Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 19-03-2012, n. 4315 Malattie professionali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale del lavoro di Cosenza con sentenza del 25.7.2005 riconosceva il diritto di B.E. a rendita da infortunio sul lavoro e malattia professionale nella misura indicata in sentenza. Su appello dell’INAL, e previo rinnovo della consulenza tecnica, la Corte di appello di Catanzaro rideterminava nella misura dell’8% la percentuale relativa all’infortunio e nel 23% quella attribuibile alla malattia professionale. La Corte territoriale riportava in sentenza ampi stralci della consulenza medica di ufficio con la quale si era valutato il grado di inabilità permanente determinato dalla ipoacusia neurosensoriale bilaterale di grado lieve, qualificabile come malattia professionale in relazione all’attività svolta dal B. di carpentiere all’interno di gallerie e nell’8% il danno da invalidità permanente derivato dal trauma cranico subito il (OMISSIS) per infortunio sul lavoro.

Avverso la detta sentenza ricorre il B. con un motivo;

resiste l’INAIL con controricorso, illustrato con memoria.

Motivi della decisione

Nell’unico motivo si deduce l’omessa motivazione e lo insufficiente motivazione anche con riferimento agli artt. 61 e 113 c.p.c.. Nel motivo si sono riprodotte integralmente le osservazioni critiche alla consulenza tecnica di secondo grado da parte del consulente di parte.

Si aggiunge che le critiche mosse alla consulenza erano puntuali e circostanziate e che la sentenza impugnata non le aveva considerate.

Il motivo è infondato. Va ricordato l’orientamento di questa Corte secondo cui "in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell’assicurato, il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale traducendosi, quindi, in un’inammissibile critica del convincimento del giudice" (Cass. n. 9988/2009; 8654/2008;

16223/2003). Nel caso in esame tale prospettazione manca del tutto nell’esposizione del motivo e delle sue ragioni (ci si limita ad allegare che le critiche mosse alla nuova consulenza da parte del consulente di parte erano puntuali e dettagliate, cfr. pag. 59 del ricorso), in quanto il ricorso muove mere censure di fatto limitandosi ad invocare l’opinione di altri medici; non viene lamentata nella parte espositiva del motivo, del tutto generica, l’omissione di indagini mediche essenziali, nè devianze di sorta dalla nozioni correnti della scienza medica. Tali devianze non emergono pertanto dal motivo e la sentenza appare motivata in modo molto attento con puntuali riferimenti a quanto accertato dal CTU in grado di appello ed agli argomenti da questi addotti, con richiamo anche ad accertamenti obiettivi, per escludere la tesi accolta dal CTU di primo grado e, evidentemente, nelle note critiche alla CTU. Va ricordato che "in applicazione del principio secondo cui il controllo di legittimità compiuto dalla Corte di Cassazione non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa, ma consiste nella verifica sotto il profilo formale e della correttezza giuridica dell’esame e della valutazione compiuti dal giudice di appello, nel caso in cui il giudice di merito si basi, in un giudizio in materia di invalidità pensionabile, sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, affinchè i lamentati errori e lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza è denunciabile in cassazione necessario che siano riscontrabili carenze o deficienze diagnostiche, o affermazioni illogiche o scientificamente errate, e non già semplici difformità tra la valutazione del consulente, circa, l’entità e l’incidenza del dato patologico, e quella della parte" (Cass. n. 225/2000; cfr. anche Cass. n. 17096/2007); tali carenze diagnostiche non emergono e nel motivo ci si limita in sostanza a contrapporre, come si è già osservato, la tesi di alcuni medici a quella accolta dal CTU nominato in appello.

Va quindi rigettato il ricorso. Le spese del giudizio di legittimità, in favore dell’INAIL, vanno liquidate come al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 30,00 per esborsi, nonchè in Euro 2.000,00 (duemila,00), oltre spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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