Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-06-2011) 11-10-2011, n. 36570 Determinazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza dell’8 ottobre 2009, la Corte d’appello dell’Aquila ha confermato, quanto all’accertata responsabilità penale, la sentenza del Tribunale di Chieti, resa a seguito di giudizio abbreviato il 12 dicembre 2008, con cui l’imputato era stato condannato per i reati di cui agli artt. 609-bis, 582 e 585, in relazione all’art. 576 c.p., comma 1, n. 1), rideterminando la pena in diminuzione.

Il fatto ascritto all’imputato consiste nell’essersi introdotto repentinamente nell’auto di proprietà della persona offesa – con la quale aveva avuto una relazione durata alcuni anni – e nell’averla costretta a subire rapporti sessuali consistenti in baci e palpeggiamenti sul seno, tenendola ferma sul sedile con il peso del proprio corpo e cingendola con un braccio, nonchè dandole morsi, tirandole i capelli, e schiaffeggiandola sul volto. L’imputato era stato colto in flagrante dai carabinieri che avevano seguito lo svolgersi dei fatti, preventivamente avvisati dalla persona offesa, la quale aveva già subito altre molestie.

2. – Avverso tale pronuncia, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, non contestando la sua responsabilità penale e lamentando: 1) la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa la gravita del fatto, in relazione al mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 609-bis c.p., comma 3; 2) la manifesta erroneità del calcolo effettuato per la determinazione della pena.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è parzialmente fondato.

3.1. – Il motivo sub 1) – con cui si contesta la motivazione circa la gravita del fatto, con particolare riferimento al mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 609-bis c.p., comma 3 – è infondato.

Deve preliminarmente richiamarsi, sul punto, il principio affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di reati sessuali, per l’applicazione della circostanza attenuante speciale prevista dall’art. 609-bis c.p., comma 3, rilevano solo gli elementi indicati nel comma 1 e non quelli indicati nell’art. 133 c.p., comma 2, non rispondendo la mitigazione della pena all’esigenza di adeguamento alla colpevolezza del reo e alle circostanze attinenti alla sua persona ma solo alla minore lesività del fatto, da rapportare al grado di violazione del bene giuridico della libertà sessuale della vittima, (ex plurimis, Sez. 3, 15 giugno 2010, n. 27272 e 18 novembre 2007, n. 1192).

La motivazione della sentenza censurata si sofferma ampiamente su tale aspetto, recependo, in punto di diritto, il principio appena ricordato ed evidenziando, con completezza e coerenza logica, che nel caso in esame il fatto appare grave sotto i profili del disvalore della condotta, desunto dalle modalità dell’azione, della gravita del danno cagionato, dell’intensità del dolo. In particolare, la Corte d’appello rileva che: a) la condotta è stata portata avanti nonostante una precedente serie di reazioni negative della persona offesa rispetto agli approcci dell’imputato; b) il dolo era particolarmente intenso, perchè l’imputato era già stato sottoposto a misure cautelari per fatti analoghi nei confronti della stessa persona e nonostante ciò si era determinato a commettere il reato;

c) il danno causato poteva essere considerato "un vero e proprio danno psichico", perchè si inquadrava in una generale compromissione della libertà di movimento della persona offesa.

A fronte di una siffatta motivazione – la quale appare, come anticipato, del tutto completa e coerente – le censure del ricorrente si esauriscono nella richiesta di riesame di profili di fatto già esaminati; riesame precluso in sede di legittimità. Trova, infatti, applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione normativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (ex plurimis, tra le pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46: Sez. 6, 29 marzo 2006, n. 10951; Sez. 6, 20 aprile 2006, n. 14054; Sez. 3, 19 marzo 2009, n. 12110; Sez. 1, 24 novembre 2010, n. 45578; Sez. 3, 9 febbraio 2011, n. 8096).

3.2. – Il motivo di ricorso sub 2) è, invece, fondato.

Infatti, nella determinazione della pena finale in anni due e mesi otto di reclusione, la Corte d’appello è incorsa in un evidente errore di calcolo, perchè è partita da una pena base di anni cinque, aumentata ad anni cinque e mesi tre per la continuazione, ridotta di un terzo per le attenuanti generiche ad anni tre e mesi sei; l’ulteriore riduzione di un terzo per il rito avrebbe dovuto portare, dunque, ad una pena finale di anni due e mesi quattro e non – come ritenuto dalla Corte distrettuale – di anni due e mesi otto.

4. – Trattandosi di semplice rideterminazione della pena, che non comporta una rivalutazione del merito della causa ma soltanto l’effettuazione di un calcolo aritmetico, possono trovare applicazione l’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l) e art. 621 c.p.p., comma 1, ultimo periodo.

La sentenza deve, dunque, essere annullata senza rinvio, limitatamente alla statuizione sulla pena, che deve essere rideterminata in anni due e mesi quattro di reclusione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in punto di pena, rideterminando quest’ultima in anni due e mesi quattro di reclusione;

rigetta, nel resto, il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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