la "prestazione che il promittente si obbliga ad eseguire" prevista dalla concreta "regolamentazione contrattuale" non include il "conferimento" al "terzo" anche del "beneficio" di somme ulteriori rispetto a "quanto… dovuto a norma dell’art. 2120 c.c." ed in base alla " L. n. 297 del 1982"; in tale "conclusione ermeneutica del giudice di merito", quindi, come già rilevato nella citata decisione n. 21553 del 2009, non è configurabile "una violazione dell’art. 1411 c.c." perchè, "una volta escluso" (in fatto) "che i benefici ulteriori siano effettivamente previsti nella convenzione assicurativa", "non si verifica alcuna alterazione causale del contratto a favore di terzi, che mantiene la sua funzione di arrecare ai terzi tutti i vantaggi previsti dalle parti, consistenti in via esclusiva nella garanzia del trattamento di fine rapporto".

I ricorrenti, invero, fondano la loro doglianza soltanto sull’assunta spettanza ad essi, in base all’interpretazione delle clausole della polizza da loro propugnata, delle "somme maturate in funzione dell’andamento del costo della vita e degli investimenti immobiliari dei premi assicurativi versati dell’ente medesimo": siffatta spettanza, però, nel caso, è stata disconosciuta dal giudice del merito e tanto, giusta il principio di diritto richiamato all’inizio, esclude di per sè la denunziata violazione di legge perchè la censura – proponendo, in realtà, una "erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta" – si risolve nella mera contestazione "delle risultanze di causa", ("risultanze") denunziabili ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ed oggetto specifico dell’ultimo motivo.

B. La "violazione o falsa interpretazione dell’art. 421 c.p.c., comma 2, e art. 437 c.p.c., comma 2" in ordine alla "mancata acquisizione, da parte della corte d’appello, del certificato assicurativo che rappresenta la polizza individuale di ciascun ricorrente" addotta con l’altra doglianza del gruppo in esame, è inammissibile perchè la corte di appello non ha opposto "preclusioni o decadenze" all’ammissibilità delle "istanze istruttorie formulate dai ricorrenti"ma si è solo limitata a rilevare, "alla luce di quanto… esposto" in precedenza, la "superfluità" (quindi la non necessità, peraltro neppure contestata con la doglianza, ai fini del decidere) delle stesse.

C. Il vizio di "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia", (ovverosia sulla "interpretazione della convenzione (OMISSIS)") denunziato con l’ultimo motivo, infine, è insussistente.

In limine va ricordato che:

– "la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico- formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge)" (Cass., 2^, 11 luglio 2011 n. 15188, ex permultis);

– "il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi che sorregge il decisum adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorchè, dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice" (Cass., un., 22 dicembre 2010 n. 25984, tra le moltissime).

– "il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità, ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se, nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce a questa Corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l ‘ esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione" (Cass., un. 11 giugno 1998 n. 5802; tra le recenti: Cass., 3^: 12 luglio 2007 n. 15604; 18 aprile 2007 nn. 9244-9245).

L’applicazione al caso di siffatti principi pone in luce l’assenza, nella sentenza impugnata, di qualsivoglia dei delineati vizi atteso che la complessiva (per quanto diffusa) censura dei ricorrenti si risolve unicamente in una sostanziale richiesta di revisione del contrario ragionamento del giudice del merito e di interpretazione della convenzione in senso favorevole alla loro tesi, (revisione ed interpretazione) fondate, peraltro, unicamente sulla assunta loro "titolarità unica" (e non dell’ente datore di lavoro, stipulante) delle "somme maturate in funzione dell’andamento del costo della vita e degli investimenti immobiliari dei premi assicurativi versati dall’ente medesimo".

In ordine allo specifico accertamento fattuale concernente la "titolarità" detta, però, la censura si limita a richiamare (comunque in maniera del tutto inidonea, attesa l’assoluta parzialità dei richiami ad alcune clausole della "polizza": quindi in violazione dell’art. 366 c.p.c.) frammenti delle pattuizioni, neppure dalle quali si evince un qualche vizio interpretativo sulla (negazione della) "titolarità" rivendicata atteso che la sola qualità di "beneficiari" e di "assicurati" (rivestita dai ricorrenti) non è idonea a ricomprendere anche la spettanza delle somme in questione: in particolare si deve evidenziare che l’assunto dei ricorrenti secondo cui la clausola contenuta nell’art. 1 della convenzione (richiamata dal giudice del merito) "non contiene espresse o implicite limitazioni dell’importo della provvista da costituirsi" – pilastro esclusivo della costruzione logica successiva – costituisce mera espressione della interpretazione (interessata) dei ricorrenti ma non esplicazione di un qualche vizio logico e/o ricostruttivo della effettiva volontà contrattuale e, soprattutto, della doppia finalità della "provvista" ritenute dal giudice del merito, unico istituzionalmente deputato.

Va, pertanto, ribadito che (come affermato nella richiamata sentenza del 2009) anche qui:

– "le osservazioni critiche svolte in ricorso sono indirizzate, sostanzialmente, a sostenere un diverso risultato interpretativo delle clausole contrattuali, considerato preferibile a quello accolto nella sentenza censurata";

– "la prospettazione di una diversa ricostruzione storica della convenzione assicurativa, operata dai ricorrenti con riferimento ad una pretesa finalità di risparmio in favore dei dipendenti, non potrebbe comportare – alla luce delle considerazioni sopra premesse – un diretto esame del diverso risultato interpretativo da contrapporre a quello raggiunto dal giudice di merito con riguardo alla natura e alla funzione del negozio; nè la mancata considerazione di un tale intento specifico di risparmio, prospettato in questa sede, che avrebbe determinato l’ente datore di lavoro alla stipulazione della convenzione INA, potrebbe risolversi nel vizio qui denunciato, atteso che la comune volontà delle parti deve essere desunta in funzione di ciò che nelle clausole del contratto esaminato appare obiettivamente voluto in relazione ad un determinato istituto, si da risolversi ogni eventuale dubbio nell’unità di intento che si può desumere obiettivamente dalla formula contrattuale, allorquando risulti che su di essa si volle formato il consenso". 43. Il ricorso incidentale dell’ISPRA. Il mancato avveramento del fatto ("ipotesi che il ricorso avversario debba trovare accoglimento") cui l’ente ha espressamente condizionato la proposizione della sua impugnazione incidentale determina l’assorbimento della stessa per evidente mancanza di interesse ( art. 100 c.p.c.) al suo scrutinio (cfr. Cass., un., 3 marzo 2010 n. 5023, che richiama "Cass. S.U. 15 luglio 2009, n. 16504; 6 marzo 2009, n. 5456; 30 ottobre 2008, n. 26018; 31 ottobre 2007, n. 23019", per la quale una "impugnazione", per risultare "ammissibile" e, quindi, necessario oggetto di doveroso esame da parte, del giudice, "deve essere sorretta da un adeguato interesse della parte, riscontabile solo nel caso in cui il ricorso principale si mostri fondato"). p.4.4. Delle spese processuali.

Le spese del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti ai sensi del secondo comma dell’art. 92 c.p.c., attesa (come evidenziato anche in altre decisioni) la "oggettiva difficoltà della questione".

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso dei ricorrenti cessati dal servizio prima del 30 giugno 1998 e dichiara la giurisdizione del Tribunale Amministrativo Regionale, innanzi al quale rimette le parti per il giudizio di merito; rigetta il ricorso dei ricorrenti cessati dal servizio dopo il 30 giugno 1998; dichiara assorbito il ricorso incidentale; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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