Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-06-2011) 11-10-2011, n. 36578

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 17 maggio 2010, il Tribunale di Belluno ha condannato l’imputato alla pena dell’ammenda, per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a), per avere, quale direttore dei lavori, realizzato i rivestimenti dei muri esterni, muri di contenimento della rampa di accesso ai garage e muretti di recinzione, con malta lavorata come finta pietra, in difformità a quanto previsto (rivestimento in pietra naturale) dai permessi di costruire e in contrasto con le norme di attuazione del piano di lottizzazione.

2. – Avverso tale sentenza, l’imputato ha proposto impugnazione, da qualificarsi come ricorso per cassazione – a seguito dell’ordinanza di trasmissione degli atti della Corte d’appello di Venezia in data 22 novembre 2010 – con cui deduce: a) la nullità del decreto di citazione a giudizio, per indeterminatezza, in mancanza dei requisiti previsti dall’art. 522 c.p.p., comma 1, lett. c), "che si traduce anche nell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità a tutela del diritto di difesa dell’imputato", sul rilievo che mancherebbe l’enunciazione del fatto in forma chiara e precisa, con particolare riferimento all’idoneità degli atti asseritamente posti in essere dall’imputato in violazione del precetto normativo;

b) la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla penale responsabilità e in ogni caso sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, perchè dagli atti non risulterebbe uno specifico contributo causale alla sua commissione.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è inammissibile, perchè proposto per motivi manifestamente infondati.

3.1. – Il primo motivo – con cui si lamenta l’indeterminatezza del decreto di citazione a giudizio – è manifestamente infondato.

Sono, infatti, pienamente sufficienti, al fine di identificare il comportamento contestato all’imputato, la descrizione dei lavori eseguiti e la sua qualità di direttore dei lavori, elementi entrambi risultanti dalla semplice lettura del capo di imputazione.

3.2. – Del pari manifestamente infondato è il secondo motivo di impugnazione, con cui si lamenta la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla penale responsabilità e in ogni caso sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, sul rilievo che dagli atti non risulterebbe uno specifico contributo causale alla sua commissione.

La sentenza censurata contiene, infatti, una motivazione chiara e circostanziata sul punto, perchè specifica che, dalle prove testimoniali espletate, emergono sia la consistenza delle opere realizzate, sia la circostanza che il committente aveva informato l’imputato, direttore dei lavori, del fatto di avere apposto finte pietre; e ne fa logicamente conseguire che esisteva in capo a quest’ultimo la piena consapevolezza della violazione realizzata.

A fronte di una siffatta motivazione la censura del ricorrente si esaurisce nella richiesta di riesame di profili di fatto già esaminati; riesame precluso in sede di legittimità. Trova, infatti, applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione normativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (ex plurimis, tra le pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46: Sez. 6, 29 marzo 2006, n. 10951; Sez. 6, 20 aprile 2006, n. 14054; Sez. 3, 19 marzo 2009, n. 12110; Sez. 1, 24 novembre 2010, n. 45578; Sez. 3, 9 febbraio 2011, n. 8096).

4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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