Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-06-2011) 11-10-2011, n. 36585 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza del 14 luglio 2010, il Tribunale di Catania, in sede di riesame, ha sostituito la misura della custodia cautelare – disposta a carico dell’indagata odierna ricorrente e di altri soggetti con ordinanza del GIP dello stesso Tribunale in data 14 giugno 2010 – con quella degli arresti domiciliari, in relazione ai reati di associazione a delinquere e sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione aggravato e continuato.

La condotta contestata all’indagata consiste nell’essersi associata allo scopo di commettere più delitti di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, avendo in particolare svolto il ruolo di ideatrice ed organizzatrice dell’attività di prostituzione all’interno di un club operante sotto la copertura di un club per coppie scambiste. In tale locale, a seguito di alcuni accertamenti preliminari compiuti dai carabinieri, erano stati eseguiti servizi di videoriprese, oltre ad intercettazioni ambientali telefoniche disposte sulle utenze in uso agli indagati, che – secondo quanto riferito dal tribunale – avevano consentito di accertare che, sotto la pretesa agevolazione dello scambio di coppie, in realtà si svolgeva la ben diversa attività di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, perchè il circolo era frequentato, più che da coppie, da uomini soli, ai quali gli organizzatori garantivano, a pagamento, un numero di donne proporzionato e sufficiente per consumare rapporti sessuali.

Con particolare riferimento, poi, alla specifica posizione della ricorrente, nell’ordinanza impugnata si evidenzia che questa aveva, in sede di interrogatorio, precisato di essere convivente del coindagato M. ed ex coniuge del coindagato C. e aveva negato gli addebiti, sostenendo che l’attività del circolo, nel quale si occupava di aprire il locale e dei nuovi tesseramenti, era assolutamente lecita. A fronte di tali affermazioni, il Tribunale rileva che lo stabile inserimento della donna nella gestione del locale, il suo ruolo manageriale svolto insieme al convivente coimputato, nonchè la sua costante presenza nella fase organizzativa e durante lo svolgimento delle serate integrano gravi indizi della sussistenza del reato associativo.

Quanto alle esigenze cautelari, l’ordinanza censurata precisa che la reiterazione dei fatti accertati, la gravità degli stessi, la predisposizione di una struttura idonea a garantire il buon funzionamento dell’associazione criminale, la copertura assicurata dall’attività della stessa sono tutti elementi che fanno ritenere concreto il pericolo di reiterazione la condotta, anche per la pluralità degli episodi di sfruttamento accertati.

2. – Avverso tale provvedimento, l’indagata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo la illogicità e manifesta contraddittorietà della motivazione, sotto diversi profili, tutti relativi alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Si contesta, in primo luogo, che il pagamento delle prestazioni sessuali avvenisse direttamente dai parte dei clienti, sostenendo che questi si limitavano a corrispondere un prezzo d’ingresso comprensivo anche dell’iscrizione al circolo.

Si afferma, in secondo luogo, che mancherebbe la prova concreta del fatto che l’indagata fosse a conoscenza della presunta attività di meretricio svolta all’interno del circolo e che la sua presunta funzione manageriale non sarebbe agganciata ad elementi concreti.

A tale proposito, si evidenzia che il numero di telefono della ricorrente non sarebbe mai stato utilizzato per le inserzioni pubblicitarie, funzionali al reperimento di nuovi soci.

Si sostiene, in terzo luogo, che le risultanze investigative metterebbero in luce una realtà che smentisce gli assunti del Tribunale, perchè la ricorrente non ha mai ricoperto cariche all’interno del circolo, non ha mai pagato o preso parte a pagamenti delle donne, non ha mai dato istruzioni sul da farsi, non ha mantenuto i contatti con le coppie che frequentavano il locale, non ha mai provveduto a prendere decisioni o a dividere i ricavi.

La difesa dell’indagata ha depositato in udienza un documento qualificato "Spunti di riflessione", con cui ribadisce quanto già sostenuto nel ricorso.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza – sulla quale si appuntano le censure della ricorrente – l’ordinanza impugnata contiene una motivazione ampia, dettagliata e logicamente corretta, perchè descrive i risultati dell’attività di indagine fornendo una ricostruzione organica del quadro probatorio.

In particolare, con riferimento alla posizione di tutti i coindagati, il Tribunale rileva che: a) nel corso delle conversazioni telefoniche intercettate, i coindagati si riferiscono al termine "coppie", con il quale indicano i singoli avventori maschi o le donne dedite alla prostituzione all’interno del locale, come riscontrato dai contestuali servizi di osservazione svolti dai carabinieri (punto 2 dell’ordinanza); b) vi erano coppie che frequentavano il locale, le cui componenti femminili consumavano rapporti sessuali con i clienti e che erano da ritenersi stabilmente inserite nell’organizzazione, come risultava all’esito dei servizi di appostamento eseguiti (punto 4); c) i coindagati facevano frequentemente riferimento alla remunerazione delle coppie e delle donne singole che partecipavano e intrattenevano rapporti sessuali con i clienti (punto 5); d) le donne dedite alla prostituzione ricevevano un compenso in denaro da parte degli organizzatori, come risulta dalle conversazioni intercettate (punto 6); e) i servizi di osservazione e le riprese avevano consentito di accertare che le donne prima intrattenevano i clienti nella sala da ballo, e poi li conducevano nelle camere da letto per la consumazione del rapporto sessuale, sempre sotto il controllo e la vigilanza degli appartenenti all’organizzazione (punto 6); f) vi era la protezione garantita dalla complicità di alcuni appartenenti all’arma dei carabinieri, uno dei quali indagato per partecipazione alla stessa associazione, la cui compagna si prostituiva all’interno del locale (punto 7).

Con riferimento, poi, alla specifica posizione della ricorrente, il Tribunale evidenzia che il suo ruolo manageriale emerge dai rapporti con il M. e dalla sua funzione di organizzazione e cura delle serate, soprattutto in conseguenza dei contrasti sorti fra questo e il coindagato C. circa le modalità di gestione del locale; circostanze che trovano conferma nei risultati dell’attività investigativa svolta (pagg. 8 e 9 dell’ordinanza).

Da tali elementi il Tribunale desume, con procedimento ineccepibile sotto il piano logico-giuridico, la sussistenza di gravi indizi dei reati contestati, precisando, con particolare riferimento alla fattispecie associativa, che emergono: l’esistenza di un vincolo stabile, l’indeterminatezza del programma criminoso, nonchè l’esistenza di una struttura organizzativa.

A fronte di una siffatta motivazione le censure della ricorrente si esauriscono nella richiesta di riesame di profili di fatto già esaminati; riesame precluso in sede di legittimità. Trova, infatti, applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione normativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (ex plurimis, tra le pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46: Sez. 6, 29 marzo 2006, n. 10951; Sez. 6, 20 aprile 2006, n. 14054; Sez. 3, 19 marzo 2009, n. 12110; Sez. 1, 24 novembre 2010, n. 45578; Sez. 3, 9 febbraio 2011, n. 8096).

4. – Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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