Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-06-2011) 11-10-2011, n. 36582 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza del 27 maggio 2010, la Corte d’appello di Roma, pronunciandosi nel giudizio di rinvio scaturito dalla sentenza di questa Corte del 9 dicembre 2009, n. 1703, ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta dal ricorrente per la custodia cautelare patita per i delitti di omicidio e occultamento di cadavere, dai quali era stato assolto con sentenza della Corte d’assise di Cassino confermata nei successivi gradi di giudizio.

La Corte d’appello ha ritenuto che il ricorrente abbia dato causa con colpa grave all’emissione del provvedimento cautelare sulla scorta dei seguenti elementi: a) egli aveva riferito, di propria iniziativa, a diverse persone e ai carabinieri di avere visto la vittima litigare con un giovane biondo; racconto rivelatosi poi falso; b) si era costituito un alibi, dapprima confermato dal socio T. e poi rivelatosi falso, come ammesso dallo stesso T., il quale era stato indotto e suggestionato a confermare il suo racconto.

2. – Avverso tale provvedimento, B. ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, lamentando la violazione di legge e la carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, sul rilievo che la Corte d’appello non avrebbe fornito elementi sufficientemente specifici a sostegno della decisione, essendosi limitata a richiamare le sentenze di merito e il provvedimento cautelare. Evidenzia, in particolare: 1) il mancato espresso riferimento della Corte d’appello alla colpa grave o al dolo; 2) la mancata specificazione delle ragioni per cui il racconto circa il litigio della vittima con un giovane biondo sia stato considerato fonte di colpa grave; 3) la mancata collocazione delle contraddizioni nelle dichiarazioni dell’imputato nel "clima caotico e frenetico, dovuto ad una insistente pressione degli organi inquirenti, oltre che dei media".

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

3.1. – Deve preliminarmente rilevarsi che – secondo l’orientamento di questa Corte – in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione. Condotte rilevanti in tal senso possono essere quelle di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (falso alibi, autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione. A tal fine va anche apprezzata la condotta che si sia sostanziata nella consapevolezza dell’attività criminale altrui e, nondimeno, nel porre in essere una attività che si presti sul piano logico ad essere percepita come contigua a quella criminale (ex plurimis, Sez. un. 15 ottobre 2001, n. 34559; Sez. 4, 25 novembre 2010, n. 45418;

Sez. 4, 26 gennaio 2011, n. 7153).

3.2. – L’ordinanza impugnata fa puntuale applicazione di tali principi, avendo sostanzialmente apprezzato come gravemente colpevole, ai fini e per gli effetti dell’esclusione del diritto alla riparazione, il comportamento dell’imputato, evidenziando la falsità delle dichiarazioni rese dall’imputato sotto almeno due profili: a) la circostanza dell’avere visto la vittima litigare con un giovane biondo; b) l’alibi, dapprima confermato dal socio T. e poi rivelatosi falso, come ammesso dallo stesso T..

A fronte di tali analitici e coerenti rilievi, il ricorrente solleva questioni inidonee a scalfire l’apparato motivazionale posto a fondamento dell’ordinanza impugnata.

Infetti, quanto al dedotto mancato riferimento della Corte d’appello alla colpa grave o al dolo – in particolare in relazione litigio della vittima con un giovane biondo -, è sufficiente rilevare che nell’ordinanza impugnata gli elementi analizzati sono considerati indice di un "comportamento altamente imprudente e superficiale, poichè (…) il B., mostrando di volere allontanare da sè i sospetti, ha avvalorato l’ipotesi accusatoria, accettando il rischio di apparire coinvolto nella vicenda criminale". Pare evidente, dunque, che la Corte d’appello – al di là della terminologia usata – abbia fatto applicazione del criterio della colpa grave di cui all’art. 643 c.p.p., comma 1.

Quanto, poi, alla doglianza relativa alla mancata collocazione delle contraddizioni colte nelle dichiarazioni dell’imputato nel "clima caotico e frenetico, dovuto ad una insistente pressione degli organi inquirenti, oltre che dei media", è agevole osservare che l’imputato si limita con essa a proporre una diversa lettura degli elementi posti dalla Corte d’appello a fondamento del provvedimento censurato.

E ciò, a fronte di una motivazione pienamente sufficiente e logicamente coerente circa la falsità dell’alibi fornito, pienamente confermata dal teste T..

4, – Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento in favore del Ministero dell’economia e delle finanze della somma di Euro 1000,00 per le spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento in favore del Ministero dell’economia e delle finanze della somma di Euro 1000,00 per le spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *