Cass. civ. Sez. III, Sent., 19-03-2012, n. 4368 Inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il 29 febbraio 2008 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere rigettava la domanda proposta dalla s.r.l. Alfonso Puoti avente ad oggetto la intimazione di sfatto per morosità nei confronti della Curatela fallimentare San Giuseppe s.p.a. ed accoglieva la riconvenzionale dispiegata dalla convenuta, dichiarando la nullità del contratto di locazione stipulato tra la Puoti e la San Giuseppe in bonis il 20 ottobre 1989 per simulazione assoluta.

Su gravame principale della società Puoti e incidentale della Curatela la Corte di appello di Napoli il 29 gennaio 2010 rigettava l’appello principale e quello incidentale, che, comunque, in ragione delle conclusioni rassegnate riteneva condizionato e condannava l’appellante principale alle spese di lite.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione la srl Alfonso Puoti, affidandosi a tre motivi di cui il terzo variamente articolato.

Resiste con controricorso la Curatela fallimento San Giuseppe.

Le parti costituite hanno depositato rispettive memorie.

Motivi della decisione

Va premesso che la notifica del controricorso non è nulla, essendo stata eseguita nel domicilio eletto in Roma in via Isonzo n. 42 ad uno dei procuratori costituiti, ai quali era stato conferito procura speciale disgiunta dalla Puoti per essere difesa in cassazione.

1.- Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, del disposto degli artt. 99 e 112 c.p.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., n. 5), in estrema sintesi, e come già dedotto in appello, la società ricorrente si duole che il giudice del merito sia incorso nel vizio di ultrapetizione, avendo dichiarato la nullità del contratto di locazione per simulazione assoluta, mentre la Curatela avrebbe proposto domanda per simulazione relativa, che è domanda diversa.

La censura che viene confortata con richiami a giurisprudenza di questa Corte va disattesa.

2.- Di vero, e premesso che il giudice anche di appello ha il potere- dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire al rapporto giuridico dedotto dalle parti un nomen juris diverso da quello configurato dalle parti, purchè non fondi tale qualificazione su di una realtà fattuale e diversa non dedotta dalle stesse e non allegata da esse in giudizio (puntuale richiamo a p. 2 sentenza impugnata di Cass. n. 15925/07; Cass. n. 23215/10), nel caso in esame il giudice dell’appello ha confermato la precedente statuizione al riguardo (v. Cass. n. 25055/09, in motivazione).

Non si tratta, dunque, di ultrapetizione ex art. 112 c.p.c., anche perchè la Curatela aveva chiesto dichiararsi la inesistenza e/o nullità del contratto di locazione per simulazione, come si evince dalla parte motiva della sentenza di primo grado che la resistente riporta, per il principio di autosufficienza e ribadita nella comparsa di costituzione e risposta avanti al giudice dell’appello (p. 6 e p. 10 controricorso).

Nè sussiste alcuno dei vizi motivazionali allegati, in quanto è jus receptum che tali vizi possono ritenersi sussistere solo quando si verifichi una incidenza causale dell’errore oggetto di possibile rilievo in sede di legittimità e può riguardare la legittimità del convincimento del giudice, ma non quando, come nella specie, la motivazione lascia comprendere le ragioni della decisione.

3.-Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, del disposto di cui agli artt. 1417, 2697, 2722, 2729 c.c., in relazione all’art. 113 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., n. 5), in sintesi, la società ricorrente lamenta che il giudice dell’appello avrebbe violato il principio dell’onere della prova, peraltro, a suo avviso da essa assolto con la produzione in copia autentica del contratto senza che la Curatela richiedesse o producesse alcuna prova, limitandosi, come essa Curatela avrebbe fatto, a disconoscere la conformità ex art. 2719 c.c., delle copie prodotte di volta in volta dall’intimante.

Anche questa censura va disattesa.

4. A ben leggere l’argomentare del giudice dell’appello va posto in rilievo che esso si fonda su circostanze di fatto che "non risultano oggetto di specifica contestazione", ossia che le due società erano riferibili nella loro gestione ad un unico soggetto – il P. S.;

che l’area in questione si trovava già in godimento della San Giuseppe s.p.a. prima della stipula del contratto, tanto che utilizzava un fondo confinante con il terreno della Puoti e su tale fondo la San Giuseppe esercitava un diritto di servitù di passaggio, per cui il giudice dell’appello ne ha presuntivamente dedotto che i terreni erano posseduti dalla San Giuseppe per l’esercizio del diritto di passaggio. Ma, a sostegno ulteriore del suo argomentare il giudice dell’appello ha aggiunto che non risulta provata la corresponsione del pagamento dei corrispettivi canoni da parte della San Giuseppe a favore della Puoti. Peraltro, il giudice dell’ appello si è fatto carico di valutare la documentazione prodotta dalla Puoti per provare la sussistenza del rapporto contrattuale tra le parti ed ha affermato:

1) che la documentazione prodotta in fotocopia è stata decisamente disconosciuta dalla Curatela, per cui essa non produceva alcun effetto sul piano processuale (puntuale richiamo a Cass. n. 2912/04;

Cass. n. 1525/04);

2) che la documentazione contabile della San Giuseppe, prodotta dalla Puoti, non provava l’effettivo pagamento dei canoni, stante l’assenza del titolo;

3) che, quindi, si configurava irrilevante la produzione di assegni bancari allegati in copia dalla Puoti e tempestivamente disconosciuti ex art. 2719 c.c. e ex art. 214 c.p.c. dalla Curatela.

Questa analisi risulta corretta dal punto di vista logico-giuridico, in quanto, come è noto, il curatore può offrire la prova della simulazione anche in virtù di presunzioni (Cass. n. 14481/05) e l’accertamento di esse, la valutazione ed il relativo giudizio di idoneità per i fatti posti a fondamento dell’argomentare induttivo si traduce in una accertamento relativo ad una quaestio voluntatis, rimesso al giudice del merito, onde la motivazione da questi adottata, ove, come nel caso, immune da errori logici e giuridici, non è censurabile in tema di legittimità, essendo il relativo sindacato limitato al solo procedimento logico seguito dal giudice per giungere alla soluzione adottata (Cass. n. 12980/02).

Del resto, va sottolineato che correttamente il giudice dell’appello, condividendo maggioritaria dottrina che fa leva sull’art. 2702 c.c., che fissa l’efficacia probatoria sino a querela di falso delle sole scritture riconosciute o autenticate, nonchè a prevalente giurisprudenza (di recente Cass. n. 18323/07) ha respinto la deduzione della Puoti concernente l’obbligo, a suo avviso, ed in tal caso, a carico della Curatela, di proporre querela di falso, e ha affermato che il procedimento di verificazione è inapplicabile alla scrittura disconosciuta e prodotta in fotocopia (Cass. n. 1831/00).

Ma, ad ulteriore conforto del suo argomentare il giudice dell’appello ha posto in rilievo una circostanza che il Collegio ritiene dirimente, ossia la mancanza di girata all’incasso degli assegni bancari, che suffraga, assieme alle circostanze sopra descritte, in modo netto e preciso che non è stata raggiunta la prova che la Puoti abbia effettivamente incassato delle somme, ossia che il contratto stipulato non fosse un contratto assolutamente simulato.

Non avendo assolto all’onere probatorio che incombeva all’intimante, in merito alla esistenza del contratto, il regime di cui all’art. 2697 c.c. è stato ampiamente rispettato.

5.- Ne consegue il rigetto del terzo motivo (omessa, insufficienza e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione agli artt. 1417, 2697 e 2729 c.c., nonchè all’art. 113 c.p.c.), precisandosi che per le considerazioni su esposte quanto dedotto in questa censura si risolve, da una parte, in una quaestio facti e, dall’altra, non risponde al vero che il giudice dell’appello non si sia curato di dare una spiegazione plausibile del suo convincimento.

Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese, che seguono la soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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